Il Messaggero Veneto 11-04-2002
Dal 1997 al 2001 si è passati da 210 miliardi di lire a 423. Con un euro per ricetta si recupera il 50% dei precedenti ticket
TRIESTE - Negli ultimi cinque anni la spesa farmaceutica registrata in Friuli Venezia Giulia (espressa ancora in lire) si è più che raddoppiata, passando dai 210 miliardi del 1997 ai 423 del 2001. Analogo andamento ha avuto la spesa pro capite, che dalle 176 mila lire del 1997 è balzata alle 357 mila del 2001. La lievitazione è stata costante, anche se, ovviamente, nell'ultimo anno si è avuta l'impennata provocata dal mancato introito di circa 32 miliardi di ticket. Nell'arco dello stesso quinquennio il numero delle ricette emesse dai medici di famiglia è passato da poco più di cinque milioni a sette milioni e mezzo, con un valore medio per ricetta che da 39 mila lire è arrivato a 54 mila. Lo scorso anno ogni cittadino della nostra regione si è fatto prescrivere mediamente sei ricette.
Verificato l'andamento della spesa, l'assessore alla sanità Valter Santarossa ha ventilato l'ipotesi di introdurre anche in Friuli Venezia Giulia (analogamente a quanto fatto da altre regioni) un ticket dell'importo di un euro per ogni ricetta presentata in farmacia, confidando sul fatto che l'eliminazione della totale gratuità possa avere un automatico effetto virtuoso. In tal modo le casse regionali potrebbero incassare circa 7,5 milioni di euro l'anno, pari alla metà della compartecipazione fornita dagli utenti prima dell'abolizione.
Abbiamo motivo di dubitare (e con noi parecchi sanitari) sugli effetti miracolistici di tale provvedimento. Innanzitutto va detto che le ricette vengono rilasciate, fino a prova contraria, dai medici (e non dagli assistiti) sulla base delle effettive esigenze terapeutiche del paziente. Per quale ragione dovrebbero prescrivere medicinali che non servono? In secondo luogo occorre ricordare che da qualche tempo (specie da un paio d'anni a questa parte) la durata dei ricoveri ospedalieri si è di molto contratta, trasferendo dalla struttura di degenza al territorio (leggi medico di famiglia) la parte terminale del percorso terapeutico.
Se si contrae la spesa da una parte, è ovvio che lievita dall'altra. Se le economie conseguite con la minor permanenza in nosocomio sono superiori agli incrementi verificatisi nella spesa farmaceutica, non ne deriva un beneficio per le casse pubbliche? Perché nessuno fornisce dati comparativi al riguardo? Qualora si puntasse sui ticket per conseguire una riduzione del numero di ricette staccate, sarebbe come dubitare sulla deontologia dei medici di famiglia.
Altre ancora sono le ragioni dell'incremento delle spese. Ai malati cronici ad esempio (con un provvedimento punitivo e privo di logica) possono essere prescritti solo tre "pezzi" per ricetta, contro i sei precedenti: ciò comporta automaticamente il raddoppio (inutile e pernicioso) del loro numero. Sarebbe il caso infine di avviare una vasta campagna informativa per promuovere l'uso dei farmaci generici, il cui costo è molto più basso dell'identico (sotto il profilo dell'efficacia) prodotto di marca.
Abbondio Bevilacqua