Il Messaggero Veneto 13-01-2002
Infrastrutture: una proposta del presidente degli edili dell'Assindustria friulana dopo il via libera del Cipe ai mega-cantieri
Il capogruppo chiede l'eliminazione degli ingorghi procedurali e la semplificazione degli appalti
di EUGENIO SEGALLA
UDINE - Il 21 dicembre il Cipe ha approvato i 19 progetti della "legge obiettivo", che indica le priorità infrastrutturali da realizzare e gli investimenti da finanziare, per un totale di oltre 120 miliardi di euro nei prossimi dieci anni. Essenziali per proiettare il nostro Paese in un futuro evoluto, e metterlo in condizione di cogliere al volo opportunità e potenzialità dei sistemi-Paese più avanzati, produrranno due altre conseguenze: moltiplicheranno ricchezza nel momento in cui ne faciliteranno la circolazione e, per corollario, creeranno 250 mila posti di lavoro.
L'elenco comprende i valichi del Frejus, del Sempione e del Brennero; gli assi ferroviari Torino-Trieste (alta capacità) e Tirreno - Brennero; le direttrici viarie sul corridoio padano con il passante di Mestre, Ventimiglia - Genova - Milano, ancora Tirreno Brennero, la nuova Romea, la Cecina - Civitavecchia; il progetto Mose a Venezia e il "quadrilatero" Umbria - Marche; ancora, i sistemi integrati di trasporto dei nodi di Roma, Napoli e Bari; la Salerno - Reggio Calabria - Catania (autostrada e ferrovia); infine il ponte sullo Stretto e gli acquedotti del Sud. Come si vede, il Friuli ne verrà solo sfiorato, con il quadruplicamento della Venezia-Trieste. Ma "passante" a parte, peraltro essenziale per "sturare" il collo di bottiglia che ingorga il traffico dell'intera regione, nient'altro è previsto: né la terza corsia, né la messa in sicurezza del Tagliamento; e tanto meno la Gorizia - Udine o la Cimpello - Gemona, per non dire dell'autostrada Udine - Pordenone, tutti progetti abbozzati da decenni nel libro dei sogni.
Su questi e altri temi interloquisce Giuliano Vidoni, presidente del gruppo Edili dell'Assindustria di Udine, 150 imprese circa con 3-4 mila addetti, contro le 500 aziende e i 10-12 mila addetti dell'intera regione, neanche la metà di quante se ne contavano al tempo della ricostruzione post terremoto. La sua azienda fa parte di quel 20% dedicato ai lavori pubblici, contro l'80% specializzato nell'edilizia abitativa. Presidente Vidoni, ritiene che la "regionalizzazione" del patrimonio Anas risolverà carenze e ritardi delle infrastrutture del Friuli-Venezia Giulia?
Se non decisivo, darà un contributo rilevante. La sua misura dipenderà però da come la Regione riuscirà a sciogliere gli ingorghi procedurali. Con l'assessore Seganti, ha finora dimostrato sensibilità ai problemi delle imprese e del territorio. Noi auspichiamo peraltro un'ulteriore semplificazione legislativa e burocratica. Le difficoltà derivano infatti non già dagli uomini, quanto dal sistema e dalla sovrapposizione legislativa. La Regione, che ha già avviato l'accorpamento in testi unici della polverizzazione normativa, spesso contraddittoria, deve proseguire sulla strada che ha già imboccato.
Con la "legge obiettivo" lo Stato intende cantierare subito le cosiddette grandi opere. Ritiene che possa diventare un metodo di programmazione buono anche per la Regione?
Soprattutto per la Regione, che dovrebbe individuare alcune grandi opere come prioritarie, determinare e trovare le risorse necessarie e bandire gli appalti ai quali dovrebbero essere ammesse quelle imprese - generalmente piccole e medie - che non hanno i requisiti per concorrere da protagoniste agli appalti delle grandi opere di interesse nazionale.
Di quali requisiti si tratta?
Fino a poco tempo fa la realizzazione delle grandi opere veniva suddivisa in lotti, oggetto di singoli appalti. Adesso no, c'è un appalto unico - naturalmente molto più corposo e responsabilizzante - e chi lo vince assume il ruolo di capofila, appunto di "general contractor". Deve perciò avere lo spessore patrimoniale, progettuale e tecnico sufficiente a portare a termine l'impresa. Nella galassia dei lavori pubblici questa è stata una rivoluzione copernicana. Il problema delle piccole e medie imprese è che il "general contractor" non diventi a sua volta stazione appaltante, in grado di condizionare in subappalto le imprese di minori dimensioni. Questo è un punto che merita di essere chiarito a livello normativo per non danneggiare irrimediabilmente i piccoli.
Perché non prevedere la possibilità, per le piccole e medie imprese, di consorziarsi?
Possono già farlo per partecipare alle gare d'appalto. Ma se una grande opera costa - poniamo - 500 milioni di euro e le piccole imprese non riescono a mettersi insieme, vengono escluse per forza di cose. E se non ci sono altri lavori, sono condannate a restare fuori del business. Abbiamo peraltro già imboccato la strada dei consorzi. Ultimamente, abbiamo costituito un comitato. E nostre imprese hanno formato consorzi stabili e/o associazioni di imprese. È però un procedimento laborioso.
Sta suggerendo un'alternativa idonea a rimediare al pericolo che la piccola e media impresa si veda costretta a subordinarsi alla grande o al gruppo di imprese che si fossero aggiudicate l'appalto in qualità di "general contractor"?
Anche questo, ma non solo questo. Certo, il rischio di un'esclusione delle piccole e medie imprese dagli appalti delle grandi opere è concreto. Per noi, in particolare, è un rischio esiziale: le nostre imprese, una soltanto delle quali è di grandi dimensioni, verrebbero automaticamente espulse dal circuito; al limite, farebbero da "subcontractor", con tutti i pericoli sui margini di redditività connessi al ruolo di dipendenza. Una "legge obiettivo" in ambito regionale ripristinerebbe anche la funzione della nostra impresa, sacrificata ogni volta che l'ente pubblico ha dovuto tagliare la spesa. Oggi che sta decollando una politica organica rispetto alle opere pubbliche, rispondente all'interesse generale, mi auguro che qualcosa del genere succeda anche da noi. Le sensibilità politiche ci sono e l'assessore ha dimostrato attenzione ai bisogni e alle priorità. Mi auguro soltanto che le piccole e grandi opere di questa regione non si incaglino nella burocrazia - ripeto, intesa come viluppo di leggi, di norme e di regolamenti - e nella mancanza di fondi. Mi auguro inoltre che le priorità tra le cosiddette grandi opere non siano tali da azzerare le piccole, nel senso che le prime marciano spedite su una corsia privilegiata, senza inciampi normativi o burocratici o di finanziamento, e le seconde vi sono invece esposte. La conseguenza sarebbe - ripeto - la loro emarginazione dal mercato; ma anche la rinuncia a investimenti utili a tutta la comunità. Per questa serie di ragioni auspichiamo che la Regione faccia qualcosa di equipollente alla "legge obiettivo" nazionale, investendo su quella infrastrutturazione che tutti considerano ineliminabile condizione del suo successo nel futuro a medio termine.
Quali potrebbero essere queste "grandi opere" di taglia regionale?
Ne indico alcune: la statale 56 da Gorizia a Udine, la regimazione del Tagliamento, la terza corsia autostradale, la Cimpello - Sequals, il completamento della Pordenone - Conegliano, e la Udine - Pordenone. Ma anche una più generale manutenzione viaria.
Tra queste ha citato il Tagliamento. È al corrente delle posizioni ambientaliste favorevoli a interventi morbidi e refrattarie alla «cementificazione»?
«Cementificazione» è una parola che non rende giustizia al progetto delle casse di espansione, che nulla hanno a vedere con le colate di cemento, bensì con la ghiaia. Questo progetto è considerato valido dagli esperti nella misura in cui promette di conciliare il rispetto degli equilibri ambientali con la tutela di chi abita non solo a Latisana, ma anche lungo il tratto mediano del fiume.
In passato i committenti lamentavano la lievitazione dei costi indotta dalla revisione prezzi. E oggi?Oggi il problema si pone in altri termini. E diventa acuto quando i cantieri devono essere fermati per questioni attinenti il progetto, o per l'emergere di situazioni ambientali impreviste o come effetto di nuove prescrizioni.
L'Assindustria ha ripetutamente denunciato l'emergenza manodopera. E voi?
Avvertiamo pure noi scarsità di manodopera. Per rimediarvi, auspichiamo l'adozione di misure idonee a permettere l'ingresso in regione di manodopera frontaliera.
Crede che il "project financing" sia la formula buona a risolvere il problema della scarsità di risorse rispetto ai bisogni di investimento?
Sì, purché il progetto stia in piedi anche sotto il profilo economico e finanziario. Questa è una condizione essenziale. Autovie Venete ha in previsione investimenti per tremila miliardi. Perché vadano a buon fine, mi auguro sia dilatata nel tempo la concessione Anas, in modo che la società possa fare i suoi conti - su costi e redditività degli investimenti - in un arco temporale più largo dell'attuale.
In passato molti stanziamenti per opere pubbliche sono finiti nella morta gora dei "residui passivi". Cosa deve essere fatto, oggi, perché non si ripeta questo assurdo?
Contrastare l'immobilismo del sistema e accelerare le procedure, anche attraverso l'accorpamento dei lavori. Ma il sistema migliore per evitare l'accumulo dei residui passivi è una "legge obiettivo" anche regionale, anche per il Friuli Venezia Giulia, conformemente ai principi di federalismo. Per questo non mi stancherò di chiedere un'accelerazione nelle procedure, per rendere realizzabili le opere e il riordino - non la riscrittura - della normativa in materia; riordino finalizzato a enfatizzare la chiarezza della fonte. Fortunatamente, ho l'impressione che la Regione si muova in questa direzione.