Il Messaggero Veneto 18-04-2002
Secondo i camici bianchi la spesa farmaceutica in Friuli-Venezia Giulia è ancora la più bassa in Italia
Conte: servono interventi strutturali. Castaldo: la Regione recupererebbe solo 5 milioni di euro in più
UDINE - «Da cinque anni la Sanità regionale è senza governo e amministrazione. Si collocano persone, si muovono pedine, mal posto dei necessari interventi strutturali vengono usati i pannicelli caldi. Si riprenda ad amministrare il settore, abbandonando il clientelismo elettoralistico». Ha toni durissimi la presa di posizione dell'Ordine dei medici udinese sui ticket sanitari annunciati dal presidente della Regione Renzo Tondo e dall'assessore Valter Santarossa.
Anche perché agli addetti ai lavori il provvedimento appare inutile. «Così come ne abbiamo criticato l'abolizione, ora ne critichiamo la reintroduzione, per questo atteggiamento schizofrenico ed altalenante nella gestione di una Sanità che ha soprattutto bisogno di certezze e percorsi stabili, condivisi e di qualità», afferma il presidente dell'Ordine, dottor Luigi Conte. «Non è con i ticket che si razionalizza l'accesso ai farmaci. Gli eventuali introiti risulterebbero irrisori e sarebbero sicuramente coperti dall'abolizione di una delle sei Aziende sanitarie territoriali. Se queste abolizioni fossero tre il guadagno sarebbe ancora maggiore. Ma ci sarebbe meno spazio per le nomine dirigenziali».
«Un dato è certo: la spesa farmaceutica, in Friuli-Venezia Giulia è la più bassa d'Italia», sottolinea Conte, ricordando come questo avvenga in un quadro che vede in Italia un aumento della spesa farmaceutica molto più contenuto rispetto alla media Ue, e una collocazione in coda ai Paesi europei per spesa sanitaria in rapporto al Pil. La proposta alternativa è quella di una nuova «liberalizzazione» nelle ricette, basata su professionalità e responsabilità di medici e farmacisti, nonché sulla distinzione tra prescrizioni a tempo determinato (come i trattamenti antibiotici) in cui viene individuata la quantità di farmaco necessaria, e a tempo indeterminato, con ricette di validità annuale e consegna di due confezioni per volta (o anche più, in casi particolari), sempre ripetibile previa timbratura. A carico del Servizio sanitario non sarebbero più le specialità commerciali, ma i principi attivi, con copertura totale della quota soltanto per i vincitori di una gara al ribasso tra prodotti analoghi.
In effetti, le simulazioni fatte presso l'assessorato alla Sanità hanno evidenziato come i ticket farebbero risparmiare suppergiù cinque milioni di euro. Una goccia rispetto alla spesa complessiva, che supera largamente il miliardo e mezzo. «Nel 2001 sono state emesse circa sette milioni di ricette, due milioni in più rispetto al '97. Considerando l'invecchiamento della popolazione e la riduzione dei ricoveri ospedalieri che ha spostato sul territorio una quota dei trattamenti farmacologici, la crescita sembra fisiologica»,dice Giovanni Castaldo, di An, presidente della commissione Sanità del consiglio regionale. «Con un euro a ricetta si introiterebbero sette milioni. Ma scomputando le patologie croniche o degenerative che hanno diritto all'esenzione, e, ragionevolmente, anche le fasce della popolazione a più basso reddito, non andremmo oltre i cinque milioni, cifra che non sposta quasi nulla».
«Le statistiche, che ci vedono in assoluto tra i più virtuosi d'Italia in quanto a spesa farmaceutica, provano come i medici prescrivano le specialità sulla base non delle richieste dei pazienti, ma delle effettive esigenze, tenendo d'occhio tanto la tutela della salute quanto i risvolti economici», dice ancora Castaldo. «La riduzione della spesa va cercata per altre vie: ci sono holding che rivendono i prodotti tra le loro società, per cui una farmaco che potrebbe venir commercializzato a 5 euro viene messo sul mercato a 40 euro. E si sa che gli stessi principi attivi hanno prezzi diversi, secondo la notorietà del marchio. Occorre informare, e far crescere la cultura del farmaco generico».
Luciano Santin