Il Messaggero Veneto 28-01-2002
TRIESTE - E se fosse Renzo Tondo, a tagliare il nodo gordiano della legge elettorale? L'ipotesi circola, e qualcuno fa notare che l'atteggiamento del presidente della giunta ricalca in maniera trasparente quello tenuto nel "caso Melò". Ha scelto il profilo basso, quasi piatto, non è intervenuto, e alla vigilia del "redde rationem" ha scelto il suo buen retiro tolmezzino per riposarsi, ma certo anche per studiare qualche mossa, assicura chi lo conosce bene.
Certo, qui si tratta di una riforma, non di una nomina, e Tondo non ha la possibilità di calare nulla dall'alto. Però potrebbe porre la questione personale, dicendo che condizione per una sua disponibilità a ricandidarsi è un certo tipo di soluzione. Sarebbe una mossa azzardata? Più no che sì. Perché la responsabilità rimarrebbe comunque alla maggioranza. E il contrastarlo potrebbe scatenare una crisi vera, che in questo momento non sta bene a nessuno del partner della Cdl. Inoltre una vera alternativa a Tondo per il 2003 in questo momento non esiste (c'è l'ipotesi Guerra, e anche quella del manager tratto dalla società civile, che però appaiono entrambe, per motivi diversi, di difficile praticabilità).
Così un atto del presidente rappresenterebbe sicuramente uno scatto di indipendenza di fronte alla tenaglia Saro-Antonione e lo rafforzerebbe. E se anche l'iniziativa godesse di qualche appoggio non palese, lo smarcamento dalle logiche dei coordinatori, nei confronti dell'opinione pubblica, funzionerebbe ugualmente. C'è di più: una posizione del genere porrebbe Tondo sullo stesso piano di Illy, che ha detto di essere disponibile a candidare solo con il presidenzialismo. Gli conferirebbe insomma, almeno in parte, quell'autorevolezza e quel carisma sul quale molti lo dicono in ritardo rispetto all'ex sindaco di Trieste.
Luciano Santin