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Il Piccolo 23-05-2002

L'ambasciata italiana a Sarajevo denuncia un clamoroso traffico di 715 permessi d'ingresso rilasciati illegalmente e dietro ricompensa

A Trieste «smercio» di visti facili per bosniaci

Il punto d'appoggio era un esercizio commerciale giuliano, il «Madonna abbigliamento»

TRIESTE - Il negozio porta l'insegna «Madonna abbigliamento», si trova in via Galatti 14, di fianco alla Posta centrale, ed è una delle tante rivendite del Borgo teresiano dove si riforniscono soprattutto gli acquirenti d'oltreconfine. In realtà secondo il sostituto procuratore della Repubblica di Roma Marcello Monteleone, dietro la legale e normale attività di commercio il negozio di abbigliamento di via Galatti funzionava come una vera e propria centrale di smistamento del traffico clandestino. Accreditati come clienti in visita d'affari al negozio triestino, dal 1999 al 2001 sono entrati in Italia 483 bosniaci che non ne avevano i requisiti. Tra questi, definiti come «soggetti inaffidabili» potevano esserci trafficanti d'armi, terroristi vicini a Osama Bin Laden e criminali di guerra.

In queste ore gli uomini del Nucleo provinciale della polizia tributaria di Roma guidati dal capitano Edwig Trapanese stanno passano al setaccio le oltre quattrocento fotografie delle pratiche sequestrate all'ambasciata italiana di Sarajevo, direttamente coinvolta nel traffico. E' proprio con l'accusa di aver rilasciato 715 visti non regolari di ingresso in Italia per motivi di affari ai 483 bosniaci, che due addetti consolari all'ambasciata e tre bosniaci sono stati denunciati con le accuse di abuso di ufficio e favoreggiamento all'immigrazione. Due dei tre bosniaci vivono a Trieste: si tratta di Jasmina Miljkovic, del 1969, abitante in via della Tesa 20, attuale titolare del negozio «Madonna abbigliamento»; Vania Orolic, classe 1974, titolare del precedente esercizio commerciale e suo fratello Sinisa Orolic, del '67, che vive a Sarajevo.

Le indagini sono iniziate quando l'ambasciatore italiano a Sarajevo si è accorto che nell'arco di un paio d'anni dai suoi uffici era uscito un numero impressionante di visti per l'Italia, tutti per affari e tutti con destinazione il negozio di via Galatti a Trieste. Insospettito l'ambasciatore ha segnalato il caso, e quattro mesi fa una squadra delle Fiamme gialle di Roma è andata a Sarajevo e ha sequestrato oltre 700 fascicoli relativi ad altrettanti visti, verificando alcune irregolarità nella documentazione. In pratica mancavano le carte necessarie ad accertare i reali motivi del viaggio in Italia dei bosniaci che richiedevano il visto e che, nella maggior parte dei casi, l'ottenevano senza nemmeno presentarsi all'ambasciata. Secondo l'accusa, chi voleva ottenere un visto per l'Italia si rivolgeva a Sinisa Orolic, pagando una cifra intorno ai 1500 marchi.

Orolic - sempre secondo l'accusa - inviava i nominativi al negozio di Trieste, che sua volta spediva in fax la richiesta di rilascio del visto per motivi d'affari all'ambasciata italiana di Sarajevo. Qui i due funzionari denunciati provvedevano a istruire le pratiche in modo non esattamente corretto, ma tutto vantaggio dei richiedenti che partivano alla volta di Trieste. La ditta triestina fungeva da garante, ma in realtà, secondo gli investigatori, la stragrande maggioranza dei bosniaci non si faceva nemmeno vedere al negozio di via Galatti, prendendo subito la via dell'Austria e della Germania.

«E naturalmente - spiegano alla Guardia di finanza di Roma - non è nemmeno detto che i nominativi delle pratiche consolari siano veri; ora stiamo effettuando una serie di verifiche a livello internazionale con le fotografie, per vedere se tra i bosniaci che hanno utilizzato i visti ci possano essere ricercati». Da tempo, infatti, il bacino dell'area balcanica è considerato, dagli organi di intelligence, una base logistica e operativa di diversi gruppi terroristici legati a Osama Bin Laden. Per questo, soprattutto dopo l'11 settembre, è diventato di primaria importanza il controllo sui cittadini che, pur in possesso di un regolare visto di ingresso, entrano in Italia e in tutti i Paesi aderenti al trattato di Schengen.

Pietro Spirito