L'INCUBO PRENDE LA FORMA DI ZENO


Leggiamo non senza qualche preoccupazione gli articoli sui rigassificatori del n° 48 di Zeno. A questa apprensione si aggiunge anche un certo sconcerto perché in essi vi troviamo una serie di luoghi comuni: dal pericolo (inesistente) che una nave gasiera esploda con conseguente necessità di evacuazione della città, alla presunta diminuzione della pescosità del golfo passando addirittura per il sofferto impatto estetico che potrebbero subire i velisti. Purtroppo, constatiamo che di gasiere se ne parla sempre in maniera ideologica e finanche terroristica piuttosto che in termini economici o ecologici (termini che hanno la stessa radice "eco" proveniente dal greco oikos che significa casa, abitazione). Se almeno si dicesse con chiarezza che il nostro territorio "vuole" una diversa economia centrata sul porto e considerasse il rigassificatore incompatibile con tale progetto, allora si potrebbe incominciare a ragionare, ma così non è. Ci troviamo invece sommersi da articoli che diffondono una paura irrazionale e senza basi scientifiche. A noi questo sembra un crimine contro la città. Molti concittadini rimangono indifferenti verso un qualunquismo a cui non interessa nulla se non ribadire un forte "no" anche se non si sa bene a che cosa. La verità è che siamo presi dalla c.d. sindrome del "nimby" che significa "not in my backyard" cioè "NO nel mio cortile". Sindrome che abbiamo visto all'opera in Val di Susa per la TAV e che qui a Trieste trova il suo apice nei cittadini che si organizzano per respingere un rigassificatore innocuo, che porta benessere e che non inquina, invece di prendersela con le decine di industrie già esistenti, magari a gestione fallimentare, e che oltretutto contaminano. Sono poche le voci che si alzano per fermare questa indolenza nonsepolista.

Le industrie inquinanti le lasciamo stare, tanto, ci sono già: chi ha il coraggio di toccare la Ferriera? Se ne parla solo nei periodi di elezioni per poi ritornare al terreno limaccioso delle dimenticanze e ormai la viviamo quasi fosse un ossimoro inevitabile, necessario e fatale della città. Tuttavia la nostra disaffezione si riscatta allorquando una nuova industria si vuole affacciare sul nostro territorio: in quella occasione reagiamo con stizza e anche sdegno dicendo NO!, come se questo "no" fosse anche in nome e per conto di tutte le altre industrie che non possiamo controllare. Purtroppo questa negazione che diamo con intensa leggerezza è un "NO" intriso di ideologismo ecologico. E' un "no" ideologico che ha la stessa natura del "no" che abbiamo dato ad esempio al nucleare, tema tabù nonostante siamo circondati da decine di vecchie e pericolose centrali a pochi chilometri da noi, all'eolico, perché si dice che l'impatto ambientale è devastante; oppure il "no" al fotovoltaico perché l'esperienza in Germania è stata fallimentare, o il "no" alle scorie radioattive a Scansano Jonico oppure ancora il NO alla geotermia perché sembra una risorsa di nicchia come le biomasse... insomma, NO a tutto: ma si può sapere che diavolo vogliamo?

Poi ci si lamenta che l'Italia non cresce, che ad esempio nel periodo 2001-2005 abbiamo fatto mediamente uno 0,7 per cento all'anno, là dove l'area euro è cresciuta del doppio e cioè dell'1,4%. Di fronte a queste notizie ecco che lo spirito italico si sostanzia inveendo contro il governo (che era di centrodestra ma se fosse stato di centrosinistra era uguale) senza renderci conto che il vero problema risiede nel nostro atteggiamento umbratile e diffidente verso il progresso. E' questa la ragione che ci tiene fermi! Cosa aspettiamo per rendercene conto? La verità è che senza il progresso moriamo per davvero e moriamo tutti. Stiamo seduti su una bicicletta, costretti a muoverci perché se ci fermiamo cadiamo, eppure desideriamo stare fermi, siamo un popolo che si è messo a sedere decadente e rassegnato, tormentato dagli oscurantismi, dalle superstizioni e dalle paure della modernità.

La prospettiva d'arroccamento su posizioni medievali contro il progresso ci porterà ad essere legati mani e piedi, per avere forniture di gas, a quei paesi che non brillano certo per democrazia. Già l'inverno appena trascorso è stato un incubo: non potevamo far altro che constatare come gli approvvigionamenti diminuivano quando la Russia ha chiuso le forniture per qualche giorno, vogliamo che la storia si ripeta? E se fossero rimasti chiusi per un mese? E se accadesse ancora? Ce lo ricorderemo questo "no" ai rigassificatori che oggi diamo con tanta leggerezza e superficialità? Non è meglio diversificare l'offerta e accettare queste gasiere che oltretutto avrebbero il vantaggio di ridurci la già esosa bolletta del gas? E' una ingenuità pensare che il monopolista russo Gazprom fosse a corto di gas e perciò abbia dovuto chiudere i rubinetti. E' stata una manovra con chiaro significato politico: vogliono entrare nel mercato italiano non solo come fornitori ma anche come azionisti dell'Eni che possiede le tubazioni. Vogliamo che entrino con le minacce? Dall'accordo recente tra Prodi e Putin parrebbe di sì.

Noi siamo un Paese che non ha fatto la rivoluzione liberale promessa e, come già dissi, presentiamo una delle clonazioni economiche più rare che esistano: quella del bradipardo. Si tratta della sindrome del bradipo nello scattare in ripresa quando l'economia è in espansione e quella del ghepardo nell'andare in recessione quando l'economia non "tira" più. Che fare allora? O diciamo ancora NO alle innovazioni, alla ricerca, al progresso ed imbocchiamo con coraggio la strada della recessione e del declino, oppure la soluzione non può essere che quella di immettere nel sistema più benzina liberale, più coraggio, più idee e più iniziative.

Forse è ora di cambiare registro ed incominciare a dire SI: SI alla TAV, SI al rigassificatore, SI alle riforme liberali, SI all'eliminazione degli ordini professionali, SI agli investimenti nella ricerca, SI ai Pacs, SI all'antiproibizionismo, SI all'esigenza anticoncordataria, un grosso SI alla difesa della laicità dello Stato e uno ancora più grosso alla difesa dei diritti civili ed a quella visione del mondo per cui non può esserci giustizia collettiva e progresso sociale senza il riconoscimento delle libertà individuali: non può esserci sviluppo senza democrazia, né democrazia senza sviluppo. Insomma, un SI grande, un SI convinto, un SI a tutto, anche al cambiamento delle regole del gioco, a cominciare da piccole cose come l'abolizione del valore legale del titolo di studio alle grandi cose come il battersi per la diminuzione demografica perché dobbiamo prendere coscienza che è la sovrappopolazione che impone al pianeta un danno permanente: nel 1991, il celebre Jacques Cousteau disse che "per stabilizzare la popolazione mondiale, dobbiamo eliminare 350 mila persone al giorno". Poi aggiungeva: "E' una cosa terribile a dirsi, ma è anche peggio non dirla".

Dunque non sono utili le chiacchiere moralistiche e le limitazioni gratuite ai diritti individuali; così come non è per niente utile la cultura politica dell'immobilismo, tipica della nostra città, e di quei giornalisti che cavalcano il conservatorismo anti-cambiamento e anti-futurista. Il mercato è indispensabile, ma non è né un mito né un toccasana. E' ora di cominciare a formare la nuova generazione tentando di riparare i guasti dell'odio che a loro è stato infuso per l'economia, per la scienza, per il mercato, per la stessa libertà. Per non parlare della credenza acritica verso le televisioni e i giornali. La vera opposizione alla decadenza del sistema imperante in cui siamo immersi, esiste, ma non ha spazi, anzi, lo spazio mediatico viene offerto soltanto agli imbonitori terroristi, prigionieri dei veti incrociati della politica che riducono la nostra città a un ossimoro, reclusa nelle proprie contraddizioni. Non è dicendo NO che si risolvono i problemi. I problemi si risolvono dicendo SI e dando più libertà, cioè con il liberalismo. La vera rivoluzione, almeno in Italia e soprattutto per Trieste, sarebbe proprio la rivoluzione liberale, liberista libertaria. Più benzina liberale e più idee liberali da immettere nel sistema, invece, quando è stato chiesto a Zeno lo spazio per controbattere gli articoli ostaggi dell'anti-futurismo, ci è stato negato. Quanti soldi riceve la rivista con la legge dell'editoria? E come si permette, con i soldi di tutti, di fare articoli in un solo senso? A chi giova?

Dunque, finiamola una buona volta con questo atroce miscuglio di luoghi comuni per cui tutto ciò che è occidentale è male, assieme a tutto ciò che è ricerca e sviluppo. Finiamola con i continui processi alla scienza, alla democrazia, al mercato, alla tecnologia, all'individuo e alla sua voglia di autorealizzazione. Finiamola, altrimenti ci troveremo con una patata bollente grande come un meteorite al prossimo inverno. Abbiamo il coraggio, invece, di mandare nel magazzino delle anticaglie questi rugginosi preconcetti fatti da reticenze consacrate che concepiscono l'uomo come una figura unidimensionale, insofferente alle regole e mosso esclusivamente da impulsi di accumulazione di ricchezza. Sono queste sciocchezze che ostacolano lo sviluppo, giacché tutti, assolutamente tutti, abbiamo a cuore la Natura, la nostra Madre Terra, ma gli opportunismi pelosi che mostrano l'Uomo sfruttatore insaziabile della natura che servono solo a certe forze politiche per cavalcare il buonismo ecologista portatore di veti, ma soprattutto di voti, non ci aiuta e rischia di portarci nel medioevo. Prima mandiamo in soffitta questa ideologia del "nonsepol" e meglio sarà per tutti, se non vogliamo essere più il bradipardo d'Europa, ma soprattutto se vogliamo finirla con il terrorismo bolso di Zeno e la sua stantia cultura politica fatta d'immobilismo e di anti-cambiamento.

Walter Mendizza 21 giugno 2006