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 Il Foglio 14-05-2002

Controriforma friulana sul presidente della Regione con referendum "riparatore" all'orizzonte

LO STRANO CASO DELLA LEGGE APPROVATA DAL CONSIGLIO REGIONALE (CON IL CONCORSO DI CASA DELLE LIBERTÀ E RIFONDAZIONE) CHE RENDERÀ NUOVAMENTE POSSIBILI STAFFETTE E RIBALTONI

Nel Bollettino ufficiale della Regione Friuli-Venezia Giulia è stato pubblicato il 27 marzo scorso il testo della nuova legge regionale che disciplina la forma di governo e il sistema di elezione del Consiglio regionale. E' la prima regione a esercitare l'autonomia legislativa su questa materia e la legge approvata potrebbe costituire un modello non solo per le altre regioni ma anche a livello nazionale. Un laboratorio al quale occorre pertanto prestare la massima attenzione. La scelta operata dal Consiglio del Friuli-Venezia Giulia è destinata a far clamore: si tratta infatti di un sistema proporzionale con premio di maggioranza senza elezione diretta del presidente della Regione. I nomi dei candidati a tale carica saranno soltanto indicati sulla scheda elettorale, ma il Consiglio regionale rimarrà libero di eleggere chi crede (anche all'inizio della legislatura) e di cambiarlo quando e come vuole. Sarà pertanto possibile ogni forma di "staffetta" all'interno della maggioranza che ha vinto le elezioni (come il famoso patto del camper tra Craxi e Forlani) e anche ogni forma di "ribaltone" che porti al governo coloro che hanno perso le elezioni, con buona pace per le esigenze di stabilità e governabilità e per il rispetto della sovranità popolare. Al riguardo, del resto, la regione Friuli-Venezia Giulia dispone già di un significativo primato nel gioco del "tirasgabello" (definizione coniata dal costituzionalista Roberto Bin): nella scorsa legislatura (dal '93 al '98) furono cambiati ben cinque presidenti di regione, in media uno all'anno, con cinque maggioranze diverse, praticamente tutte le possibilità fornite dal calcolo matematico-combinatorio, in particolare con Lega Nord e Ppi presenti, separatamente o congiuntamente, in giunte di colore opposto.

Ma la nuova legge regionale contiene altre norme molto significative: il Presidente della Regione non avrà il potere né di nominare né tanto meno di revocare gli assessori perché la lista degli stessi dovrà essere approvata con unica deliberazione dal Consiglio regionale. Insomma il presidente non solo non sarà eletto dai cittadini ma rimarrà saldamente nelle mani dei partiti e delle loro alchimie. Il top dell'assemblearismo e della partitocrazia con la giustificazione dell'autonomia.

Chi ha approvato questa legge? I gruppi della Casa della Libertà insieme a Rifondazione comunista, Centro popolare riformatore, un consigliere Sdi-Verdi, due del gruppo misto, nel complesso 41 voti su 60 membri del Consiglio. Contrari Democratici di sinistra, Ppi-Margherita, Pdci, due consiglieri Verdi-Sdi, uno del gruppo misto. Il varo della nuova legge ha avuto come registi il presidente della Giunta regionale Renzo Tondo (Forza Italia, ex socialista, che ha sostituito il sen. Roberto Antonione, sottosegretario agli Esteri e candidato a coordinatore di Forza Italia) e, soprattutto, Giuseppe Ferruccio Saro, deputato azzurro, ex socialista, coordinatore di Forza Italia a Udine. La nuova legge è stata approvata con il sostegno determinante della Lega Nord e i mal di pancia di Alleanza nazionale che in Consiglio regionale ha dovuto mettere tra parentesi il suo presidenzialismo.

Ma ulteriori valutazioni politiche le rimandiamo a dopo perché la partita non finisce qui. Per avere il quadro della situazione bisogna infatti considerare le norme previste dalla legge costituzionale n.2 del 2000 che ha modificato gli statuti delle cinque Regioni a statuto speciale, attribuendo anche ad esse l'autonomia statutaria in materia di forma di governo e sistema elettorale, con due salvaguardie particolari (salvo la Val d'Aosta e la provincia di Bolzano): 1) una norma transitoria, operante solo in caso di assenza di una nuova legge regionale, che prevede l'elezione diretta del presidente della Regione (lo stesso sistema finora vigente nelle regioni a statuto ordinario che assicura la stabilità attraverso la regola fondamentale per cui presidente e Consiglio simul stabunt aut simul cadent); 2) la possibilità di sottoporre a referendum popolare regionale la nuova legge anche in caso di una sua approvazione con maggioranza superiore ai due terzi (grazie a un emendamento proposto dagli scriventi approvato alla fine di una lunga battaglia convincendo il relatore della legge costituzionale, il diessino Antonio Di Bisceglie, nonostante l'avversione della maggioranza dell'Ulivo favorevole a replicare l'impostazione dell'articolo 138 Cost. che esclude il referendum sulle leggi costituzionali approvate con maggioranza superiore ai due terzi).

L'imbarazzo di Alleanza nazionale

Guarda caso, la legge regionale del Friuli-Venezia Giulia è stata approvata, grazie ai consiglieri di Rifondazione comunista, proprio con un voto in più rispetto ai due terzi del Consiglio (41 voti su 60 componenti). Pertanto, può comunque essere richiesto il referendum da parte di un trentesimo degli elettori della regione (almeno 36.405), entro tre mesi dalla pubblicazione della legge (cioè entro il 27 giugno). Per la validità del referendum non occorre alcun quorum di partecipazione. Vince chi prende più voti validi. E se la nuova legge non fosse approvata non si determinerebbe alcun vuoto normativo, ma verrebbe applicata la norma transitoria con l'elezione diretta del presidente della regione. L'Ulivo, battuto in Consiglio regionale, è già impegnato nella raccolta delle firme per promuovere il referendum. Riccardo Illy ha costituito un comitato che coinvolge significativi esponenti della società civile come gli imprenditori Pierluigi Zamò, Silvio Cosulich, Gianni Stavo Santarosa, l'avvocato socialista Bruno Malattia, il sindaco di Pordenone Sergio Bolzanello di tradizione liberale e tanti altri. Se la raccolta delle firme giungerà al traguardo (difficile pensare il contrario) in autunno si andrà al voto. Cosa farà la Casa delle Libertà e, in particolare, Alleanza nazionale con la sua bandiera del presidenzialismo? Il senatore Giovanni Collino, membro della segreteria regionale di An, a differenza del segretario Roberto Menia, è fortemente critico nei confronti della legge: "Il provvedimento voluto dal Consiglio regionale ­ ha più volte ripetuto ­ ridà fiato alle spinte proporzionaliste che vanno contro il processo bipolare in atto nel Paese" e ha lasciato intravedere la possibilità, in caso di referendum, di un diverso posizionamento da parte di An.

Così pure l'on. Gustavo Selva che si dimostra sconcertato per la scelta compiuta in seno al Consiglio regionale "che rischia di regalare il presidenzialismo all'Ulivo e che è gravida di conseguenze anche a livello nazionale". Gianfranco Fini, che sembra essere stato messo al corrente della legge friulana solo quando i giochi erano praticamente fatti, parlando a Pordenone il 20 febbraio scorso ribadì il suo "convinto presidenzialismo" e si augurò "che in Regione la Casa delle Libertà faccia sua questa opzione", ricordando che "l'elezione diretta del presidente era stata sottoscritta nel programma della maggioranza". Ma il suo tentativo in zona Cesarini non ebbe effetto e dopo l'approvazione della legge regionale, avvenuta l'11 marzo scorso, non ha ancora detto una parola sul referendum.

Un percorso a ritroso?

Se già ora un estimatore di Fini come il costituzionalista Paolo Armaroli, in un articolo sul Giornale, ha criticato il presidente di An perché "il suo presidenzialismo per ora è un po' come il sarchiapone di Walter Chiari, puramente immaginario", si può comprendere quali contraddizioni potrebbero scoppiare in seno ad An al momento dello svolgimento del referendum friulano. A maggior ragione se nella Casa delle Libertà dovesse emergere, di fatto, la maggiore influenza della Lega Nord nel far valere le istanze federaliste rispetto a quelle presidenzialiste di An, nonostante la recente intesa tra Bossi e Fini per un equilibrio tra le stesse. Nella Casa delle Libertà è molto critico nei confronti della legge regionale friulana anche il leader del Ccd Marco Follini: "Una scelta assurda. Non si capisce perché in Italia si debba votare con le stesse regole da Palermo a Venezia e con regole diverse da Udine a Trieste. Una diversa legge elettorale sarebbe concepibile solo in un quadro di salvaguardia di qualche identità particolare". La partita del referendum friulano sarà dunque un test fondamentale dal quale può dipendere il presidenzialismo e il bipolarismo sia nelle altre regioni italiane sia a livello nazionale. Una partita così importante che sarebbe bene uscisse al più presto dalla contrapposizione degli schieramenti per caratterizzarsi più laidamente come contrapposizione tra contenuti, (anche perché i calcoli sulla presunta convenienza dei diversi sistemi elettorali per l'una o l'altra parte politica sono sempre aleatori,come dimostrano i tanti casi di eterogenesi dei fini che caratterizzano la storia delle leggi elettorali).

Nella vicenda un ruolo importante potrebbe essere giocato dai radicali e dalla loro capacità di mobilitazione, se sapranno evitare scelte di isolamento politico e di mera testimonianza, riuscendo invece a coniugare la loro iniziativa per un presidenzialismo di tipo americano (una proposta di legge in tal senso è stata già annunziata sul Messaggero Veneto dal radicale friulano Gianfranco Leonarduzzi) con l'esigenza primaria di respingere il tentativo di cancellare l'elezione diretta del presidente della Regione messo in atto dalla nuova legge elettorale del Friuli-Venezia Giulia.

Fino a oggi si pensava che, conquistata la stabilità di governo a livello locale e regionale attraverso l'elezione diretta di sindaci, presidenti di Provincia e di Regione, rimanesse da completare il processo riformatore a livello nazionale. Sembra invece in atto un percorso a ritroso, come i gamberi. Un percorso grave e pericoloso, tanto più in considerazione della riforma del titolo V che ha trasferito alle regioni competenze così rilevanti. Perdere in questo momento la stabilità di governo a livello regionale costituirebbe una vera e propria iattura. Ci auguriamo che le Regioni vogliano e sappiano respingere questa controriforma che rimetterebbe in discussione l'intero processo riformatore in senso federalista.

Calderisi -Taradash