LIBERALIZZIAMO L'ETA' PENSIONABILE


Uno dei fenomeni più rappresentativi della sciagurata situazione economica che sta vivendo il nostro Paese è la disoccupazione in età matura. Questa disoccupazione che qualcuno chiama "senile" in realtà ha una età media che si sta abbassando: i 55 anni di qualche anno fa, sono stati dapprima accorciati di cinque anni e ora si stanno decurtando di altri cinque; stiamo avvicinandoci paurosamente ai 45 anni. Perciò non si tratta più di disoccupazione senile ma possiamo chiamarla disoccupazione "senior" . La disoccupazione senior è una condizione infinitamente più drammatica di quella "junior" giacché quest'ultima è in un certo senso più "leggera" quasi una prosecuzione naturale della condizione fisiologica di ogni giovane. La disoccupazione senior è, invece, una condizione di tragicità per molti cittadini che sono senza lavoro in età matura, una condizione di intensità emotiva nella quale sono costretti ad attendere anni, privi di qualsiasi forma di reddito, per raggiungere i requisiti richiesti per la pensione. Potremmo definirli lavoratori anfibi, lavoratori della terra di nessuno, perché non sono né lavoratori né pensionati. Cittadini per cui l'attributo della drammaticità ci sta tutto perché su di essi gravava fino a quando lavoravano il peso della responsabilità famigliare e quindi alla loro condizione si aggiunge una mancanza di dignità, un'infamia percepita come vergognosa e indecente: quella di non poter più mantenere la propria famiglia.

La disoccupazione senior ha parecchie cause, molte delle quali possono essere ricondotte alla condizione di totale abbandono in cui si trova il management. Quando un Paese è in crisi e le fabbriche chiudono, o si fanno le c.d. fusioni, ci sono centinaia di lavoratori, molti dei quali anche dirigenti, che vengono prepensionati o semplicemente licenziati. Come in guerra, così in ufficio. Ma così come in guerra, chi sopravvive non è il migliore (a differenza di quanto accade in natura) anche nel mobbing aziendale la selezione della razza si inverte, non sopravvive il migliore, bensì quello più "intortato", quello che agisce, parla e si comporta con accortezza, con avvedutezza, quello che è più astuto, che ha maggiori agganci politici. Se ci pensiamo, è un effetto logico, una conseguenza naturale: chi è più bravo, più lavoratore, in genere è quello che al lavoro si dedica anima e corpo e quindi non ha tempo per coltivare le amicizie che contano o per seguire le cordate giuste o gli agganci politici opportuni. Queste sono cose tipiche di chi non ha niente da fare, di chi non ha passione per quello che fa. Perciò, il lavoratore vero, quello che crea, che studia, che si dedica, che cerca di capire, è quasi sempre quello meno "politico" e pertanto il più vulnerabile. E' lui il primo a saltare in un momento di crisi. Il nostro Paese ha purtroppo questo primato, che si configura come una delle nazioni che maggiormente tendono ad espellere i meno giovani dai circuiti professionali, senza garantire idonee opportunità di reingresso.

La Rosa nel Pugno può fare molto per questa situazione e per questi lavoratori. Può innanzitutto battersi per una nuova Riforma Previdenziale perché quella precedente non solo non tiene in alcuna considerazione il dramma di chi già oggi si trova in difficoltà ma, al contrario, crea i presupposti per allargare, a partire dal 2008, la categoria dei cittadini privi di reddito costretti ad attendere anni per maturare il diritto alla pensione. Poco più di vent'anni fa, il rapporto tra lavoratori e pensionati dell'INPDAI era di 6 a 1 mentre attualmente tale rapporto è crollato: 0,8 a 1. Cioè meno di un lavoratore per ogni pensionato! Per questo motivo, rispetto al preoccupante fenomeno (in crescita) di espulsione dalle attività lavorative, tenuto conto dell'aumento dell'aspettativa media di vita (fra le più alte del mondo), la Rosa nel Pugno deve necessariamente ricercare una soluzione urgente, visto che l'età a rischio di allontanamento dalle aziende - in particolare per le professioni di tipo medio alto - si sta progressivamente abbassando in maniera assai pericolosa. La curva dell'attività di uomini e donne ha subito profonde trasformazioni nel corso degli ultimi decenni: la parabola relativa ai maschi del 1970 era significativamente più ampia di quanto non si registri nel 2000, con un ingresso nel mercato del lavoro più anticipato e un'uscita più ritardata: gli uomini del 1970 già a 15 ­ 16 anni erano inseriti nel mondo del lavoro e vi rimanevano saldamente fino ai 60 anni e oltre; nel caso del 2000 non solo è posticipato l'ingresso ma si osserva una brusca caduta dell'occupazione intorno ai 55 anni e ultimamente anche intorno ai 45 anni.

A metà anno del 2003 ci fu un disegno di legge "Norme per favorire il reinserimento dei lavoratori espulsi precocemente dal mondo del lavoro" che fu annunciato all'Assemblea nella seduta antimeridiana del 2 luglio e deferita all'undicesima Commissione Permanente (lavoro e previdenza sociale) ma a tutt'oggi, a legislazione ormai chiusa, non risulta che la petizione sia stata presa in considerazione dalla Commissione competente. Questo disegno di legge aveva un titolo assai azzeccato a mo' di raggiante riassunto: Troppo giovani per la pensione, troppo vecchi per lavorare. Un sommario di sole nove parole che rappresentano un condensato del Caso Italia, uno spaccato della realtà sociale e del lavoro. Ci sono in questo momento in Italia più di un milione di persone che in un modo o nell'altro sono stati "convinti" a lasciare il proprio lavoro. C'è chi è stato persuaso con le buone e chi invece no. Se facciamo un confronto con gli altri paesi europei (fonte Eurispes) troviamo che nel 2004, in Italia, ogni cento persone con un'età compresa tra i 55 ed i 64 anni, ne lavoravano soltanto 31, contro 41 della Francia, 43 della Germania, 57 del Regno Unito e, prima tra le nazioni europee, le oltre 70 della Svezia! Inutile dire che con un numero così basso di lavoratori, il sistema previdenziale non si sostiene.

Preme sottolineare che i comportamenti basati sui licenziamenti studiati a tavolino, pensati a freddo per risparmiare sul personale ma non per valorizzarlo, sono quelli che ci hanno fatto diventare i fanalini di coda dell'Europa a livello economico e imprenditoriale. Chi mai potrebbe avere il coraggio di muoversi, di fare qualcosa di nuovo, nel nostro Paese? Nessuno. Nessuno fa niente perché è l'unico modo per non sbagliare. L'imprenditorialità viene punita mentre viene premiato chi riesce a dribblare i problemi, a restare sempre a galla, a non esserne "toccato" da essi. La nuova gestione aziendale nel nostro Paese si è trasformata in un campo di battaglia, una arena dove prevale il mors tua vita mea, e la mancanza di capacità tecnica e politica nonché di quella capacità di misurazione obiettiva su ciò che un lavoratore o un dirigente ha fatto e su come l'ha fatto, dà la percezione netta del pantano dove le aziende sono andate a finire e dove hanno trascinato il nostro Paese.

Con il presente punto programmatico la Rosa nel Pugno intende portare avanti una battaglia giusta, una battaglia per sollecitare interventi legislativi sul diritto al lavoro (non al posto di lavoro) e per la creazione di ammortizzatori sociali per questi lavoratori le cui possibilità di ricollocazione nel ciclo produttivo sono praticamente nulle e che si trovano a dover attendere per anni, privi di reddito, la maturazione del loro diritto alla pensione. Perciò è necessario dapprima promuovere nella pubblica opinione, la conoscenza della drammatica situazione in cui versano centinaia di migliaia di cittadini italiani privati per anni di ogni fonte di reddito. Dobbiamo tutelare gli interessi ed i diritti civili di queste categorie di cittadini per denunciare l'esistenza di palesi situazioni d'incostituzionalità nella applicazione delle normative in tema di trattamento previdenziale. Tuttavia la Rosa nel Pugno non si propone solo di denunciare le gravi discriminazioni a svantaggio di molti lavoratori nel riconoscimento del diritto di accesso al trattamento previdenziale, ma di trovare le soluzioni idonee e le fonti di finanziamento atte a creare gli ammortizzatori sociali.

I lavoratori in Italia che sono in questa situazione sono tantissimi e provengono da:

  • 1. ex-lavoratori dipendenti disoccupati, che non hanno ancora diritto alla pensione perché non in possesso di un sufficiente monte contributi versati o perché non hanno ancora l'età anagrafica fissata dalle riforme previdenziali ai quali è inoltre realisticamente preclusa ogni possibilità di ricollocamento in ragione dell'età anagrafica.
  • 2. ex-lavoratori dipendenti disoccupati che svolgono lavori saltuari, dequalificati e sottopagati, in attesa di maturare il diritto alla pensione che non viene loro riconosciuto perché nelle condizioni del punto 1. e non hanno la possibilità di pagarsi i contributi volontari.
  • 3. ex-lavoratori dipendenti in mobilità prolungata cui vengono corrisposti salari al limite della sussistenza, impossibilitati a svolgere altre attività pena la perdita dei "privilegi" dati dallo stato di mobilità, per i quali si prospetta il mantenimento dell'attuale condizione fino al raggiungimento dei termini per il diritto alla pensione di vecchiaia o di anzianità.
  • 4. lavoratori autonomi in grave difficoltà economica che, avendo versato contributi in diverse casse previdenziali, non hanno la possibilità di ricongiungere i diversi periodi contributivi e sono di fatto pesantemente discriminati rispetto ai requisiti loro richiesti per accedere alla pensione.
  • 5. lavoratori dipendenti discriminati, sottoposti a pratiche di mobbing, de-professionalizzati, minacciati di trasferimento in sedi disagiate, ecc., con l'unico obiettivo aziendale di costringerli a dimettersi.
  • 6. lavoratori coinvolti in processi di dismissione, fusione, ristrutturazione aziendale, ecc., che hanno come "normale" conseguenza il "taglio" di una parte della mano d'opera.
  • E' a questi lavoratori, a questi cittadini che la Rosa nel Pugno si propone come punto di riferimento organizzativo per segnalare la drammatica condizione di chi con la perdita del lavoro si trova oggi privato di ogni fonte di reddito, di chi si è visto negare il diritto di accesso alla pensione, di chi, infine, lavora sopportando una situazione di pesante emarginazione o che teme di essere la prossima vittima di un taglio occupazionale. Dal punto di vista economico e sociale, il fenomeno non è più funzionale neppure al mercato del lavoro giacché questo tenderà a scaricare sui lavoratori più anziani, liberandosene prematuramente, il costo di crisi e ristrutturazioni aziendali. La Rosa nel pugno dovrà mettere in evidenza le mancanze di un sistema che non è in grado né di garantire né di creare incentivi finalizzati a scoraggiare l'abbandono prematuro del posto di lavoro, come pure la promozione di interventi di formazione continua e la diffusione di una qualità e accessibilità del lavoro anche per i lavoratori senior e, al limite, anche attraverso misure di part-time.

    La nostra proposta:

    Liberalizzazione dell'età pensionabile.

    Diversi articoli della legge definiscono criteri e regole che permettano a chi ha già raggiunto i requisiti per l'accesso alla pensione di poter continuare a lavorare ottenendo delle forme di incentivo economico a vantaggio proprio e del proprio datore di lavoro. Si continua in modo ipocrita ad ignorare che le imprese buttano fuori i lavoratori appena superano i 45 anni, altro che dare loro la possibilità di rimanere al lavoro dopo che si è raggiunta l'età pensionabile. Perciò la nostra proposta è quella di LIBERALIZZARE L'ETA' PENSIONABILE. Si tratta di una proposta liberale e liberista che non pregiudica le casse dello Stato. In effetti, non c'è nessuna perdita per l'INPS. Dal punto di vista attuariale i valori di conversione della rendita di pensione rispetto ai contributi versati sono facilmente calcolabili attraverso formule attuariali demografico-finanziarie. Si tratta di un semplice calcolo che, naturalmente, comporterà una pensione molto più bassa di quella che sarebbe spettata se il lavoratore fosse andato all'età giusta e con i contributi giusti. Ma se il lavoratore accetta non si vede alcun motivo per denegare tale diritto.

    Questa proposta potrebbe essere coadiuvata da altri elementi come quello di permettere eventuali licenziamenti soltanto a quelle aziende che si sono dotate di un codice di autodisciplina, un codice etico a garanzia di comportamenti scorretti come quelli che stanno oggi avvenendo in tutta Italia; oppure creare dei meccanismi di tutela del lavoro come quelli adoperati in Svezia. Solo così potrà aversi un miglioramento della forbice tra la disoccupazione senior e la percentuale di lavoratori attivi. Per quanto riguarda le fonti di finanziamento del piano di ammortizzatori sociali, basterà imporre una tassazione alle aziende che non si dotano di tale codice di autodisciplina.

    Con questa proposta e questo meccanismo si chiude il cerchio sia dal punto di vista economico e sociale, sia da quello liberale e socialista. Perché risolviamo un problema senza aumenti dei costi sociali ed in alcuni casi come quello di dotarsi un codice etico di comportamento indicando anche le fonti di finanziamento. In effetti questa proposta appartiene alla medesima programmazione progettuale del liberismo e alla stessa elaborazione concettuale del socialismo, appartiene cioè a quella visione del mondo per cui non ci sarà progresso sociale né giustizia collettiva senza il riconoscimento delle libertà individuali. Non può esserci sviluppo senza democrazia e non ci può essere democrazia se l'ambito individuale, il privato, viene sottoposto a gravi limitazioni. E la peggiore di tutte le limitazioni è la fuoriuscita prematura dal mondo del lavoro.

    L'Unione ha finora preferito optare per una posizione di timidezza e talvolta persino di compiacenza verso un conservatorismo pigro e indolente, accantonando la centralità delle tematiche della Rosa nel Pugno. Un silenzio assordante sui pacs, sull'antiproibizionismo, sulle istanze anticoncordatarie, sulla ricerca scientifica. Un silenzio che è soprattutto mancanza di indicazioni innovative nei settori del lavoro, dell'occupazione e della tassazione. Una avversione al rischio spiegabile soltanto se non si volesse giocare la partita, una posizione pavida che cela una ignavia, una indolenza nascosta tra le pieghe dell'attendismo che non promette nulla di buono. Ciò preoccupa non poco i liberali della Rosa, poiché chi si attarda a comprendere che non si possono scindere diritti civili da problematiche economiche vive ancora nel secolo scorso. Se poi pensa che tali diritti hanno una funzione secondaria se non marginale allora non solo vive nel millennio passato ma ha una posizione antistorica che non tiene conto e non viene incontro alle pressanti domande di cambiamento provenienti dai cittadini.

    Tutti sappiamo che non c'è rosa senza spine. Anche l'Unione lo sa. Perciò nessuno si sorprenda se la Rosa diventa pungolo per l'Unione, una spina nel fianco: non per marcire giacendo, ma per stare facendo.

    Walter Mendizza

    Trieste 11/02/06