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Il Gazzettino 22-11-2001

Fulmini sul superclub del Nordest

Nasce a Buttrio il "salotto buono" dell' imprenditoria, ma Lega e An attaccano: Regione scavalcata

Forse Buttrio non diventerà mai la Cernobbio del Nordest. Ma è tra queste colline, strette tra i vigneti e i capannoni della Danieli, che muove i primi passi il super-club degli imprenditori, battezzato dai "big" di Forza Italia. Nasce in una serata gelida e serena, tra gli affreschi di villa Dragoni. Ma i fulmini non tardano ad arrivare: Lega Nord e An del Friuli Venezia Giulia si sentono i parenti poveri, esclusi dal desco dove sull'abbondanza di oggi si prova a costruire le basi per quella di domani, mettendo insieme le «forze migliori per affrontare la competizione globale».

L'obiettivo della Fondazione che dovrà riunire i big dell'imprenditoria del Nordest, e la cui presidenza è stata offerta all'ex vicesegretario generale dell'Onu Giandomenico Picco, è chiaro nelle parole di Roberto Antonione, sottosegretario agli esteri e numero due di Forza Italia: «Fare in modo che il sistema Veneto-Friuli Venezia Giulia conti di più su temi come le infrastrutture, il lavoro, la politica internazionale». La politica, per poter espletare sino in fondo il suo ruolo e dare risposte, deve avere qualcuno dietro, spiega ancora Antonione.

Ma la politica non è solo Forza Italia, ribattono gli alleati, che per l'occasione vestono i panni di tutori dell'istituzione Regione Friuli Venezia Giulia, quasi del tutto tagliata fuori dal grande progetto. Il senatore Giovanni Collino, pari grado di Antonione in Alleanza nazionale, va subito all'attacco degli industriali, quelli friulani per l'esattezza: «Ho appreso della cena di Buttrio solo dai giornali e mi stupisce che il presidente dell'Assind di Udine Valduga abbia detto "finalmente abbiamo un punto di riferimento a Roma". Non si è accorto che li avevano anche prima? Il Nordest - si inorgoglisce Collino - non può costruire nessun progetto di sviluppo in assenza di Alleanza nazionale, avremmo gradito che gli imprenditori invitassero anche rappresentanti istituzionali di An».

Collino pensa soprattutto a Sergio Dressi, assessore regionale all'industria. Ed è lo stesso Dressi, in viaggio a Mosca «per costruire nuove opportunità imprenditoriali per le aziende del Friuli Venezia Giulia e di tutto il Nordest» - come precisa polemicamente -, a rincarare la dose: «Dalle parole degli industriali e di Valduga emerge incredibilmente una situazione tale da far ritenere che il Friuli Venezia Giulia si trovi all'anno zero dello sviluppo delle proprie azioni promozionali e di sostegno all'imprenditoria regionale, mentre è l'Associazione industriali che non sempre si è dimostrata pronta, attenta e propositiva rispetto a un'azione di coordinamento». Dal canto suo la Lega, con l'assessore regionale alle Finanze Pietro Arduini (vedi articolo a fianco), ricorda minacciosamente che «qualsiasi progetto con valenza politica ha bisogno anche dei voti degli alleati per passare».

È il metodo, non il merito, a innescare una polemica con gli industriali che sarà inevitabilmente destinata a propagarsi all'interno della Casa delle libertà. Nessuno obietta al presidente del Veneto, Giancarlo Galan, che «Friuli Venezia Giulia e Veneto hanno il dovere di giocare insieme la partita per evitare di avare un ruolo marginale nell'Europa di Domani». È la sostituzione di ruoli - così viene percepita - tra un partito (Forza Italia) e un'istituzione (la Regione) a irritare Lega e An.

Se la Fondazione vorrà e potrà decollare come "think-tank", al di là dei pur legittimi obiettivi più concreti degli imprenditori che ne faranno parte, la polemica politica innescata dal suo decollo andrà presto in archivio. Ed è probabilmente quello che si augura il presidente della Friulia Franco Asquini, che raccogliendo gli inviti di Valduga e del presidente di Confindustria regionale Andrea Pittini, ha annunciato con entusiasmo, «da commercialista», di aver già chiesto i preventivi per far "metter su casa" alla Fondazione. Quanto alla disponibilità di Giandomenico Picco ad assumerne la presidenza, è probabile un «sì». Anche perché al diplomatico verrebbe richiesto soprattutto il "timbro" prestigioso del suo nome, il che non gli impedirebbe di continuare il suo lavoro a New York.

M.P.