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Il Messaggero Veneto 04-01-2002

I risultati di un sondaggio dell'Assindustria di Udine che conferma la ripresa degli investimenti

Industriali, il 35% vede rosa

Stabile per il 51% il portafoglio ordini, la produzione è di nuovo in crescita

di EUGENIO SEGALLA UDINE - Come vengono avvertite, dagli imprenditori friulani, le prospettive economiche del momento, con riguardo a due fondamentali parametri quali il portafoglio ordini e la produzione? E soprattutto, qual è il riflesso di questo giudizio sulle attese per il medio periodo? Per verificare gli effetti sull'industria friulana dell'inversione del ciclo economico, accentuatasi sui mercati internazionali dopo gli attentati dell'11 settembre, l'Assindustria di Udine ha promosso una consultazione sondaggio i cui risultati, pur sfaccettati, sono improntati a una percezione di stabilità, sia quest'anno rispetto al 2000, sia in riferimento a quanto è possibile preventivare per il 2002.

Previsioni a breve. Per quanto riguarda il livello degli ordinativi dell'ultimo trimestre 2001 (un dato interessante per poter formulare una qualche previsione per il futuro a breve raggio), la maggioranza degli imprenditori (il 51% addirittura) ritiene sia rimasto stabile. Soltanto il 13% lo ritiene aumentato a fronte di un 36% di pessimisti, che lo vede in calo. Queste percentuali si divaricano un po' nelle piccole aziende, mentre tra le medie è da sottolineare l'aumento al 22% di quanti dichiarano un portafoglio ordini cresciuto. Di tutt'altro segno i parere raccolti nella grande industria. Nessuno degli interpellati ha tracciato un bilancio positivo, il 43% indica una congiuntura stabile, e una larga maggioranza - addirittura il 57% - prospetta un quadro negativo.

È interessante notare - sottolinea l'Assindustria - come sulle grandi imprese si ripercuotano più che sulle medie o sulle piccole i riflessi del rallentamento manifestatosi nel 2001. In termini percentuali questa percezione si chiarisce ulteriormente e proietta, rispetto al 2000, una diminuzione del 19% del monte ordini nell'industria friulana. Dove la situazione è però peggiore, nel confronto sullo stesso periodo dell'anno precedente, è tra le piccole aziende costrette a conteggiare una flessione del 20% contro una del 13% nelle grandi industrie. Questo fenomeno involutivo risulta tuttavia assorbito - a parere dell'Assindustria friulana - grazie ai fattori di elasticità presenti nell'organizzazione del lavoro assai più che per merito dei tradizionali ammortizzatori quali la cassa integrazione, cui ha fatto ricorso poco meno di un terzo delle grandi aziende manifatturiere, e un'esigua minoranza di tutte le altre.

Quattro aziende su dieci hanno infatti preferito ridurre o eliminare gli straordinari per far fronte al calo della domanda e tre su dieci sono ricorse all'utilizzo delle ferie arretrate. Da notare che queste modalità di gestione dei punti di crisi sono state decise in un contesto di disoccupazione assolutamente fisiologica: tra il '95 e il Duemila i senza lavoro sono infatti calati in provincia di Udine dal 6,6% al 4,4%. Di più; nel 2001 quest'ultima percentuale ha segnalato un'ulteriore erosione. Cauto ottimismo. Le previsioni riguardanti l'andamento della produzione inducono invece a un cauto ottimismo. È un fatto importante perché riferito a uno dei parametri fondamentali dell'attività economica.

Una ripresa della produzione comporta infatti, a cascata, un miglioramento di tutti gli altri indicatori e soprattutto una situazione di mercato caratterizzata da una lievitazione della domanda. Il 35% degli imprenditori crede infatti in un incremento dei livelli produttivi, in particolare tra i piccoli. Ma anche i medi e i grandi industriali manifestano analoga fiducia. La maggioranza però (il 50% esatto) crede invece in una stabilità degli indici, in particolare nelle aziende medie e grandi (rispettivamente, al 60 e al 56%). Chi pensa invece che la produzione diminuirà, e che quindi l'orizzonte economico sarà fosco anche a breve, sono il 14% degli interpellati, concentrati soprattutto tra i piccoli imprenditori e molto meno tra i medi (rispettivamente 18 e 9%). Imprese flessibili. La quota delle aziende che hanno rilevato una contrazione della produzione corrisponde a ben vedere a quella raggiunta dal calo degli ordini. È la conferma della tendenza alla flessione a breve delle commesse che accentua la situazione di stazionarietà complessiva dell'attuale fase ciclica. Ma è anche la conferma che le imprese di minuscola dimensione evidenziano una maggiore elasticità nell'affrontare le conseguenze della decelerazione che colpisce in prevalenza le imprese più grandi e settori come il legno e il mobile, penalizzati dalla pesantezza della domanda.

A risentire di più del rallentamento sono stati infatti i settori tipici della specializzazione produttiva friulana, quali la meccanica, il legno in generale e i mobili in particolare; ma questo - ha annotato giorni fa il presidente Valduga - non impedisce la prosecuzione dei programmi di investimento, anche in prospettiva. Non si tratta, quindi, di vera e propria recessione. «La congiuntura - è la conclusione di palazzo Torriani - risulta dunque improntata a un forte rallentamento, ma la situazione complessiva non è di crisi né desta attualmente allarmismi». È in questa situazione che si inserisce un elemento determinante per valutare il grado di fiducia dell'imprenditoria friulana: la ripresa degli investimenti, che a parere del presidente dell'Assindustria friulana, Adalberto Valduga, è «forte». In una prospettiva di medio termine, dunque, la tendenza congiunturale dovrebbe migliorare, assieme agli indicatori.

Strategie di integrazione. Questa previsione - osservano a palazzo Torriani - necessita ovviamente del supporto di adeguate strategie di integrazione dei mercati e di competitività. In particolare nei mercati dell'Europa centro-orientale, alla vigilia del loro ingresso nell'Unione europea, si aprono prospettive ancora più interessanti, ma anche - fa notare l'Assindustria - rischi di nuova emarginazione. La differenza tra i due corni del dilemma la faranno in buona parte le politiche regionali o, meglio (per quanto ci riguarda), la capacità della nostra Regione di fornire servizi mirati a questa "espansione". «Imprescindibili - ha annotato palazzo Torriani nelle considerazioni a consuntivo del 2001 - diventano le scelte di politica industriale, che siano dirette a finalizzare gli strumenti di cui dispone la Regione al conseguimento degli obiettivi di crescita innovativa e dimensionale e di internazionalizzazione». Sarà questa, in sostanza, la sfida che dovrà affrontare la nostra economia. Sfida da giocare sul fronte "interno", con l'adattamento alle nuove ambizioni delle finanziarie pubbliche Finest e Friulia in particolare, ma anche sul fronte esterno con politiche in grado di pilotare la crescente necessità di delocalizzare le lavorazioni ad alto contenuto di lavoro, che ancora insistono sul nostro assetto produttivo e ne minano la competitività.

Le aree di confine. Oltre alle riforme di cui ha parlato il presidente Valduga nella conferenza di fine anno, l'Assindustria ha ripetutamente sottolineato l'urgenza di "attualizzare" la legge sulle aree di confine, «che andrà impostata collegando le prospettive della Regione, insieme a quelle del Nordest, al processo di allargamento comunitario, valorizzando l'individuazione del Friuli Venezia Giulia e del Veneto quali regioni frontaliere dell'Unione europea. È in questo contesto che dovrà essere ridefinito il ruolo della Regione (e del Nordest) nell'allargamento, con riferimento alle problematiche aperte, dal Corridoio 5 allo sviluppo competitivo del sistema delle imprese; dal miglioramento degli strumenti a sostegno dei rapporti di collaborazione e cooperazione con i Paesi dell'Europa centro-orientale, alla promozione di una maggiore integrazione nel campo del lavoro; dall'abbattimento dei costi energetici alla valorizzazione dei sistemi di trasporto», passando attraverso la rivisitazione del sistema infrastrutturale della regione.