Il Piccolo 19-02-2002
L'idea, lanciata ieri da Gherghetta, fa subito proseliti nel Centrosinistra. L'obiettivo è di superare i 40 voti in Consiglio e mettere in difficoltà la Cdl
Il referendum sull'elezione diretta del presidente destinato a essere spostato a ridosso delle regionali 2003
TRIESTE - Più che una legge, un rebus. Con referendum ipotetici, scadenze improbabili, confusione generale. Viaggia in mezzo a continui colpi di scena, la legge elettorale. Un testo che, ormai è chiaro, ha diviso la maggioranza, mentre sta ricompattando, in maniera insperata, l'opposizione. Galvanizzato dall'ipotesi di ricorrere al referendum abrogativo (anche se, va detto, il provvedimento relativo, piccola bugìa istituzionale, parla di «confermativo») il centrosinistra va a ruota libera. E lancia la provocazione finale. Lo ha fatto Enrico Gherghetta, segretario provinciale di Gorizia dei Ds, dal palco dal quale avrebbe dovuto parlare ieri sera Piero Fassino. Con meno pathos, magari, ma idee ben precise. E proponendo, paradossalmente di far passare il provvedimento «incriminato». «Votiamo a favore delle legge - ha tuonato Gherghetta - e facciamo in modo che ottenga i famosi 40 voti della maggioranza qualificata. E poi, subito dopo, attiviamoci per la raccolta di firme referendaria».
Una strategia tirata fuori dal cappello a cilindro? Gherghetta preferisce parlare di «rispetto degli elettori». «Non meritano che si facciano giochetti sulla loro pelle - precisa - e quindi la parola d'ordine deve essere: facciamo del male a questa giunta, togliendo loro ogni via di fuga. Del resto oramai è certo: dalle stanze ovattate del Consiglio regionale non può venir fuori niente di buono, visto che la coalizione di centrodestra si è scritta una legge autoreferenziante. E allora è meglio, molto meglio, far parlare la gente».
La scelta è tattica, prima ancora che politica. La coalizione di governo, ormai è cosa nota, tenta di tirarsi fuori dai rischi di una sconfitta, sull'articolato, che viene data per sicura, anticipando la scadenza della chiamata alle urne. E togliendo alla controparte anche l'«arma» della raccolta di firme. Solo che, ed è l'ennesimo «coup de theatre», è una pia illusione anche questa. Esiste, al riguardo, un documento inconfutabile: la legge regionale 29 del 27 novembre del 2001, approvata dalla stessa maggioranza attuale, che sembra poter dare un colpo mortale ai «desiderata» di chi era ormai certo di poter andare al voto in primavera, magari appigliandosi alla scadenza delle «amministrative». Nei fatti, ciò non è possibile. Anche se dovessero maturare, come veniva ormai dato per scontato, le dodici firme di consiglieri regionali, che, sollecitando la consultazione referendaria, renderebbero nei fatti pleonastica la raccolta di firme, non si sfugge da quella, chiamiamola così, camera di decantazione di 90 giorni, disposta, seppur andando per assurdo, per vedere se qualcuno vuole raccogliere firme per dar vita a un refererendum già attivato dal semplice gesto dei consiglieri. Uno scrupolo democratico, sembra, tale comunque da mandare a carte quarantotto i calcoli del più fine politologo.
Seguendo parte per parte il dettato della legge che disciplina il referendum, infatti, è facile vericare un percorso (passaggio dall'aula alla segreteria generale della giunta e poi all'ufficio di presidenza), che rende matematicamente impossibile la consultazione popolare entro giugno e, anzi, la fa slittare a quel mese di novembre ampiamente indicato, e non da oggi, dai raccoglitori di firme in pectore. «È comunque una sconfitta per tutti - annota malinconicamente Franco Brussa della Margherita - che il consiglio non sia in grado di trovare una legge largamente condivisa. Ma è singolare che la stessa maggioranza, che vedeva nella legge elettorale uno dei suoi punti qualificanti, sia la prima a pensare di delegittimarla, andando al referendum».
Furio Baldassi