FAUSTO CADELLI: Il Codice da Vinci
Il Vaticano, spaventato da un virus da cinquanta milioni di copie e dai record d'incassi del film, si è scagliato a più riprese contro il "Codice". La protesta dei vertici ecclesiastici, che ha trovato vasta eco nei mezzi d'informazione, si articola su due elementi: l'offendersi e l'offesa.
Quanto all'offendersi, il Vaticano ritiene che la reazione della Chiesa sia comunque poca cosa rapportata alle violenze scatenate dalle vignette su Maometto. Ciò è senz'altro vero, anche se là le violenze erano fomentate da settori minoritari dell'Islam mentre qui è impegnato il massimo livello della gerarchia.
Si sostiene, in pratica, una sorta di diritto "a priori" di ritenere intangibile da qualsiasi critica esterna l'essenza teologica delle religioni. Solo il Papa può parlare indisturbato senza essere destinatario di parole nette (si vedano le reazioni alle dichiarazioni di Bertinotti, presidente della Camera, sui PACS).
Nell'interesse di tutti, aiutiamo la Chiesa a non erigere steccati preventivi. Ciò interessa tutti perché la maggiore tolleranza del cattolicesimo, per nulla intrinseca ad esso, è semmai il risultato storico della sua integrazione in quella democrazia occidentale che la Chiesa ha combattuto ferocemente.
Se la "ragione politica" è l'equilibrio, non la mera sommatoria, delle interazioni tra le opinioni dei singoli, lasciare che il cattolicesimo - o qualunque altra dottrina - si ritenga sciolto dal dialogo sulla sua essenza equivale a mettere in crisi la ragione politica stessa della convivenza democratica.
Capire, comprendere, condividere: questi sono, secondo me, i tre momenti di costruzione del consenso politico attorno a qualsiasi questione, specialmente quelle nuove prodotte dall'evolversi delle tecnologie, della scienza, dello sviluppo (ed inviluppo) economico, della globalizzazione.
Capire è il momento tipicamente individuale dello svelamento. Caratteristica di questa fase è la proposizione d'interrogativi sempre più cogenti tesi a cogliere in profondità l'essenza dell'oggetto e, su questa, a definire l'opinione personale del soggetto.
Con la comprensione ciascuno dovrebbe com-prendere (prendere con ... sè) i punti di vista altrui, uscendo da se stesso e sottoponendo alla verifica della negazione la propria opinione. La condivisione, infine, è la messa in comune nella legalità della parte dell'oggetto reciprocamente compresa.
Le regole della democrazia moderna impongono il ricorso ai voti. Ma se si passa alla condivisione (ovvero al voto) avendo solo capito ma non compreso l'oggetto, il rischio più grande è quello di una democrazia quantitativa basata sulla forza della maggioranza e l'espulsione delle minoranze.
Quanto all'offesa, e tornando così al "Codice da Vinci", nonostante io forse non sia in grado di capire perché sono personalmente disinteressato al merito della questione, mi sforzerò tuttavia di com-prendere i credenti e la Chiesa, offrendo un'interpretazione che spero sia giudicata condivisibile.
Al di là del fatto che il romanzo può essere letto per svago, se si deve riflettere su di esso per prima cosa non mi sembra che esso attacchi la parola, la morte e la resurrezione di Cristo, ovvero l'essenza del cristianesimo (da tenere ben distinto concettualmente dal cattolicesimo).
Il cristianesimo si fonda sulla storicità di Cristo, sulla sua carnale umanità (non si dimentichi, ad esempio, l'entusiasta approvazione del Vaticano della truce esaltazione del sangue nel film "Passion" ). Se Cristo è così tanto uomo e sangue perché non avrebbe potuto conoscere l'amore?
Secondo me il problema non è relativo alle prove, connesso a quello del valore da attribuire ai Vangeli sinottici ed apocrifi sui quali si discuterà sempre. Mi sembra di poter dire che un eventuale amore di Cristo (ed una famiglia) aggiungerebbe semmai dolore alla sofferenza del Suo sacrificio.
Oltre al fatto che tale fantomatico amore conferirebbe a Cristo una nota di normale umanità, a mio parere assai ardua da rinvenire, dalla "divina concezione" all'eccezionalità di un vissuto cristallizzato nell'anedottica miracolistica descritta dai Vangeli.
Non so se sto continuando a non capire o se comincio a comprendere, sono i credenti a dover giudicare. Certo che la Chiesa cattolica non vuole essere trascinata in diatribe teologiche: i "figli" di Dio ( cioè Cristo e l'impostore del "Codice" ) e la natura stessa di Cristo in primis; il sacerdozio e il ruolo delle donne poi.
Ciò è comprensibile; ma proprio in questo consiste la democrazia. Nell'accettare la legittimità delle opinioni non violente di chi nega, anche in radice, il valore delle idee che ciascuno pone a fondamento del proprio agire. Secondo me, pertanto, il "Codice" dovrebbe essere criticato diversamente.
Quanto all'amore di Cristo, anche se fosse per assurdo dimostrato, non cambierebbe affatto il valore sostanziale della Sua parola. La "cronaca" si potrebbe facilmente far rientrare nell'imperscrutabile volere divino: il mistero più grande, si dice da sempre, non è proprio quello di offrire alla morte il proprio Figlio?
Maggiore "intransigenza", invece, dovrebbe essere adoperata verso alcune sciocchezze che il "Codice" spaccia per verità storiche acclarate (il numero di morti nella caccia alle streghe, la liquidazione dei templari, il ruolo cospiratorio con cui si vuole a tutti i costi tratteggiare parti della Chiesa).
L'intransigenza che io auspico non è quella delle querele e dei boicottaggi destinati comunque a fallire. Ma quella della trasparenza (che paga sempre), scegliendo il dialogo sul passato e sul presente, mostrando, se c'è, la propria verità senza veli o messa all'indice di libri proibiti o tatticismi.
Se è vero (come cita Messori) che "l'uomo moderno non credendo più a nulla finisce per credere a tutto" allora è l'attuale papato, arretrato ma sobrio, che dovrebbe trovare per primo il coraggio di rompere con " i terzosegretismi di Fatima" espressione di compiaciuti ed eroici personalismi passati.
Trieste 24 maggio 2006 Fausto Cadelli
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