Fausto Cadelli: Manifesto - Appello per la concessione dell'Amnistia e dell'Indulto
Introduzione
Nelle occasioni, specialmente quelle televisive, in cui si tratta l'argomento imperversa la categoria del " giusto ", inteso, come sempre, in una prospettiva personalistica: è giusto che un malato stia in carcere? E' giusta l'amnistia o l'indulto se le vittime del reato ne patiscono ancora le conseguenze?
Ma il diritto è giusto non perché discende, per deduzione logica, da una "giustizia" - eteronoma al diritto - di natura etica, religiosa, ideologica. Il diritto è giusto perché, nella regolazione dei rapporti , tende alla giustizia realizzando la migliore mediazione tra i soggetti.
In uno Stato laico moderno, ovvero, il diritto è " costruzione di giustizia ", non "applicazione di una qualche giustizia" - etica,religiosa,politica, ideologica che sia. Il fondamento di questa " costruzione di giustizia " è la Costituzione sulla quale poggia, conformandosi, la legislazione.
La Costituzione - formale e materiale - esprime, tempo per tempo, la migliore giustizia possibile ed in essa si sintetizzano e riecheggiano tutte le istanze presenti in una società. Le leggi, pertanto, non devono dirsi giuste " in sé ", ma conformi a Costituzione e per questo giuste.
I valori costituzionali in gioco.
La pena, diceva Hegel, è la negazione di una negazione. Il reato è la negazione dell'ordinamento, la pena la negazione del reato: l'effetto della pena è il ristabilimento dell'ordinamento giuridico violato. In questa concezione, la pena ha una funzione " retributiva ": un'afflizione proporzionata alla gravità del reato.
Le pene ( art. 27 Cost ) non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono "tendere" alla rieducazione del condannato. Non si deve enfatizzare il ruolo della rieducazione ( per "tendere" s'intende solo "idoneo a" ) che non può esaurire lo scopo e l'oggetto della pena: la pena resta un castigo.
Se, infatti, la pena di morte è esclusa perché considerata per definizione contraria al senso di umanità, la Corte Costituzionale ha ammesso in passato la legittimità costituzionale dell'ergastolo perché la rieducazione sarebbe un'esperienza morale interna che non richiede verifica sociale.
In concreto, tuttavia, anche all'ergastolo è estesa la libertà condizionale e , di fatto, non è una pena perpetua. E' arduo superare lo scoglio concettuale della funzione retributiva della pena: il tempo della pena dovrebbe, in sé, costituire retribuzione e rieducazione, se non intervengono altri fattori.
Peraltro, una pena intesa solo come rieducazione è aperta a due limiti opposti, entrambi pericolosi. Da una parte l'esclusione del carcere, col pericolo sociale che ciò comporta; dall'altra l'indeterminatezza della carcerazione stessa, rimessa alla verifica soggettiva della "redenzione" da parte di chi amministra la pena.
In questo senso guardo con sfavore anche alle pene minori ( che possono essere irrogate dal giudice di pace ) che vorrebbero " imprimere una lezione ": hai gettato una carta a terra? Devi spazzare le strade per un mese. Ciò configura una relazione non tra Stato e cittadini, ma un rapporto analogo a quello tra genitori e figli.
Il genio di Kubrik in " Arancia Meccanica " ha regalato una rappresentazione superlativa di questa materia, tanto della violenza umana gratuita quanto della violenza, morale e fisica, del sistema che tenta, fallendo, di manipolare in modo terribile il colpevole.
L'amnistia e l'indulto si giocano pertanto sul filo sottile della pena in equilibrio tra retribuzione e rieducazione. Tuttavia il fatto stesso che la Costituzione disciplini questi istituti e non li escluda dimostra che i medesimi sono compatibili con la Costituzione stessa.
L'amnistia estingue il reato ( art. 151 c.p ) l'indulto la pena ( art. 174 c.p. ) e sono disposti con legge approvata con la maggioranza dei due terzi del Parlamento ( art. 79 Cost. ) . Non è ammesso il referendum per le leggi di amnistia e d'indulto ( art. 75 Cost. ).
E' importante l'esclusione del referendum che vale per l'amnistia e l'indulto ( oltre che per le leggi tributarie e di bilancio e le ratifiche di trattati internazionali ). Per il costituente, in queste materie Lo Stato deve essere sempre un'unità compatta e coerente senza " strappi " nella legislazione.
Nello specifico dell'amnistia e dell'indulto, il principio assoluto di legalità che presiede alla disciplina della giustizia penale ( con il corollario importantissimo dell'irretroattività ) non permette in alcun modo che la certezza del diritto possa venire meno.
Con ciò non si vuole certo dire che la materia dell'amnistia e dell'indulto sia sottratta al giudizio popolare: ma esso si esprimerà, eventualmente, al momento delle elezioni. Il richiamo, allora, suona forte per il Parlamento al quale questa materia è completamente delegata.
Purtroppo, troppo spesso i parlamentari contrari alla clemenza non riescono a farsi carico di questa responsabilità ( il rispetto dell'unità dell'ordinamento giuridico ed il corretto bilanciamento degli interessi pubblici in gioco ) senza rinunciare alla demagogia o alla menzogna aperta.
Lo Stato tra imputato e vittima, lo Stato per il carcerato e la vittima.
I contrari alla clemenza dicono: il carcerato deve scontare tutta la pena per risarcire la vittima del reato.
Ma le cose non stanno così: l'imputato è processato dallo Stato, non dalla vittima, perché il reato è contro e nei limiti stabiliti dall'ordinamento. Imputato e vittima sono parti del processo, e lo Stato le valuta entrambe.
Sarà banale ricordarlo, ma la responsabilità dell'imputato si definisce anche in relazione al comportamento della vittima: si va dall'esonero della responsabilità ( es. legittima difesa ) all' attenuante ( es. provocazione ) ai casi, spesso con aggravanti a carico dell'imputato, in cui la vittima è totalmente passiva.
Le strade del reo e della vittima - incrociatesi nel reato e definite nella successiva direzione dalla condanna e dal risarcimento - dopo la sentenza si biforcano di nuovo e seguono un percorso indipendente. La pena non dipende dal sentimento soggettivo di ricompensa della vittima che potrebbe anche "perdonare il reo".
E' lo Stato che dovrà , poi, farsi carico di entrambi: le vittime, che si possono comprendere anche quando nutrono odio o vendetta , ben hanno ragione nel sostenere che troppo poco si fa per loro dopo il reato, specialmente per le conseguenze di quelli gravi ( che non saranno mai oggetto di amnistia o indulto ).
Ma le vittime si tutelano in primo luogo facendo giustizia: in Italia la gran parte dei reati resta impunita o per l'impossibilità d'individuare un imputato o perché, per ragioni ben note, il processo non giunge a termine. Questo è l'autentico allarme sociale.
Impedire invece atti di clemenza nel nome delle vittime dei reati commessi è pura demagogia: se la liberazione di detenuti può, in astratto, suscitare allarme per la reiterazione di reati, l'attenzione andrebbe posta semmai non sulle vittime pregresse ma su quelle " potenziali ".
Amnistia ed indulto.
I due istituti sono accomunati dal fatto che in modi diversi attribuiscono un beneficio generalizzato a chi ha commesso un reato. Ma in realtà sono molto diversi tra loro come sopra ricordato: nel dettaglio le leggi che li dispongono, le quali richiedono la maggioranza più gravosa di tutto l'ordinamento, sono molto complesse.
Quanto alla legittimità costituzionale dell'amnistia, la prima considerazione - molto semplice - è che si deve pur riconoscere al legislatore la facoltà di stabilire che cosa sia punito dall'ordinamento come reato e cosa non meriti più tale sanzione. Nell'amnistia, per definizione, se non c'è reato non c'è vittima del reato.
Quando è attuata, però, la " sparizione " della vittima non comporta certo la lesione dell'interesse della persona fisica. Il legislatore ritiene che il principio generale del risarcimento per fatto illecito sia l'unico profilo rilevante nella fattispecie ( senza aprire qui parentesi sul dramma della giustizia civile ).
Altre volte il fatto illecito è contro la collettività e genera, in connessione, tanto un reato quanto un illecito amministrativo. Anche in questo caso l'estinzione del reato è giustificata dal fatto che la sanzione amministrativa è giudicata sufficiente e maggiormente idonea a tutelare l'ordinamento giuridico.
Nell'indulto, invece, si sospende l'esecuzione della pena che verrà scontata per intero qualora il beneficiario sia condannato, entro un certo termine, per altri reati. L'indulto s'inserisce, più propriamente, nella tematica del recupero effettivo del carcerato, ovvero nell'equilibrio della pena tra castigo e rieducazione.
La durata della pena deve identificare un tempo che comunque " retribuisca" l'ordinamento giuridico violato e, per il solo fatto del suo scorrere in sé, sia tendenzialmente idoneo a realizzare il recupero del carcerato, se non intervengono altri fattori.
Per altri fattori, s'intende la valutazione concreta del recupero del carcerato il quale, sotto il controllo della magistratura, può accedere ai numerosi istituti ( individuali ) alternativi al carcere: dire no all'indulto equivale a negare, per coerenza, il valore di tutta questa legislazione.
Ma la pena, ai sensi del già ricordato art. 27 della Costituzione, non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. ( morte, tortura ). Tale norma è soddisfatta solo se viene rispettata dalla legislazione, o ha anche un valore programmatico per l'azione concreta dello Stato?
Nessuna norma prevede che i carcerati debbano vivere uno addosso all'altro, senza adeguata assistenza sanitaria, senza assistenza psicologica, senza niente. Ma tutto questo - contrario al senso di umanità ed al recupero del condannato - accade, al di là della volontà e dell'impegno degli operatori carcerari.
Il carcere, cioè, è afflizione in sé, ovvero in quanto restrizione della libertà; in sè non significa affatto "in tutto il suo contenuto". La Costituzione vieta che nel carcere, oltre al suo valore in sé, possa esserci qualcosa contro l'umanità.
Si è citato l'art. 2043 cc: "Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno". Per quale motivo il fatto che si provochi un danno ingiusto al cittadino/carcerato non dovrebbe essere risarcito, nei termini coerenti alla materia?
Nessuno dice che ci sia "dolo" dello Stato, ma "colpa" sì dello Stato come " insieme-degli-altri cittadini-che-stanno-fuori" . "Colpa" per negligenza, indifferenza. Un atto subito, con urgenza, contro la mediocrità della demagogia e della menzogna, per gli ultimi, per il ripristino del senso profondo della legalità.
23/12/2005 Fausto Cadelli
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