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Il Messaggero Veneto 21-11-2001

Il capo dell'esecutivo del Friuli-Venezia Giulia ha spiegato come ha ricomposto il dissapore con Antonione

Tondo: pace fatta, Melò apra i cantieri

Il presidente: c'è stato un problema di comunicazione, con i veneti ci capiremo

TRIESTE - «Su Melò non ci sono elementi perché la giunta ritiri l'indicazione. In Forza Italia c'è piena concordanza, a tutti i livelli, sul fatto che il suo profilo professionale sia adeguato. Ci sono stati problemi di comunicazione, legati all'accelerazione che ho ritenuto di dare alla vicenda, e complicati dal fatto che sia il coordinatore nazionale Antonione, sia il sottoscritto, sono fatti in un certo modo. Ma l'intelligenza e la stima reciproca non potevano non prevalere, e ora il caso è chiuso». Renzo Tondo, presidente della Regione, indice una conferenza stampa (d'accordo con Antonione, Romoli, e il capogruppo azzurro Ariis, spiega), all'insegna del tutto è bene quel che finisce bene. Lascia cadere quasi con nonchalance la notizia che domani andrà a Roma con il volo governativo del sottosegretario Antonione, per tornare a Trieste sull'aereo del premier Berlusconi. «Sarà un'occasione per conoscerlo direttamente, visto che sinora non ho avuto questa fortuna».

Insomma, le forti turbolenze di questi giorni sono dipese dalle complicazioni di un percorso che alla fine ha avuto un approdo positivo, perché ad Autovie andrà un tecnico capace di toglierla dalle secche («Con una sola mission, semplice: aprire i cantieri»), e perché la maggioranza alla fine si è rafforzata. In quanto a Galan, non esistono vere difficoltà: «I problemi non venivano dal nome di Melò, ma dal ridimensionamento proporzionale della rappresentanza veneta. Ma stasera, alla cena di Buttrio (ieri, ndr), ci vedremo, con Antonione. E, se ci sarà la necessità di dargli un posto in più, lo avrà».

Ma cos'è successo davvero, in quella benedetta giunta del 13 novembre scorso? «Che sono emerse delle resistenze sul nome di Soldati, oltre a tutto ineleggibile, perché non era ancora trascorso il prescritto semestre dalla sua presenza nella giunta provinciale», spiega Tondo. «Così, nell'intervallo tra i due "tempi" della seduta ho dovuto informarlo che non c'era la possibilità di portare avanti la sua candidatura».

Questo è un passaggio su cui le argomentazioni del presidente non risultano troppo convincenti: se esisteva un ineliminabile vizio tecnico, che bisogno c'era di scontrarsi così? «Problemi di comunicazione, e poi Antonione era all'estero, impegnato in incontri ufficiali in Spagna con Berlusconi», insiste lui.

E' prodigo di ringraziamenti, per Soldati e Marini, e soprattutto per Saro e Romoli. «Hanno svolto opera di mediazione. E garantito quei 380 miliardi di finanziamenti aggiuntivi senza i quali non so come avremmo fatto il Bilancio». Parla bene anche di Franzutti: «Fa un grande lavoro, mi spiacerebbe privarmi del suo appoggio», e questa frase, assieme ad altre, sottotraccia fornisce un supplemento di informazione allo schema dei tarallucci e vino. «Ho espresso piena fiducia ai vertici regionali e nazionali del mio partito» scappa detto al presidente. E: «Antonione e Romoli hanno capito». Nel pieno rispetto delle competenze dei coordinatori e dei parlamentari («i tre amici», li chiama), Tondo non arretra di un millimetro.

Anzi, in tempo di federalismo e di governatori, in qualche modo si riposiziona, con pari dignità. «Siamo un partito libero e disordinato, in cui possono starci sprazzi d'anarchia», nota. Ma aggiunge di aver accettato la candidatura nella convinzione di portare a casa dei risultati concreti. «Non per copiare Berlusconi, ma io vengo dalla cultura del fare, e voglio misurarmi sulle cose da fare. Qualcosa lo ho già ottenuto: pur in situazioni finanziarie difficili, abbiamo chiuso un bilancio senza barricate delle parti sociali, mettendo in sicurezza Sanità, trasferimenti agli Enti locali, e destinando maggiori risorse all'innovazione tecnologica», sottolinea. «Certo, anche grazie all'impegno dei nostri parlamentari», aggiunge. Ed è come se stabilisse una distinzione di ruoli.

Gli chiedono se avrà ulteriori scatti d'orgoglio. «No, mi pare abbastanza così. Non per ora, almeno». E scivola via sul discorso della possibile ricandidatura: «Ragionare adesso non serve. Giuro che non è una cosa che mi tolga il sonno. Del resto l'importante è tenere il profilo alto; poi, se qualcuno me la proporrà, deciderò». Quali che siano le tossine accumulate nel partito di maggioranza relativa del Friuli-Venezia Giulia, una cosa sembra chiara: Tondo è andato a dama, con uno di quegli zigzag a sorpresa che tagliano la scacchiera. Un misunderstanding ci sarà anche stato, però è durato troppo a lungo per non credere che una prova di forza non ci sia stata. Prova passata bene: se l'apprezzamento del coordinatore nazionale è sincero, lo incassa a suo merito. Se è di facciata, testimonia che Forza Italia non può toccare il presidente senza devastanti danni d'immagine. Lui, invece, la sua immagine un po' scialba e anodina l'ha vivacizzata parecchio, di fronte all'opinione pubblica. In quanto agli imprenditori (sdegnati, secondo certe voci, per l'affronto subito con l'affondamento di Soldati), e probabile che alla fine valuteranno la cosa pragmaticamente, sulla base dei risultati.

Luciano Santin