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Il Gazzettino 07-01-2002

INTERVISTA - Il presidente degli Industriali del Veneto: «Nessuno vuole il Far West ma una flessibilità regolata. Il problema vero oggi è trovare il personale»

Rossi Luciani: la rigidità uccide l'azienda

L'opinione pubblica sembra sempre più contraria a dare mano libera alle imprese. Perchè a suo avviso?

«In Veneto il problema non è licenziare, casomai reperire personale - risponde Luigi Rossi Luciani, presidente degli Industriali del Veneto - In Italia c'è una situazione particolare: siamo uno dei pochissimi in Europa che prevedono l'obbligo del reintegro del lavoratore e non hanno la possibilità di monetizzare un licenziamento individuale. Ma al tempo stesso siamo uno dei Paesi dove i licenziamenti collettivi sono relativamente facili. Conclusione: devi avere problemi di sopravvivenza per poterli risolvere. Non sarebbe più logico poter intervenire prima?».

I lavoratori temono di finire sotto la minaccia costante di perdere il posto...

«Nessuno vuole licenziamenti selvaggi, ma regole, in nome della flessibilità. È proprio questa paura che porta alla creazione di soglie, come quella attuale dei 15 dipendenti, oltre i quali scatta l'articolo 18 dello Statuto. Una rigidità che di sicuro non aiuta la crescita dimensionale ed anzi potrebbe indurre qualcuno a ricorrere al lavoro nero, nei casi di "punte" di richieste. Oggi viviamo in un mondo industriale che richiede il gioco di squadra. Il che implica la condivisione di metodo e obiettivi perchè sempre più le nostre aziende sono organizzate per produrre qualità e non solo quantità. Per cui se qualche imprese "abusa" dei licenziamenti sarà il mercato del lavoro stesso ad evidenziarlo».

Ha molta fiducia nel mercato...

«È solo quello che già avviene all'estero. È difficile immaginare che la gente vada a lavorare in un'impresa che impiega male questa facoltà. Ma è altrettanto assurdo che in Italia si possa sciogliere un matrimonio, ma non un rapporto di lavoro. Nemmeno pagando». Obiezione: di flessibilità ne è stata introdotta a sufficienza «Ce n'è di più in entrata - anche se restano rigidità (es. nel part-time) e vincoli da superare - mentre la flessibilità in uscita non è stata modificata».

Altra obiezione: si chiede più libertà di licenziare in nome della flessibilità, ma il vero motivo è la riduzione dei costi

«Non penso affatto che licenziare rappresenti la via per ridurre i costi. In alcuni casi, semmai, implica un loro aumento se si pensa che per portare un lavoratore ad un certo livello occorre formarlo, investire tempo e risorse».

Come giudica la modifica dell'articolo 18 avanzata dal governo?

«È un timido tentativo di introdurre della flessibilità soprattutto allo scopo di far crescere le aziende piccole e quelle che vengono dal sommerso. È positiva, ma avremmo voluto qualcosa di più. Purtroppo, la discussione sull'articolo 18 è più filosofico-ideologica che reale. La verità è che non si trova gente, in tutti i settori e in ogni livello».

Il ministro Maroni ha proposto un nuovo patto a imprese e sindacati. Qual è la vostra risposta?

«Positiva. L'importante è le che parti sociali ragionino non come gruppi corporativi, ma con l'obiettivo di costruire un paese più moderno. E in questo senso siano capaci di distinguere cosa è assistenzialismo e cosa invece è sostegno ai settori più deboli e delicati. Il boom dei lavoratori atipici è sintomatico di una situazione di difficoltà generale: si passa da tutele al 100\% a nessuna tutela».

Nel patto è chiaro cosa chiedono le imprese. Cosa invece sono disposte a cedere?

«Presto dovremo cedere il Tfr che sappiamo non essere nostro, ma che di fatto ci ha aiutato per un periodo rilevante nel finanziamento. E poi possiamo aumentare l'occupazione».

Questo è un elemento ipotetico e difficile da quantificare

«Ma dobbiamo partire dal fatto che è interesse comune farlo. Anche in Veneto, dove il tasso di disoccupazione sfiora il 3\%, il tasso dei partecipanti al mercato del lavoro è del 64\% contro l'obiettivo europeo del 75\%. Quindi c'è tutta una fascia di persone da recuperare e da inserire».

I sindacati sostengono che le imprese investono poco

«Non è così. Notate che la Tremonti-bis non sta avendo gli effetti della prima Tremonti proprio perchè in quel periodo si veniva da una fase di scarsi investimenti e molti approfittarono della legge per farlo, mentre negli ultimi due anni sono stati massicci. Sarebbe comunque opportuno che le imprese puntassero di più su ricerca e innovazione».

Cosa servirebbe per spingerle in questa direzione?«Defiscalizzare gli utili, per cominciare».

Che indicazioni ha per la stagione 2002?

«Sono moderatamente ottimista per una buona ripresa nel secondo semestre - conclude Rossi Luciani - Perchè i consumi non sono calati in maniera rilevante, il prezzo del petrolio e l'inflazione sono rimasti bassi e vedo tornare una certa fiducia. L'euro? Un buon impatto psicologico, ma non mi aspetto grandi vantaggi. È dimostrato che l'Europa può galleggiare, ma non riesce a correre senza il traino della locomotiva Usa. E questo soprattutto per le sue debolezze politiche e gli alti costi sociali».

Pa.Fra.