Il Messaggero Veneto 13-06-2002
Il coordinatore pordenonese di Forza Italia analizza la sconfitta di Gorizia e reclama una sterzata
L'ex parlamentare chiama in causa Romoli e Saro e s'interroga sul candidato del 2003
TRIESTE - «Attenti ai bassi di statura, perché proiettano ombre lunghe», recita una sua frequente battuta autoironica. E adesso l'ombra di Michelangelo Agrusti, responsabile pordenonese di Forza Italia, ingigantisce nella livida luce postelettorale. Chi giurava che dopo un eventuale insuccesso al voto sarebbe ripartito alla carica, aveva visto giusto. Sceglie con cura le parole, e anche se non le scaglia, preferisce quelle che pesano, sia pure nel concetto di massima e nell'espressione tornita. Il suo discorso, così, alla fine sembra comporsi in forma di tumulo.
Per vincere bisogna cambiare, la gestione verticistica ci sta allontanando dall'elettorato, gli abbandoni sono più delle new entry, dice. Aggiunge che la legge elettorale va cambiata, subito. E che su Tondo candidato, e non solo su di lui, occorre una riflessione complessiva e approfondita.
Come cominciamo, Agrusti? Da "l'avevo detto io"?
"Veramente avrei preferito essere smentito dai fatti. Perché la sconfitta del proprio partito e del proprio schieramento non può essere estranea a nessuno, neanche a chi nella vicenda non ha avuto alcun ruolo. Comincerei piuttosto dalla necessità di un'analisi, senza compiacimenti e senza atteggiamenti pietistici, della complicata situazione che oggi tocca l'Isontino, e domani potrebbe investire tutta la regione".
Facciamola, questa analisi.
"E' in atto una progressiva lacerazione tra Forza Italia e i suoi alleati e l'elettorato. Non è una novità, le prime avvisaglie si erano manifestate già alle provinciali e poi alle politiche. Da oggi nel Goriziano mi sembra non esista una sola amministrazione governata da Forza Italia. E' un dato preoccupante".
State perdendo il rapporto con la base, dunque. Perché.?
"Perché, come segnalo da tempo, nel mio partito, ma anche negli altri della coalizione, c'è un problema di rapporti democratici. Una concezione rigorosamente oligarchica esclude dalla fase decisionale troppe persone che magari avrebbero idee ed energie da mettere a disposizione. C'è un modo di guidare il partito impermeabile ai segnali e alle domande che sempre più prepotentemente emergono da quella che usiamo definire società civile".
Per riassumere, Saro e Zoppolato?
"Non ho finito: questa visione autarchica ha prodotto anche sul piano del governo regionale scelte in contrasto con le correnti d'opinione a noi più vicine. Tanto che oggi le adesioni alle nostre idee, ai nostri programmi e alla nostra organizzazione sono inferiori agli abbandoni. Penso a Renzulli e a tanti altri amici".
La domanda era un'altra...
"Una delle prove tangibili dell'agire in contrasto con l'opinione prevalente del nostro elettorato è rappresentata dal varo della legge elettorale. Una scelta che di per sé potrebbe aggiungere un altro grano doloroso al rosario dei nostri dispiaceri".
A rischio di essere noioso: parla di Saro e Zoppolato?
"E' evidente che a chi guida concretamente i processi politici, e in modo pressoché esclusivo, tocca il massimo delle responsabilità in caso di sconfitta, come sarebbero toccati i meriti in caso di vittoria".
Dice che è arrivato il momento delle dimissioni?
"Mi rendo conto della puntualità della domanda, però la risposta non può essere altrettanto puntuale. Il problema vero è capire se Saro, Zoppolato ed altri amici hanno inteso il segnale forte arrivato dalle urne. E se intendono modificare il loro modello di gestione della politica e del governo, modello che è ormai messo in discussione un po' da tutte le parti.
Come diceva quel tale col pizzetto: che fare per il 2003?
"Oggi ogni elezione fa storia a sé, e lo avrei detto anche in caso di affermazione. La volatilità delle strutture del consenso e dell'adesione ideale alle forze politiche impone la conquista dell'elettorato volta per volta, attraverso una classe politica il più credibile possibile, un programma condiviso al massimo, una coesione ferrea tra le forze che vogliono governare".
Bello schema. E in pratica?
"Dovremo sicuramente riflettere ancora su come incrociare il consenso della nostra gente attorno un nuovo modello di legge elettorale. Se c'è la percezione del rischio che correremmo perseverando nell'errore, credo che si possa giungere ad un risultato di questo tipo. D'altra parte in battaglia non ho mai visto un esercito offrire le munizioni al nemico".
A proposito di nemico. Biasutti ha detto che chi vede un Illy perdente si sbaglia di grosso.
"Ha ragione. Io ho sempre guardato con sospetto chi sottovaluta arrogantemente i campioni altrui, pur senza poter valutare la propria forza. Illy è l'avversario più complicato da affrontare per la Casa delle libertà. Spero che se ne accorga anche chi sinora si è dilettato nell'antico slogan del "Vincere! E vinceremo!".
E' il momento di parlare di candidature, allora...
"Sono sicuro che la Cdl abbia ottime chances sempre che ci sia un cambiamento vistoso, sottolineo vistoso, nella riorganizzazione delle strutture politiche e nell'azione del governo regionale, oggi appesantita dai continui veti incrociati che ne paralizzano l'azione o producono inevitabilmente scelte mediocri".
Questo si chiama parlar chiaro...
"Il governo regionale oltre che promuovere adunate consolatorie deve affrontare da subito le questioni essenziali, a partire dalla Sanità. Occorre un soprassalto di responsabilità per dare segnali di efficienza. Credo poi che il presidente, almeno per il tempo che resta, possa diminuire quel turismo globale che ormai sembra un'attività importantissima dei nostri governanti, per obbligarli tutti a un lavoro durissimo e solidale".
Domanda finale. E brutale. E' Tondo il candidato naturale e vincente?
"Il problema della squadra ha a che fare in modo stringente con la credibilità pubblica di programmi e di intenzioni. Su questo è necessaria una riflessione forte. Che riguarda Tondo ma non solo lui".
Luciano Santin