Il Piccolo 27-01-2002
L'orrore delle Foibe spesso è servito per tentare di bilanciare o oscurare altre colpe
Tra Fini e il suo sdoganamento come ministro degli Esteri c'è ancora la cruna di un ago. Stretta, maledetta e moralmente ineludibile. Sta lì ad aspettare al varco il suo partito, oggi, giorno consacrato alla memoria. Non a Roma ma qui a Trieste, che di quella memoria è il buco più nero e complesso in campo nazionale: la città dove il fascismo diede il peggio di sé, dove il Duce proclamò le leggi razziali, e dove sorge l'unico campo di sterminio in terra italiana, la Risiera. Fini non ci sarà alla cerimonia nel vecchio lager-monumento; gli ha già reso dovuto omaggio un anno fa. Ma ci saranno i suoi quadrumviri di frontiera, assai meno propensi a riconoscere le responsabilità del regime in tema di Shoah e persecuzioni.
Anche per questo Amos Luzzatto, presidente delle comunità ebraiche d'Italia, ha scelto Trieste come luogo-simbolo della celebrazione. Per controllare che l'operazione avvenga senza sotterfugi o omissioni. E coinvolga non solo Fini, ma An come partito. Il rito del 2002 alla Risiera è un evento nuovo, quasi rivoluzionario. Non ha niente in comune con quelle degli anni precedenti. Stavolta An governa, e non solo a Roma. Governa anche a Trieste, con la nuova giunta del dopo-Illy. E governa, come se non bastasse, proprio la Risiera. Il monumento dipende infatti dalle cure dell'onorevole Roberto Menia, neo-assessore comunale alla cultura.
E ora tocca proprio a Menia, vicinissimo a Fini fin dai tempi del saluto romano, il delicatissimo compito di far sì che la cerimonia di oggi avvenga senza strappi e senza contestazioni. Per riuscirci, ha avviato con la striminzita comunità ebraica locale una vera e propria offensiva del sorriso, inondandola di attenzioni. Era il Capo a volerlo. Ma la cosa non va giù a molti ebrei, alle sinistre, e ai pochi che - nel Paese delle amnesie - conservano una memoria lunga. E c'è chi prepara, per questo, contestazioni silenziose.
Menia, come molti del suo partito, non ha mai ammesso apertamente ciò che tutti i libri di storia dicono con chiarezza. Primo: la Risiera non fu una cosa gestita dai soli tedeschi, come è comodo pensare. Per il suo funzionamento furono essenziali i delatori italiani, cioè i fascisti di Trieste. Furono talmente tante, e talmente pignole, quelle denunce che persino la Gestapo ebbe a lamentarsi. Ma chi sono questi, brontolarono i nazisti, che vogliono insegnarci il mestiere? Secondo punto: la Risiera bruciò nei suoi forni solo poche decine di ebrei, ma fu la stazione di transito per spedirne migliaia nei lager oltre le Alpi. Già prima della calata dei tedeschi il 9 settembre '43, gli ebrei di Trieste furono censiti e stanati con uno zelo che non ebbe eguali in nessuna città italiana. Terzo: dentro quelle terribili mura l'olocausto riguardò soprattutto altri: gli slavi. Migliaia di sloveni e croati, altra "razza inferiore", fatta passare per il camino.
Trieste è sempre stata centrale per Almirante, Fini, An e per l'ex Msi. Città per anni alla frontiera del comunismo, città di genti in fuga dalla pressione etnica titoista: dunque, comprensibilmente, città di destra. Ma il successo elettorale di questa destra si è basato proprio sullo strabismo della memoria. A Trieste An e alleati potevano sfruttare un vantaggio unico: l'orrore delle Foibe, firmato dai comunisti. Quell'orrore bilanciava, oscurava e consentiva persino di assolvere colpe precedenti. Così la Resistenza sparì, e da valore fondativo della Nazione divenne orrore gestito dagli slavi. Nel dopoguerra gli zelanti delatori degli ebrei furono velocemente riammessi nelle professioni. Il revisionismo entrò nel sentire comune e le memorie si divisero in modo irrimediabile. Ancora oggi a Trieste non è possibile parlare di Olocausto senza che si riparli delle Foibe. Senza che si dica: taci, i miei morti valgono più dei tuoi.
A Trieste, anche An è diversa dal resto del partito. Non è una destra ideologica, ma etnica. Fini, ora che vuol fare il ministro degli Esteri e deve farsi accettare dal salotto buono internazionale, ammette, bontà sua, che Mussolini "non fu il più grande statista del secolo". Qui invece, i suoi uomini non solo non ammettono alcunché per non perdere voti, ma partono alla grande con strane riabilitazioni. Neanche seduto nella sua poltrona, l'italianissimo neo-assessore ha rimesso fra i ritratti dei sindaci in municipio l'unico podestà non italiano, un pover'uomo nominato dai nazisti dopo che Trieste fu annessa al Reich. Poi, ha proposto di dedicare una strada ad Almirante buonanima. Il quale non fu solo padre-padrone del Msi, ma anche viceministro della Republica di Salò, e soprattutto attivo segretario de "La difesa della razza", il periodico fascista che sugli ebrei vomitò cose orripilanti.
Oggi sarà il sindaco a tenere il discorso, Roberto Dipiazza di Forza Italia, un allegrone che di tombe non ama sentir parlare. Di conseguenza l'assessore Menia tacerà, e gli va benissimo così. Non dovrà ammettere niente. E qui arriva la domanda: taceranno anche gli ebrei? La tentazione del silenzio può essere comprensibile. La comunità triestina - un tempo floridissima - è ridotta all'osso, impaurita. Vorrebbe chiudere con questa storia una volta per tutte e teme di trasformare in gazzarra proprio il luogo più santo della memoria. In più, non pochi dei suoi iscritti, vicini al centro-destra, preferiscono non creare problemi alla locale giunta. E lasciamo stare se Menia, appena dieci anni fa, sfilava con gente che definiva la Risiera "un cumulo di menzogne", un luogo da demolire.
Il rischio è grave: quello di uno sdoganamento silenzioso e puramente coreografico, che non chiarisca nulla e si consumi solo per spingere Fini dove vuole. Nel clima di generale revisionismo morale che dilaga nel Paese, col ritorno in auge di Craxi e dei tangentisti, la cosa potrebbe anche passare inosservata. Nessuno vedrebbe che, nella Trieste "cara al cuore", rischia di consumarsi un baratto poco onorevole: la riabilitazione della memoria degli ebrei uccisi, che a Trieste furono tutto sommato pochi, contro l'oblio o un omaggio in sordina per gli altri morti, che furono la maggioranza. Una riedizione, insomma, della vecchia memoria strabica. Per questo gli sloveni di Trieste hanno chiesto di tenere un'orazione nella loro lingua. E di questo alla Risiera parlerà Amos Luzzatto, un uomo che ha sempre interpretato in modo "largo" il compito degli ebrei contro le rimozioni interessate. La questione non è di secondaria importanza, perché - a differenza che per gli ebrei - qui l'amnesia di An è nazionale, non solo triestina. Nemmeno Fini ha mai ammesso nulla sull'atteggiamento dei fascisti nei confronti delle popolazioni slave; le stesse che ora si preparano a entrare in Europa e con le quali Fini si candida a negoziare.
Pare difficile che una trattativa possa partire senza un mutuo riconoscimento preventivo dei torti commessi. Ora, da parte italiana si dice - ed è vero - che con sloveni e croati non vi fu mai genocidio etnico, non si obbligarono popolazioni a spostamenti in massa come poi toccò a molti italiani in Jugoslavia. Ma è altrettanto vero che la pressione intimidatoria fu bestiale: ben prima della guerra la lingua minoritaria fu proibita con la forza e l'insulto, le scuole furono chiuse e la campagna di sradicamento culturale fu implacabile. Di tutto questo si tacerà ancora con Fini, una volta alla Farnesina? Questo preludio triestino, il siluramento di Ruggiero e le battute euroscettiche di molti ministri di Berlusconi non lasciano sperare gran che. Berlusconi, poi, non si accorgerebbe di nulla. Per l'Uomo della provvidenza la politica estera, mestiere in cui afferma di navigare alla grande, è questione di "alito fresco" e "mani non sudate". Quando divenne premier nel '94, il Cavaliere - totalmente digiuno di cose internazionali - si fece talmente condizionare da An e dai liberal-nazionali triestini da finire in pochi mesi in un binario morto nella vitale trattativa con Lubiana e Zagabria. E ciò in un momento delicatissimo, con la guerra dei Balcani in corso e il corridoio Cinque per Kiev tutto da decidere.
An non molla, figurarsi ora che governa la città. La distensione di frontiera voluta da Illy è stata messa in archivio e persino l'accordo strategico col porto sloveno di Capodistria è stato giudicato un pericolo, un'introduzione surrettizia del bilinguisno in terra italiana. Dopo il maquillage su Mussolini e sugli ebrei, la questione della frontiera orientale mantiene intatto il suo potenziale destabilizzante. Oggi, come ieri, Trieste resta il tappo della politica estera italiana ed europea.
Paolo Rumiz