PAOLO GANDOLFO - Bozza di programma per le regionali 2008 (4) - Enti locali
A partire dagli anni 90 si sono susseguite diverse riforme ed in generale di
politiche fortemente orientate al "federalismo". Ovviamente il nome dato è solo
una coloritura al movente politico del fenomeno, che come si ricorderà era
"comprare" gli elettori della lega, mentre si è dato avvio ad una serie di
provvedimenti che hanno comunque attuato una riforma dell'apparato
amministrativo nel senso del decentramento, e che hanno trovato cornice
corrispondenza in una più marcato riconoscimento anche costituzionale delle
istituzioni locali (quali componenti fondanti della repubblica) e del principio
di sussidiarietà.
Poichè non si è trattato di un mutamento sorretto da un progetto politico, quale
il processo federalizzante bene o male in corso a livello comunitario, o come
processi che hanno decomposto alcuni stati europei in nome delle nazionalità
presenti al loro interno, ma piuttosto di un progetto di razionalizzazione
dell'apparato statuale, ritengo che esso vada giudicato con ottica pragmatica
sulla base dei risultati raggiunti in termini di maggiore efficienza
dell'apparato pubblico nel suo complesso.
Ritengo il giudizio debba essere negativo per una serie di ragioni che tento di
sintetizzare.
a) Non vi è stata una diminuzione delle spese della pubblica amministrazione.
Premesso che mancano degli studi condotti in maniera scientifica sul punto, la
sensazione è che il decentramento all'italiana abbia operato, quando ha
trasferito funzioni dal centro alla periferia, senza tagliare le strutture
centrali. Non si ha notizia Avvicinare le decisioni ai cittadini può fare anche
piacere a questi ultimi, ma nell'ottica del contenimento dei costi a dimostrare
che venti burocrazie costino meno di una dovrebbero essere i fautori del
decentramento.
b) Molto spesso si è sostituito al centralismo romano un centralismo regionale.
c) Il modello di ripartizione delle funzioni in base a potestà concorrenti
mostra tutti i suoi limiti nell'impossibilità di individuare quale sia l'ente
competente a disciplinare una materia,e di fatto si traduce in un limtie
implicito alle potestà degli enti decentrati, in quanto lo stato centrale
finisce per appropriarsi della potestà nei casi dubbi. Inoltre si generano
continui conflitti di attribuzione fra lo stato e le regioni. Da ultimo la
certezza del diritto scema in quanto diventa un'impresa per il non tecnico
districarsi fra un dedalo di disposizioni statali, regionali, comunali e
quant'altro.
d) La fine dei controlli sugli enti locali ha generato una diffusa
irresponsabilità di questi ultimi. Il controllo dello stato centrale, che pure
faceva i suoi comodi tramite le sue dirette amministrazioni, veniva esercitato
in maniera sostanzialmente corretta e severa sulla legittimità degli atti degli
enti locali e soprattutto sulle loro spese, che ora sono fuori da ogni
controllo. Si è recentemente parlato dei derivati sui mutui (ovvero scontami i
tassi che pago io e fai pagare il doppio al prossimo sindaco), ma non sono da
meno alcune cessioni di immobili (vendo per andare in affitto, così realizzo una
plusvalenza e a pagare gi affitti ci penseranno gli altri), il proliferare della
finanza creativa, gli incredibili premi erogati a dirigenti, direttori generali
e quant'altro. Queste cose non accadevano quando lo stato centrale, che pure le
faceva per conto proprio, poteva per così dire fare mostra di legalità in casa
d'altri, allo stesso tempo contenendo la spesa del comparto.
e) La moltiplicazione dei centri decisionali ha accentuato la mala
interpretazione della partecipazione quale necessità di unanimità. Sono sotto
gli occhi di tutti gli effetti dei poteri di blocco, arrogati da qualunque
sindaco o capo di comitato, su decisioni su questioni che hanno grande rilevanza
per la collettività.
f) L'autonomia finanziaria, di per sè fatto positivo, genera talvolta degli
avvenimenti imprevisti. Un comune che paga un affitto al demanio per 100 (per
la finanza pubblica 100 costi 100 ricavi =0) è indotto a cercare un affitto a 80
magari da un privato (per la finanza pubblica 80 costi 0 ricavi = - 80).
g) La nuova cornice istituzionale ha favorito il rivivere di concezioni degli
entri infrastatuali fondate sull'identità. Fra i nefasti risultati, le recenti
campagne sul bi (tri-quadri-multi)linguismo, contro le quali qualcuno dovrà
prima o dopo alzare una voce.
Ovviamente tornare al passato non è possibile, nè sarebbe la soluzione più
efficiente. Sono possibili alcune proposte, incentrate al perseguimento di
recuperi di efficienza della macchina ammistrativa e al risparmio di risorse.
1) Abolizione delle province. Si tratta di enti notoriamente e storicamente
inutili, e le proposte già avanzate sul punto sono note. Funzioni e personale
andrebbero ripartite fra comuni e regioni, a rimetterci sarebbero solo i
politici che attualmente siedono con alterna fortuna sugli scranni provinciali.
Nel medio periodo sono evidenti i risparmi sulla struttura. La rappresentanza
politica delle comunità provinciali, già in parte assicurata dalla legge
elettorale (che può essere aggiustata sul punto) può essere recuperata in altre
forme, penso a delle commissioni regionali composte dagli eletti nei vari
collegi, o ad un rappresentante eletto dai sindaci.
2) Abolizione delle circoscrizioni. In città come Udine e Trieste credo pochi si
accorgano della loro esistenza. Bene il decentramento di alcuni uffici, ma
occorre rompere anche qui l'equazione fra istituzione e burocrazia, ovvero che
se esiste una rappresentanza politica deve esserci una burocrazia (vale per la
provincia), e se esistono degli uffici deve esserci un rappresentante politico.
Alla biciclettata di Paderno e al concerto in memoria di De Andrè ci penserà
qualcun altro.
3) Unione dei Comuni. L'attuale dimensione dei comuni non è assolutamente
efficiente per la gestione dei servizi. Spinti dalla necessità i comuni piccoli
ormai hanno già associato molti dei loro servizi, ma in rarissimi casi c'è chi
si arrischia a rompere il tabù del municipio. Risultati vani i tentativi passati
di incentivi economici, bisogna usare la stessa leva sotto diversa forma. Ai
comuni che nei prossimi 5 anni non si uniscono fino a raggiungere 10mila
abitanti non verranno più erogati contributi regionali. Liberi di stare "di
bessoi", ma si paghino il lusso con tasse locali.
4) Ripristino di forme di controllo sugli enti. Credo ci siano delle attenzioni
costituzionali da operare, ma si potrebbe condizionare il rilascio di contributi
regionali al superamento di controlli da parte della regione. Un po' come fanno
le banche, che prima di dare un prestito vengono a vedere il bilancio (quello
vero, non quello depositato al registro delle imprese).
5) Una seria iniziativa contro l'utilizzo di lingue diverse dall'italiano nei
rapporti con la pubblica amministrazione.
Paolo Gandolfo
Udine 09/12/2007
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