Il Piccolo 18-01-2002
La commissione consiliare ha quasi concluso l'esame della bozza di legge elettorale che approderà in aula il 12 febbraio
A favore solo Ds e il verde Puiatti. Sul proporzionale resta l'ombra del referendum
TRIESTE - Da ieri è sicuro: il Friuli-Venezia Giulia non avrà un presidente eletto direttamente dai cittadini (a meno che un referendum popolare non decida il contrario). Ciò non è infatti previsto dalla riforma elettorale proposta dal Centrodestra, e un emendamento dei Ds - che puntava anche qui all'elezione diretta di un «governatore» come nelle altre regioni italiane - è stato bocciato ieri in sede di commissione. Unico favorevole, oltre ai Ds, il verde Puiatti; astenuti i comunisti italiani e contrari tutti gli altri (non solo Forza Italia, Ccd, Alleanza nazionale, Lega e gli ex popolari del Cpr ma anche i popolari della Margherita e Rifondazione comunista). A questo punto, respinto tale emendamento, i Ds hanno rinunciato a presentarne degli altri, tutti legati alla formula presidenzialistica, per cui la battaglia è stata praticamente trasferita all'aula, a partire dal 12 febbraio.
L'esame dei singoli articoli della riforma è allora proceduto speditamente, sì da consigliare il rinvio a lunedì solo di alcuni punti ritenuti degni di ulteriori confronti, e fra questi la questione della rappresentanza slovena. La maggioranza di Centrodestra ha poi invitato Rifondazione a ritirare un emendamento che proponeva la riduzione dal 5 al 4 per cento della soglia di sbarramento: essa si è infatti impegnata ad approfondire tale ipotesi da qui all'aula.
Salvo alcuni aggiustamenti secondari, quella che approderà infine in aula sarà dunque la proposta del Centrodestra. La quale consiste in un sistema proporzionale (corretto da una soglia di sbarramento e da un premio di maggioranza) che prevede l'elezione a presidente, da parte del consiglio, del capolista di un «listino» di candidati proposto dalla coalizione più votata. L'alternativa sarebbe, a questo punto, l'applicazione anche qui del sistema vigente nelle altre regioni (un mix di maggioritario e proporzionale con elezione diretta del presidente da parte dei cittadini), e ciò in virtù di una norma transitoria imposta a suo tempo dal Parlamento per iniziativa dei Ds e di Alleanza nazionale.
«Si poteva anche escludere la norma transitoria e fare una legge migliorativa del ''Tatarellum'' vigente nelle regioni ordinarie - ha polemizzato il diessino Travanut - ma An ha cambiato idea sul presidenzialismo, ed ecco un pasticcio che tenta di conciliare l' impossibile: il proporzionale col bipolarismo». Ugualmente, se un referendum popolare non confermasse la legge approvata dal Consiglio, verrebbe poi ricondotta alla gente la scelta del presidente. Ed è qui che Gottardo (Cpr) ha replicato: «La maggioranza non teme un eventuale referendum, perché sapremo andare nelle piazze a illustrare la validità di una legge elettorale democratica e trasparente».
E il leghista Zoppolato, di rincalzo: «La nostra proposta è un compromesso degno tra forze che avevano orientamenti diversi». Invece, secondo Bruna Zorzini (Pdci), è una proposta peggiorativa addirittura rispetto a quella inizialmente prodotta dalla stessa maggioranza, per cui n'è uscito un «contorto simil-presidenzialismo tarato sulle aspettative di questo Centrodestra». Per Pegolo (Rc) una soglia del 5 per cento sarebbe «una forzatura inaudita» e il premio di maggioranza «spropositato». E Brussa (Margherita): «Non tutto è da buttare, ma è da verificare se questa maggioranza ricerca davvero il dialogo sì da approvare la riforma con quei 40 voti che sono necessari per ostacolare eventuali referendum».
g. p.