Il Piccolo 03-10-2001
IL CASO
Un uomo di Bin Laden, Madid Abdellah, 21 anni, marocchino, è stato bloccato nel ’95 a Opicina con un floppy disk per realizzare armi chimiche
Un esperto di guerra ha rivelato solo ieri a un settimanale serbo che quel giovane era un corriere
TRIESTE - Passava da Trieste un piano di Osama Bin Laden per avvelenare gli acquedotti italiani. Madid Abdellah, il marocchino di 21 anni bloccato nel luglio ’95 alla stazione ferroviaria di Opicina con un floppy-disk per realizzare veleni ed esplosivi, era un suo uomo e forse era in procinto di mettere in atto il primo attentato chimico-batteriologico della storia, se si esclude l’assalto dello stesso anno con il sarin alla metropolitana di Tokyo da parte della setta Aum Shinrikyo.
Allora il marocchino venne arrestato, incarcerato per alcuni mesi, e nel novembre dello stesso anno fu condannato a tre anni, liberato ed espulso dall’Italia. Ieri Dragan Dzamic, esperto di guerra chimica e batteriologica, ha rivelato al settimanale serbo «Nedeljni Telegraf», citando fonti dei servizi segreti europei, che Abdellah era un corriere del superterrorista più ricercato del mondo.
Secondo quanto era filtrato successivamente a Trieste, addosso al corriere erano stati trovati i recapiti di altri cinque islamici che sono stati successivamente stanati in alcuni Paesi europei da agenti del Sismi. Ebbene uno di questi cinque aveva un’altra copia dello stesso floppy-disc. Probabilmente dunque un commando che doveva mettere a segno l’attentato o perlomeno studiarlo. A posteriori, tutto sembra combaciare. «L’obiettivo di Bin Laden - ha detto l’esperto al periodico serbo - era non solo quello di produrre agenti chimici e batteriologici, ma anche di addestrare commando terroristi all’uso di quei mezzi.»
Ciò sarebbe stato fatto in un laboratorio chimico, situato a Zenica, nella zona centrale della Bosnia, dove erano concentrate le formazioni dei mujaheddin che avevano appoggiato i musulmani bosniaci durante la guerra del ’91-’95. Guardacaso, da Zenica proveniva anche Abdellah. Proprio a Zenica, oltre che a Sarajevo e a Travnik, aveva le proprie sedi in quegli anni, la «Taibah international aid association», un’organizzazione umanitaria di facciata, in realtà ampiamente infiltrata da terroristi. Così come «Al Haramain», attiva in Bosnia e in Albania. Un paio di anni più tardi furono proprio due islamici di quest’ultima associazione a passare attraverso Opicina. La Digos triestina li controllò, sequestrò ad uno dei due un’ audiocassetta con la voce di un’«imam» che incitava alla guerra santa, ma poi dovette rilasciarli. Li segnalò però ai colleghi di Bologna che nel corso di una successiva retata contro il terrorismo islamico, li trovò in possesso di materiale ancora più scottante e li mise in carcere.
Madid Abdellah aveva preso il treno a Zagabria e aveva un biglietto fino a Milano. Sul floppy c’erano tre files scritti con il sistema Word arabo. Gli investigatori, dopo vari tentativi falliti di interpretarli, si rivolsero ai tecnici del Centro di fisica che riuscirono a interpretare i documenti. Contenevano istruzioni per la realizzazioni di veleni ed esplosivi efficaci, ma rudimentali e facili da realizzare con prodotti facilmente reperibili sul mercato, oltre che per la creazioni di inchiostri simpatici. Abdellah disse di ignorare il contenuto del floppy, sostenendo che il suo incarico era di consegnarlo a uno sconosciuto a Milano. Aveva un passaporto francese sul quale aveva applicato la propria foto. A interrrogarlo a Trieste vennero anche tre funzionari della polizia francese (due dell’ antiterrorismo e un esperto di questioni arabe) ma non levarono un ragno dal buco.
Un anno più tardi gli investigatori francesi scoprirono che erano passati da Trieste anche i terroristi algerini del Gia che il 3 dicembre ’96 fecero esplodere alla stazione del metrò di Port Royal, a Parigi, una bomba che uccise tre persone e ne ferì 128. Da allora i servizi segreti d’Oltralpe considerano Trieste una vera e propria base per attentati terroristici islamici in Francia e in Germania.
E in effetti Trieste aveva incominciato a fari i conti con il terrorismo islamico fin dall’agosto ’72 allorchè i palestinesi di «Settembre nero» fecero esplodere cinque cisterne della tank-farm di San Dorligo della Valle dell’oleodotto Trieste-Vienna Ingolstadt. A giustiziare l’ideatore di quell’ attentato, Mohamed Boudia al vertice della rete dei terroristi palestinesi in Europa, fu il servizio segreto israeliano, il Mossad che solo sei mesi più tardi lo fece saltare in aria a Parigi con un’auto imbottita di tritolo. Era stata Golda Meir a inserire Boudia in una lista di personaggi da eliminare. Venne sostituto in quel ruolo da Illich Ramirez Sanchez detto Carlos, il terrorista più famoso del mondo fino all’ascesa di Osama Bin Laden.
Personaggi diabolici questi che in qualche modo hanno inserito anche Trieste nei loro piani di morte. Del resto materiale propagandistico e strategico di «Hamas» e della «Jihad islamica» è stato ripetutamente trovato a Trieste nella seconda metà degli anni ’90. Quando un killer palestinese di «Hamas» freddò in Grecia due filoisraeliani, il Sismi scoprì che suo fratello si era infiltrato a Trieste. Aveva una gran mole di materiale propagandistico che venne sequestrato. Dopo qualche ora l’uomo sparì dall’Italia: forse anch’ egli stava preparando un attentato. Circostanze che appaiono ben più imnquietanti oggi dopo le tragedie dell’11 settembre.
Silvio Maranzana