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Il Messaggero Veneto 24-11-2001

Brunetta: la specialità è un freno allo sviluppo

La vicepresidente Guerra: l'autonomia resta sempre una risorsa, basta saperla sfruttare

La specialità, oltre che anacronistica, perché il Friuli-Venezia Giulia entro breve non sarà più regione di confine, è un freno allo sviluppo. Ha avuto un senso, ma ha fatto il suo tempo. Il Friuli-Venezia Giulia deve guardare avanti, fare un salto di qualità, ragionando come una realtà unica, capace di sviluppare strategie e progetti, all'interno di un contesto dove ognuno deve svolgere il suo ruolo.

Provocatorio, quasi dissacrante, l'economista Renato Brunetta, ha sparato a raffica contro i "privilegi" che la specialità ha concesso al Friuli-Venezia Giulia, così come alle altre regioni a Statuto speciale. Non ha risparmiato nessuno, nemmeno Friulia, chiedendo a bruciapelo: «Perché mai una banca d'affari deve essere pubblica?». Ha sollecitato politici, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni, che sedevano ieri sera al tavolo dei relatori al convegno "Il Friuli-Venezia Giulia alla prova del Mercato" organizzato da Fiera Udine all'interno di Sigla, a scrollarsi di dosso il provincialismo e ad ampliare l'orizzonte.

«Le cose importanti a cui guardare per costruire il futuro - ha detto deciso - non sono il patto fra Udine e Trieste, né la salvaguardia delle minoranze linguistiche. Sono l'ingresso della Cina nel Wto, la creazione di reti e sistemi, la produzione e la vendita di energia, le telecomunicazioni, la mobilità del capitale umano e il "recupero" dei cervelli che hanno scelto di emigrare».

Ultimo della serie di interventi che hanno caratterizzato il primo round della tavola rotonda, (aperta dal commissario Gabriella Zontone e moderata da Michele Popolani) alla quale hanno partecipato il vice-presidente della Regione Alessandra Guerra, il presidente della Cciaa Enrico Bertossi, l'onorevole Riccardo Illy, il presidente di Friulia Franco Asquini, il docente di scienze internazionali Gianluigi Cecchini e il direttore del Messaggero Veneto Sergio Baraldi, l'exploit di Brunetta ha dato il via a "pepate" repliche, sebbene, a sorpresa, molte delle risposte in qualche modo si siano allineate sulle posizioni meno estremiste dell'economista. Apparentemente imperturbabile Alessandra Guerra, che ha ribadito fermamente come la specialità debba essere mantenuta «perché le condizioni attuali lo richiedono ancora».

«Va vissuta in maniera aperta - ha detto - va "fatta fruttare"». «Certo che la Regione deve modificare il suo ruolo - ha concesso - passando dalla pura e semplice gestione delle risorse alla scelta delle infrastrutture e dei servizi da realizzare».

Ha difeso il ruolo svolto da Friulia il presidente Asquini, «ma non perché parte in causa - ha precisato - quanto piuttosto perché essa rappresenta l'unico strumento per sviluppare una cultura d'impresa la cui mancanza è il vero tallone d'Achille delle imprese locali». Un sassolino dalla scarpa ha voluto toglierselo anche il presidente della Camera di commercio Enrico Bertossi, che a proposito della mancanza di una strategia complessiva indispensabile per il salto di qualità della Regione, si è chiesto: «Se, ipoteticamente, la Regione vendesse i suoi gioielli, Friulia, Autovie, Mediocredito, potrebbe disporre di mille miliardi. Ma esiste un progetto in grado di spenderli con efficacia?».

Caustico l'onorevole Riccardo Illy che spostando l'attenzione sul sistema dei trasporti, non solo regionale, ha fatto notare che con l'allargamento dell'Europa, anche l'Italia sarà chiamata a intervenire a sostegno di Paesi come la Slovenia o l'Ungheria, le cui reti ferroviarie sono praticamente inesistenti. «Il futuro si governa se le imprese sapranno dotarsi di una cultura nuova, che sappia adeguarsi al cambiamento» ha affermato Gianluigi Cecchini, lasciando le conclusioni a Sergio Baraldi, il quale, pur rivalutando l'importanza per il territorio della lingua, della cultura e dell'identità, ha messo in guardia contro il rischio che questo metta in secondo piano tutto il resto.

Raffaella Mestroni