| Home | Documenti | Foto | Risultati elettorali | Forum FVG | Posta | Link |



Il Piccolo 09-01-2002

La nostra città ha un posto d'onore nella piccola storia delle case chiuse. La leggendaria figura di Antonio Frenich detto Totò lo Slavo

Quando Trieste tollerava. Eccome tollerava

Le ragazze di queste terre erano fra le più desiderate. Villa Orientale tra discrezione e perversioni

Tra desiderio e delusione. Trieste ha un posto d'onore nella piccola storia della «tolleranza italiana». Tra le pensionanti delle novecento case di tutta la Penisola che il 20 settembre 1958 chiusero i battenti in forza alle disposizioni della legge Merlin, c'erano alcuni tipi di ragazze che andavano per la maggiore: la bolognese, la romana, la triestina, la fiumana, la polesana, la tripolina. Così le chiamavano le maitresse, cercando di suggestionare i clienti meno focosi. Del resto Trieste era entrata prepotentemente nel giro delle «quindicine» delle città italiane subito dopo la Redenzione del novembre 1918. Bersaglieri e case chiuse, sessualità, mitteleuropea e tricolori. Per qualche anno nelle case di lusso della penisola il tipo triestino - alta, bionda, magra, disinibita - aveva spopolato, spiazzando la concorrenza e suscitando entusiasmi erotico-patriottici.

Nei quarant'anni successivi la fama del campanon di san Giusto non s'era mai offuscata. Poco importava la vera origine anagrafica delle pensionanti, nate a Rovigo, Napoli o Cuneo. Piaceva quel nome, e quel nome veniva esibito assieme alle loro grazie. Triestina, una marchetta con garanzia, a prova di desiderio. Anche tra i placeurs, i collocatori di donne nei casini, Trieste può vantare una propria tradizione. Tra i piccoli padroni che rifornivano i tenutari delle case, spicca il nome di Antonio Frenich, detto Totò lo Slavo. Nel 1928 gestiva nove ragazze. Cinque italiane tra cui alcune concittadine, una francese e tre di lingua tedesca. A questo personaggio lo scrittore Giancarlo Fusco, autore dell'indimenticato saggio «Quando l'Italia tollerava», ha dedicato un paio di pagine del suo libro. Eccone una sintesi. Un gran signore, che fumava 80 sigarette ed era sempre in viaggio, per questioni di giro.

Aveva sparpagliato le sue ragazze per tutta Italia. «Di modo che lui per farsi sentire era costretto a passare le giornate in treno. Certe volte ne aveva una a Milano, una a Napoli, una a Cagliari e un'altra a Bari. Tra rapidi e piroscafi non faceva una piega. Sempre fresco, ben sbarbato, profumato, stirato col suo brillante sul mignolo, il suo portasigarette d'oro da un etto e mezzo, coi suoi gemelli coi rubini». Fusco nel libro fa parlare Antonio Frenich nel nostro dialetto e gli fa spiegare la «filosofia di vita» di questi padroni delle donne. ben distinti dai padroni delle case chiuse. Facendo un brutale paragone i primi mettevano nell'impresa per così dire le macchine, i secondi i muri delle fabbriche. «Te vol la panza piena, le braghe stirade come rasori, donne de sultan, alzarse alle undese, tutto senza cali sule man? Te pretendi che la zente che campa la vita sudando te guardi ben?. Ma va là. Lassa che i te guardi mal, mentre ti te magni ben».

Totò lo Slavo sparò le sue ultime cartucce nella tolleranza crepuscolare della Repubblica di Salò. Aveva ormai passato i cinquant'anni. Fino all' inizio della guerra aveva mascherato la canizie sotto una tintura biondo-rossa. Dopo l'8 settembre, tutti gli anni gli erano crollati addosso. Si lasciò diventare grigio, abbandonò le giacche sportive per indossare gli abiti del benestante di provincia. Trovava ancora ragazze da collocare, finché una sciatica ribelle, congiunta alle incursioni aeree sempre più frequenti degli alleati, misero fine alla sua carriera. Tanto per restare nell'ambiente divenne l'amante di una ricchisima tenutaria di Vercelli. Per la prima volta dormì tre notti di seguito sotto lo stesso tetto e con la stessa donna. Si dette anche alla borsa nera per morire di infarto pochi mesi dopo la Liberazione, in quella che si sarebbe rivelata una stagione d' oro per le case e per le pensionanti. Un ultimo urrah, prima della Merlin. Anche lo scrittore Piero Chiara nel suo romanzo «Vedrò Singapore?» dedica alcuni paragrafi alle case triestine.

Cita «El restel de fero», tra via dell 'Arcata e del Sapone ma soprattuto descrive «Villa Orientale», la più lussuosa della città. «In via Bonomo, angolo viale XX settembre, davanti all 'entrata dello stabilimento Dreher. E' una villa a tre piani. Ci si arriva facilmente risalendo il viale fino in cima, dove c'è una breve scalinata di marmo bianco. La villa lavora specialmente di sera perché ha dei clienti che tengono a non farsi vedere. Nessuno infatti ci andava a piedi». Altri, meno noti di Piero Chiara indicavano invece all'epoca la villa come «El regno delle oche». Non alludevano al personale femminile sempre di altissimo livello ma ad alcune perversioni che avevano reso famoso il bordello. Il gioco con l'anatra o con l'oca. Quale gioco fosse, visto l' ambiente, non è difficile capire. Basta dire che nel momento dell'estasi del cliente, la ragazza decapitava il pennuto. Lo spasmo mortale si coniugava con lo slancio vitale.

Claudio Ernè