Il Piccolo 13-03-2002
Anche nella Cdl non mancano i contrasti. Legge scaricata da due «pezzi da 90» di Fi e An
«Se saremo sconfitti nella consultazione qualcuno dovrà pagare»
TRIESTE - L'approvazione a denti stretti di un testo che rappresentava l' unico compromesso possibile per mantenere in piedi l'alleanza Polo-Lega, lascia ora dietro di sé - all'interno della stessa maggioranza - una scia di palese scontento. Il quale fa presagire che d'ora in poi il Centrodestra non si spenderà troppo in difesa della riforma elettorale che il Centrosinistra si propone di abrogare tramite referendum: salvata la coalizione, ora succeda quel che ha da succedere...
Già all'indomani del voto, infatti, il coordinatore pordenonese di Forza Italia, Michelangelo Agrusti - che insieme con l'onorevole Danilo Moretti, della Bassa friulana, si era già dichiarato pubblicamente contrario alla soluzione infine adottata - polemizza: «Ora chi ha fatto questa legge se ne deve assumere la responsabilità fino in fondo: se alla fine il giudizio popolare fosse impietoso, qualche riflessione qualcuno dovrebbe pur farla...». Ma se Agrusti e Moretti hanno esternato una posizione condivisa da molti azzurri nel definire come un «presidenticchio» o come un «presidente dimezzato» quello che scaturirebbe da questa legge (in quanto prevede solo l 'indicazione del presidente in luogo della sua elezione diretta da parte dei cittadini) va già decisamente duro, invece, l'udinese Gabriele Renzulli, già responsabile di Forza Italia per i problemi della Sanità e ultimamente dimessosi dal partito.
Il quale spara a zero su una legge che «certamente non si propone la stabilità dei governi e delle legislature introducendo, con la previsione che il presidente possa essere cambiato, un vero e proprio principio di instabilità». E ancora: «Né si propone l'autorevolezza del presidente, facendone una sorta di visconte dimezzato rispetto agli altri suoi colleghi italiani; e non parliamo - soggiunge Renzulli - del possibile subentrante, frutto neanche di indicazioni ma di mediazioni. Vero obiettivo della legge - conclude - è l' autotutela della maggioranza. Per cui non tiriamo in ballo la specialità regionale!». Neanche gli uomini di spicco di Alleanza nazionale esitano a bocciare senza appello il testo approvato. In testa - oltre all'onorevole Giovanni Collino, co-fautore dell'imposizione parlamentare del «Tatarellum» anche nel Friuli-Venezia Giulia qualora qui non si legiferi diversamente - il pordenonese Manlio Contento, già consigliere regionale e attuale sottosegretario alle Finanze.
«Dico che il dibattito politico non finisce con questo voto, ora ci sarà un dibattito - dice l'onorevole Contento - anche nella società regionale, ed esso porterà dritto dritto al rinnovo dell'attuale Consiglio regionale: il confronto referendario su questo tema porterà infatti ad amplificare lo stesso confronto elettorale della primavera 2003». E in vista di un referendum abrogativo dice chiaro e tondo che «di sicuro non mi adopererò per difendere questa legge. Da presidenzialista convinto, sono certo della necessità di una Regione forte, all'interno della quale siano attenuati i conflitti campanilistici. Un vero presidenzialismo obbligherebbe infatti la società regionale a confrontarsi sugli uomini e le idee, indipendentemente dai territori che li esprimano». Da registrare infine l'uscita dall'orbita polista da parte del segretario regionale del Psi, Alessandro Gilleri, che giudicando la legge «un brutto anatroccolo che non diventerà mai un cigno» si schiera ora a favore del referendum abrogativo.
Giorgio Pison