WALTER MENDIZZA - FISCO E PUTTANE


Il 15 gennaio del 2006 scrissi nel mio blog un articolo intitolato Fisco e Puttane. In esso dicevo che fu Caligola a vedere nella prostituzione un buon affare per lo Stato facendone un settore d'interesse per il fisco e che già nei tempi dell'antica Roma lo Stato tassava le meretrici. Le puttane avevano, nell'antica Roma, dignità fiscale. Allora dicevo che oggi non le tassiamo per quel cinismo connaturato alla nostra struttura psicologica che fa sì che il fenomeno che non si vuole vedere, non esiste. Si tratta dello stesso cinismo borioso che fa votare no al divorzio nonostante quelli che votano NO siano quasi tutti divorziati. Quel cinismo pavido avuto con gli embrioni votando NO al referendum o quello abbietto avuto sull'amnistia. Il cinismo che ci tiranneggia e che dovrebbe invece farci vergognare. Dicevamo quella volta che il comportamento è uno specchio dove ognuno riflette la propria immagine e chiedevamo che la prostituzione fosse libera ed acquistasse dignità sociale. Perché in fondo tutti ci prostituiamo ogni giorno, prostituirsi è anche vendere il proprio cervello, il proprio talento, il proprio tempo. Che differenza c'è tra vendere la propria immagine o il proprio corpo? Non è la stessa cosa? Eppure il nostro cinismo ci fa affibbiare appellativi impietosi a questa professione. Sì, perché puttana viene dal verbo latino putere, puzzare, così come troia è un termine spregiativo che fa riferimento alla femmina del porco e troiaio è il porcile per indicare quel luogo fetido e lurido dove le malcapitate si prostituiscono.

Adesso, dopo quasi due anni, possiamo vedere come si è evoluta la faccenda per questa signora proprietaria di appartamenti e auto che non ha saputo dimostrare, documenti alla mano, la provenienza del suo reddito. Intanto scopriamo che anche in questo caso vale la solita doppia moralità italiota mediante la quale chiamiamo le puttane a doveri fiscali di giorno per poi reprimerle di notte. In effetti, nonostante il mestiere non sia riconosciuto ma anzi, è perseguito da molti sindaci (Flavio Zanonato, sindaco di sinistra di Padova che combatte la "fauna indecente" o il sindaco leghista Tosi, di Verona), secondo la prima sentenza tributaria in Italia sulla materia, anche le prostitute devono pagare le tasse. Ad emettere tale sentenza è stata la Commissione tributaria della Lombardia che ha condannato la signora in questione perché secondo il calcolo dell'Agenzia delle entrate, i redditi della contribuente ammontavano attorno a 98 mila euro per il 1998 e a 87 mila euro per l'anno successivo. A conti fatti, la signora M.L. doveva pagare 68.277,67 euro. La donna confessò di non avere i soldi per pagare. Fece ricorso alla Commissione tributaria provinciale ed il suo avvocato riuscì a dimostrare (attraverso le inserzioni sui giornali e le bollette telefoniche) che faceva la prostituta e che essendosi sempre gestita da sola e senza protettore, aveva potuto accumulare un discreto gruzzolo che aveva diligentemente investito nel mattone. D'altra parte, tempo fa ci fu il caso di una operatrice psico-sessuale che si rivolse all'agenzia delle entrate ed all'Inps perché voleva pagare le tasse ed in contributi pensionistici, ma non le fu possibile perché non rientrava in nessuno dei codici attività predisposti dal legislatore.

Quindi, come la mettiamo? I giudici di primo grado le diedero ragione sostenendo che i guadagni della prostituzione «non possono essere considerati tecnicamente redditi» perché non sono collocabili né tra le attività illecite, né tra quelle lecite. Inoltre, i proventi dal meretricio sono una «forma di risarcimento del danno» che, vendendo se stessa, la donna subisce alla sua dignità e come tali non possono essere tassati. A questo punto uno potrebbe pensare che la signora M.L. ce l'avesse fatta. Invece no. La sentenza è stata ribaltata in appello. Le motivazioni della Commissione tributaria regionale partono dal presupposto che la signora in questione abbia avuto comunque un reddito (che lei ha dimostrato provenire dal suo lavoro di lucciola). Esso è quello "presunto" calcolato dall'Agenzia delle entrate. M.L. ha "chiaramente provato (...) quale era la sua attività negli anni, però non ha provato né quale era o poteva essere l'ammontare delle somme da lei percepite, né le somme da lei spese" perché "non ha prodotto una documentazione idonea", scrivono i giudici. Se l'avesse fatto, si sarebbe potuto stabilire con esattezza il suo reddito e forse avrebbe pagato meno. Incredibile, vero? Ancora più incredibile se si tiene conto che le lucciole hanno sempre voluto pagare le tasse! E per la solita ipocrisia clericale, le abbiamo sempre snobbate e invece di rincorrere le associazioni per delinquere di stampo mafioso che in strada mandano chi non ci vuole andare, mandiamo le forze dell'ordine a seguirle, inseguirle e perseguirle.

Secondo il Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio, in Italia sono 9 milioni i clienti delle prostitute (che sono stimate in 70 mila, di cui più della metà straniere) con un giro d' affari di 90 milioni di euro al mese. Immaginiamo che si tratti di 9 milioni di contrattazioni l'anno giacché se fossero 9 milioni di persone diverse si potrebbe azzardare che praticamente un italiano su tre va con una prostituta. La cosa è chiaramente irrealistica perché in tal caso ad andare a puttane sarebbe il Paese...D'altra parte, se supponiamo che i clienti siano "solo" un milione che vanno mediamente 9 volte l'anno, 9 milioni diviso 70 mila dà come risultato 128 che sarebbe il numero medio di rapporti che ogni prostituta avrebbe all'anno, il che significa una prestazione ogni 3 giorni. Se le cose stessero così, non sembra che sia necessario tutto questo trambusto che si vuole propinare all'opinione pubblica. Anche la stima fatta dal Dipartimento per le pari opportunità non appare congruente, se il giro d'affari è di 90 milioni di euro al mese significa che mediamente ogni prostituta guadagnerebbe 1.280 euro al mese che è la paga media di un impiegato, per cui delle due l'una: o la sfortunata signora M.L. è stata una sorta di picco, un'eccezione nel mondo delle lucciole e lo zelante funzionario dell'agenzia delle entrate è andato a sbattere in un'eccezione, oppure i numeri che il Dipartimento ha fornito sono numeri a casaccio. Del resto se qualche prostituta dovesse guadagnare molto di più di quella cifra media significa che altre guadagnano meno e non si vede il motivo per affrontare tutti i rischi che corrono per pochi centinaia di euro.

Alla fine di tutta questa vicenda viene da chiedersi: se i proventi provengono da un'attività illecita, allora devono essere confiscati, non tassati. Dunque, l'unica cosa buona di quanto è accaduto alla malcapitata signora M.L. è che adesso lo Stato è obbligato a dare alle prostitute un codice di attività che, con questo precedente, deve essere accettato ovunque. Perché giustamente senza codice attività non si possono versare le tasse: documentazione incompleta. Il vantaggio sta che con il codice di attività fare sesso per denaro non sarà più umiliante che vendere il proprio cervello o le proprie abilità per denaro. Fare la puttana sarà una professione come qualsiasi altra e a volte addirittura migliore di altre, come nel caso di alcuni giornalisti che oltre a vendere il proprio cervello per denaro, vendono anche la propria anima.



Walter Mendizza
Trieste 02 dicembre 2007