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Il Piccolo 06-01-2002

Rispunta a sorpresa un documento datato 1991 che riporta ancora una volta in Parlamento la contrastata questione dei beni abbandonati

Zagabria ridà speranza a cinquemila esuli

L'elenco redatto da un demografo croato comprende chi scelse di andarsene e chi venne cacciato

TRIESTE - Oltre cinquemila esuli giuliano-dalmati possono sperare nella restituzione dei beni nazionalizzati dalla Jugoslavia comunista. Lo confermano alcuni documenti custoditi al ministero degli Interni di Zagabria, nel cui archivio ha lavorato per diverso tempo il demografo croato Vladimir Zerjavic. Lo studioso, scomparso pochi mesi fa, già nel 1991, anno in cui la vicina repubblica ha proclamato l'indipendenza da Belgrado, ha avuto accesso agli uffici centrali della polizia a Zagabria, dove ha raccolto diversi dati che, a distanza di dieci anni, risultano essere molto interessanti. E soprattutto, potrebbero dare una svolta al negoziato in corso tra Italia e Croazia sulla firma del Trattato di amicizia, arenatosi lo scorso autunno proprio sul nodo dei beni abbandonati. Al parlamento croato è intanto in corso di approvazione la modifica della legge sulla denazionalizzazione, che dovrebbe includere anche gli stranieri, italiani compresi. Ma il condizionale è d'obbligo. In un primo momento, la bozza chiedeva tra i requisiti il possesso, al momento della nazionalizzazione, della cittadinanza jugoslava.

Attestato impossibile da esibire, come noto, per gran parte degli esuli. Ora, un emendamento fatto inserire dal partito dei regionalisti istriani, prevede che l'interessato possa almeno dimostrare di aver risieduto sull'attuale territorio croato. Sono inoltre ammessi i discendenti di primo grado. Non tutti gli oltre 300 mila esuli istriano-dalmati potranno però fare domanda di restituzione (o indennizzo) alla Croazia: solo una piccola parte di essi. E' l'interpretazione che viene data dai politici di Zagabria, in quanto le proprietà dei cosiddetti «optanti» (così vengono definiti coloro che chiesero espressamente, al momento di lasciare l'Istria, l'acquisizione della cittadinanza italiana e la rinuncia a quella jugoslava) sono stati regolati dai trattati internazionali italo-jugoslavi siglati dal dopoguerra in poi.

Tuttavia, come risulta dai documenti della polizia croata, ci sono ben 5236 persone che persero la cittadinanza jugoslava senza far richiesta di opzione. Se ne andarono, semplicemente. Oppure furono cacciati, come spesso accadde. Il merito di aver fatto riemergere dall'oblìo questi documenti va al deputato, nonché numero due della Dieta democratica istriana, Damir Kajin. Già l'estate scorsa Kajin aveva anticipato l'esistenza di questa «categoria» di esuli. E aveva snocciolato le cifre nel corso di un intervento al Sabor, durante il dibattito sulla nuova legge. Ora saltano fuori anche i documenti originali, per mano dello Zerjavic, uno studioso che Kajin dipinge come «un grande oppositore della Dieta democratica istriana». E che pubblicò i risultati di queste sue ricerche ben nove anni fa, nel 1993.

Dai dossier che ha ricavato Zerjavic risulta quindi che i potenziali aventi diritto alla restituzione sono 296 a Buie, 143 a Pinguente, 122 ad Albona, 380 a Pisino, 1105 a Parenzo, 1809 a Pola, 97 a Rovigno, 353 a Fiume, 65 ad Abbazia, 194 a Cherso-Lussino, 650 a Zara e 10 a Lagosta. 5236 persone in tutto. Di queste, spiega il deputato, circa 3000 dovrebbero essere le proprietà identificabili: quindi, considerando che molte persone sono decedute, Kajin ritiene che non saranno più di un migliaio gli eredi che si faranno avanti. «In altre parole - afferma il deputato istriano - queste persone dovrebbero ottenere il diritto alla restituzione (o all'indennizzo dove ciò non fosse possibile) da parte di Zagabria, alle stesse condizioni delle comunità di ebrei, tedeschi e austriaci che abbandonarono la Jugoslavia dal 1941 in poi». La modifica della legge sulla denazionalizzazione, infatti, non comprende più solamente le confische e le denazionalizzazioni operate durante il regime comunista jugoslavo. La nuove legge abbraccia anche il periodo precedente, quello dello stato fantoccio di Ante Pavelic, che sorse nel 1941. Il regime degli ustascia confiscò le proprietà dei circa 30 mila ebrei, che emigrarono soprattutto negli Stati Uniti. Case e terreni che passarono a cittadini croati fedeli al regime. Nel 1996, dopo che Tudjman varò la prima versione della legge sulla denazionalizzazione, si verificarono casi paradossali. Ad esempio, Zagabria restituì le proprietà confiscate non agli ebrei, ma ai croati che erano subentrati durante il regime ustascia.

«E' stato probabilmente grazie alle pressioni di Simon Wiesenthal, il noto cacciatore di nazisti, se la legge viene ora emendata a favore degli stranieri, come del resto imposto dalla Corte costituzionale croata» ricorda Kajin. E difatti i giudici avevano disposto al modifica della legge entro il 31 dicembre scorso. Cosa che non è avvenuta. «Contiamo su una nuova proroga - sostiene il deputato - e quindi ritengo che tutto si potrà concludere entro sei mesi».

Alessio Radossi