Il Messaggero Veneto 28-09-2001
Al convegno di Europolis con Renzulli il presidente della giunta regionale annuncia: fra due settimane il nuovo piano
Il modello è quello israeliano: acquisti razionalizzati, ma il budget resta inalterato. Via i doppioni
di FEDERICA BARELLA UDINE Lo chiamano il "piano israeliano". E' un o dei punti fondanti del nuovo progetto strategico di interventi per la riorganizzazione e riqualificazione dell'offerta sanitaria in Friuli-Venezia Giulia. Un progetto che diventerà delibera di giunta, come ha confermato il presidente Tondo, tra due settimane e che quindi dovrà essere attuato dalle varie aziende sanitarie a partire già dai prossimi mesi, per poi diventare compiuta realtà nel corso del 2002. Un piano che prevede non soltanto il taglio puro e semplice di posti letto (in primis con la mai smentita riorganizzazione dell'ospedale di Maniago, per ora solo rinviata) e dei doppioni, che non prende in considerazione unicamente nuovi ambiti di emergenza (focalizzando gli sforzi della Regione soprattutto nella cura e nell'assistenza agli anziani), ma che propone soprattutto interventi innovativi nell'organizzazione della logistica.
Tutto ciò proprio su ispirazione di quanto è stato a lungo sperimentato in Israele, dove un piano efficiente di risparmi già collaudato si basa appunto sulla ripianificazione di appalti, gestione magazzini, acquisti e utilizzo dei macchinari. Non ci saranno più in futuro acquisti singoli (e quindi più cari) per ogni diversa realtà. E nemmeno prolificheranno i magazzini all'interno di ogni ospedale o addirittura di ogni specialità. L'idea, addirittura, è quella di arrivare alla costituzione di società miste pubblico-privato per riuscire così a dimezzare tutti i costi. Mentre un'altra ipotesi è quella di riuscire a utilizzare i macchinari, le sale operatorie e quant'altro, a ciclo pressochè continuo per ottimizzare le spese.
La notizia è emersa ieri a margine dell'affollato convegno svoltosi a Udine «Meglio razionalizzare che razionare - Dove va la sanità del Friuli-Venezia Giulia», organizzato dall'associazione Europolis (presieduta da Glauco Di Benedetto), e che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del presidente della giunta regionale Renzo Tondo, del direttore dell'agenzia regionale della sanità Lionello Barbina, del dottor Raffaele Calabria e del resposnabile della sanità di Fi Gabriele Renzulli. Alle decisioni che la giunta assumerà in via definitiva fra due settimane mancano ancora l'avallo ufficiale (e unitario) dell'intera maggioranza. Ma un vertice è già previsto per la prossima settimana.
Le linee di massima di tale delibera sono quelle più volte annunciate nei mesi scorsi dallo stesso presidente Tondo e dall'assessore alla sanità Santarossa. Come è stato sottolineato dal presidente anche nel corso del convegno di ieri il mondo della sanità si trova di fronte a una svolta obbligata. «Anche in Friuli-Venezia Giulia - ha sottolineato Tondo - la crescita ella spesa sanitaria è divenuta esponenziale. Dobbiamo quindi decidere che tipo di assistenza base vogliamo e possiamo offrire ai nostri cittadini. Senza dimenticare che se non si assumono oggi le necessarie decisioni domani tutta l'offerta sanitaria regionale ne soffrirà. Non dimentichiamoci infatti che in Friuli-Venezia Giulia il livello della sanità è un livello alto. E ciò è dimostrato anche dal tasso di attrazione delle nostre strutture rispetto a quelle delle altre regioni».
I dati illustrati ieri, nel corso del convegno, dal direttore dell'Agenzia regionale della sanità Lionello Barbina non lasciano spazio a molti dubbi. Attualmente in regione ci sono 26 ospedali per un totale di 5,36 posti letto ogni mille abitanti contro i 4 posti letto ogni mille abitanti, tetto massimo indicato dal ministero. In più l'andamento dei costi, con un aumento medio dell'8 per cento annuo è del tutto incompatibile con la finanza pubblica. Senza considerare che la sanità regionale soffre anche di altri «mali»: come una sovradimensione della classe medica (in Europa siamo in proporzione la regione che sforna il maggior numero di laureati in medicina) e un sottodimensionamento delle forze infermieristiche.