COMUNICATO 02-02-2004
Caso ParmalatIn questi giorni quasi tutti i telegiornali nazionali e locali fanno un gran parlare del cosiddetto "caso Parmalat". Centinaia di articoli su moltissimi quotidiani e settimanali cercano di approfondire la vicenda e di trovare delle logiche spiegazioni sul perché chi avrebbe dovuto controllare non lo ha fatto o lo abbia fatto male. Nel mirino dei giornalisti sono finiti la Consob (che controlla la Borsa), la Banca d'Italia (che sovrintende e controlla tutte le altre banche), i cosiddetti super ispettori del Secit (che vengono pagati tantissimo per ispezionare quasi tutti gli apparati finanziari nazionali) ed altri soggetti con ruolo pubblico che ruotano intorno al variegato mondo dell'alta finanza. Nessuno, però, almeno fino ad oggi, ha osato puntare il dito contro la Guardia di Finanza, la quale, nell'ambito di questa vicenda, sembra avere assunto solo il ruolo di castigatrice dei vari implicati del caso Parmalat.
Di sicuro ci sono dei sottufficiali e degli ufficiali che attualmente coadiuvano i vari pubblici ministeri nell'ambito delle delicatissime indagini, tale dato oggettivo nessuno può negarlo né tanto meno si può sminuire il lavoro certosino di questi finanzieri. C'è però un punto poco chiaro sul quale andrebbe fatta piena luce: perché la Parmalat S.p.A. non riceveva verifiche fiscali da parte della Guardia di Finanza dal lontano 1992? La notizia non è affatto di poco conto ed andrebbe analizzata nel merito con estrema attenzione. Se la frase estrapolata da uno degli interrogatori degli indagati è stata riportata fedelmente dal quotidiano l'Espresso oggi in edicola ( ed allo stato attuale non abbiamo ragione di dubitarne), la posizione di alcuni alti gradi delle Fiamme Gialle (cioè di coloro che dispongono le verifiche fiscali) assume un particolare interesse anche sotto il profilo penale. Secondo l'Espresso, Gianfranco Bocchi, uno dei contabili del gruppo, interrogato in carcere, avrebbe detto: "Avevo espresso al direttore finanziario Luciano Del Soldato i miei timori nell'eventualità che ci fosse stata una verifica ispettiva sui bilanci del gruppo, ma lui mi tranquillizzò: non ti preoccupare sono stati tutti pagati".
Da indiscrezioni trapelate pare che nei documenti dell'inchiesta abbia fatto l'ingresso il nome di un ufficiale la cui moglie è stata assunta in un istituto di credito parmense. Quasi tutti gli indagati, però, hanno detto che era direttamente Calisto Tanzi a gestire questo tipo di rapporti. Lo stesso Fausto Tonna avrebbe sostenuto, sempre nell'ambito degli interrogatori, che nel 2002 Tanzi avrebbe affermato "che era prevista una verifica in Parmalat" e poi gli avrebbe chiesto "se era meglio farla venire subito o più avanti". Quindi, da queste dichiarazioni, emergerebbe una situazione veramente sconcertante: non solo Tanzi sarebbe stato in grado di conoscere quando avrebbe subito la verifica fiscale, ma sarebbe stato in grado anche di pilotarla nel periodo a lui più gradito. Se ciò fosse dimostrato dalle indagini in corso significherebbe che la Parmalat era in grado di controllare i vertici (almeno quelli locali) della Guardia di Finanza. Una notizia che è di una gravità inusitata se si pensa a quello che è accaduto in questi anni alla Parmalat ed ai risparmiatori che hanno perso i loro risparmi.
Questo scandalo, dunque, potrebbe assumere analoghe dimensioni come quelle del famigerato scandalo dei petroli, che, nell'ormai lontano 1978, vide coinvolto l'ex comandante generale della Guardia di Finanza, Raffaele Giudice. Pochi lo sanno, ma in questi giorni, anche se per altri motivi, è indagato il comandante del nucleo provinciale di Polizia Tributaria di Bologna, ten. col. Giuseppe De Gregorio. E la domanda ricorrente oggi - tra i possessori di una partita IVA - è sempre la stessa: perché le piccole imprese subiscono accurati controlli con costante frequenza mentre la Parmalat non riceveva una verifica fiscale dal lontano 1992?
Lorenzo Lorusso
Presidente nazionale del Movimento dei Finanzieri Democratici