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Il Piccolo 10-12-2001

Un gruppo di medici interviene sul problema della «riduzione del danno» da eroina

«Il metadone è una cura»

Siamo medici di medicina generale che tra i loro pazienti hanno anche alcuni tossicodipendenti da oppiacei e utilizziamo il metadone nelle cure di queste persone affette da eroinismo cronico. In riferimento ai recenti interventi su questo argomento purtroppo ancora così impropriamente discusso desideriamo dare il nostro contributo.

In primo luogo dobbiamo intenderci su cos'è la tossicodipendenza: è una malattia cronica recidivante. Questa definizione è universalmente condivisa dal mondo scientifico, Organizzazione mondiale della sanità in testa. Come tutte le altre malattie croniche (diabete, broncopneumopatie, cardiopatie, solo per citarne le più frequenti) ha dei momenti di stabilità e dei momenti di riacutizzazione, e come tutte le malattie croniche non ha un'unica soluzione terapeutica che sia efficace per tutte le persone malate e nella singola persona per tutta la durata della malattia.

Che cos'è il metadone? E' una sostanza ad azione farmacologica che si lega agli stessi recettori dell'eroina, con l'effetto di sedarne i sintomi astinenziali, di bloccare gli effetti positivi della stessa e per ultimo di eliminare quel desiderio irresistibile per la sostanza, che rende una persona capace di fare qualsiasi cosa pur di procurarsela. Attorno a questo farmaco si sono create delle false credenze, dei malintesi, dei luoghi comuni. Quello che è bene sapere è che per avere dei risultati il metadone va gestito correttamente da chi il farmaco lo conosce, la sua indicazione valutata tempestivamente, i dosaggi devono essere adeguati, la terapia continuata per il tempo necessario.

Il metadone inoltre, non interferisce né con l'attività motoria né con quella cognitiva, il farmaco non funziona come droga, non assolve ai criteri delle sostanze che danno dipendenza, non dà piacere. Anche queste affermazioni sono frutto di 25 anni di studi e l'uso terapeutico del metadone è risultato essere completamente innocuo, «perfectly safe», così come ormai viene definito anche dagli organismi pubblici americani quali l'Us Office of drug policy. Con ciò non vogliamo negare la complessità del problema tossicodipendenza, e non vogliamo affermare che il metadone sia il solo rimedio, sia anzi riaffermiamo che un' unica via di risoluzione non esiste. Tutte le modalità terapeutiche e approcci conosciuti dovrebbero coordinarsi e convivere, sempre che vi siano dati sufficienti a sostegno dei risultati, sgombrando il campo da inutili guerre ideologiche che non possono che aumentare la già grande sofferenza di queste persone.

Un'ultima considerazione sul concetto di riduzione del danno. E' un termine molto infelice, evoca l'idea di assenza di prevenzione e la negazione di un possibile recupero. Non è così, «riduzione del danno», vuol dire offrire alla persona malata una mano tesa sempre, vuol dire alzare la guardia, non abbassarla. E' un atteggiamento che più volte al giorno adottiamo nei confronti degli altri nostri pazienti cronici (cardiopatici, diabetici, bronchitici, cirrotici). La maggior parte delle persone affette da queste malattie lo sono perché non hanno smesso di fumare o di bere o non riescono a mantenere una dieta adeguata o uno stile di vita atto a prevenire queste situazioni di cronicità e di irreversibilità. Si continua a prescrivere delle terapie con il solo scopo di «ridurre il danno» che in realtà significa semplicemente «curare la persona».

Se seguissimo lo stesso ragionamento che viene fatto per i tossicodipendenti, molti dei nostri pazienti dovrebbero essere lasciati a se stessi senza essere curati perché senza possibilità di guarigione. C'è forse qualcuno che considererebbe etico un simile comportamento? Chiudiamo sperando di aver fornito alcuni spunti di riflessione a chi leggerà queste righe.

Rita Leprini, Franco Vecchiet, Guido De Paoli, Michele Fogher, Massimo L'Abbate, Antonio Zappi, Stefano Russi, Lucio Merzek, Andrea Michelazzi, Tiziana Cimolino