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Il Piccolo 19-01-2002

Le privatizzazioni vanno avanti a rilento e occorre sbloccare, sostiene il viceministro Urso, gli sgravi fiscali che sono stati previsti per le «zone franche»

A Timisoara la locomotiva produttiva parla la lingua del Nordest

La Romania è interessata alla realizzazione di un oleodotto che da Costanza sul Mar Nero arrivi fino a Trieste

TIMISOARA - Bastano due ore di volo. Salgono a bordo dei loro executive, torpedoni dei cieli affittati per un giorno, e atterrano a Timisoara, 750 mila abitanti, il distretto industriale rumeno dove le aziende del Nordest, in pochi anni, hanno costruito un piccolo impero. Sono gli immigrati con la valigetta 24 ore. L'aria è la stessa di Porto Marghera. Mefitica e tagliente come nelle centinaia di opifici che costellano le provincie del Triveneto. Nel distretto industriale di Timis sbuffano come vaporiere 1.121 piccole imprese italiane con investimenti per 43,7 milioni di dollari. Lavorazione del legno, tessile, calzature, agroalimentare: si riproducono per partenogenesi. Ma, come direbbe Agnelli, la festa è finita.

Timisoara. Italia. L'Italia è il primo partner commerciale della Romania, il sesto Paese investitore, il primo per numero di aziende. Sono circa 11 mila le imprese registrate a capitale misto di cui almeno 2500 già operative, e più della metà provenienti dal Nordest. Nel 2001 le importazioni da Bucarest sono cresciute del 39 per cento e le esportazioni sono aumentate del 32,5 per cento. La Sace ha 200 milioni di euro pronti per assicurare l'export. Ma la fase dei pionieri sembra finita. Le incursioni oltrefrontiera non bastano più: «Siamo venuti qui spinti dalla necessità, per sfuggire alla mancanza di manodopera, al rischio di cementificazione del nostro territorio. Ma oggi qui bisogna investire in infrastrutture, sicurezza, formazione professionale» ‹afferma Mario Moretti Polegato, console onorario della Romania a Treviso e numero uno della Geox, un gruppo calzaturiero da 300 miliardi. Le piccole e medie aziende che sfruttano il basso costo del lavoro (in Romania un operaio costa 110 dollari contributi compresi) e delocalizzano le produzioni a basso costo non bastano più a se stesse: «La delocalizzazione è un fenomeno imposto dalla necessità. Per questo gli imprenditori del Nordest devono fare squadra.

A Bucarest vogliamo creare la prima associazione di Confindustria costituita all'estero» ‹incalza Piero Della Valentina, presidente degli industriali di Pordenone, che in Romania controlla una segheria di semilavorati che poi reimporta in Italia. Gli imprenditori italiani si lamentano: regole cambiate in corsa, poche certezze nel diritto, e «se si vuole costituire una società prima di siglare il contratto d'affitto bisogna avere l'approvazione anche dei vicini...». Per questo chiedono che Roma istituisca un consolato italiano a Timisoara. E sono felici dell'idea del premier Berlusconi di convertire gli ambasciatori anche in addetti d'affari. Lo è meno l'energica ambasciatrice italiana a Bucarest, Anna Blefari Melazzi: «Se fossi un imprenditore non sarei qui a fare il diplomatico ma mi dedicherei agli affari. In Romania temo che gli industriali italiani abbiano più bisogno di assistenza legale». In caso di scioperi (fenomeno recente), non ci sono problemi a licenziare le vecchie maestranze riassumendo nuova manodopera qualche giorno dopo. Un Eden per chi detesta Cofferati. Intanto le autorità rumene vogliono «clonare» il modello Timisoara nel resto del Paese.

Imprese di Romania. A Timisoara si parla veneto e meno spesso friulano. Le imprese del Friuli-Venezia Giulia sono mimetizzate nella colonizzazione partita da Treviso e Padova. Parcellizzate, sparse, sono venute qui a investire soprattutto nel settore del legno, della meccanica, tessile e abbigliamento. La Finest, chiarisce il presidente, Paolo Petiziol, ha investito qui circa 40 miliardi con 56 joint venture che hanno creato un indotto per 250 miliardi. Oggi Finest prepara con Informest un manuale per gli investitori che operano nei Balcani. A Timisoara sono presenti aziende come la Zoppas Industries che ha aperto uno stabilimento per la produzione di componenti e resistenze elettriche. Guglielmo Frinzi, veronese, presidente della Camera di commercio italiana di Romania, è il direttore generale della Generali Asigurari, la filiale rumena del colosso assicurativo triestino, presente in Romania già dal 1835 con una compagnia che assicurava i trasporti sul Danubio.

Dopo il crollo dei regimi comunisti, Trieste è tornata a Bucarest nei primi anni Novanta riacquistando anche il patrimonio immobiliare: la stessa sede della Banca Commerciale Romena, oggi al centro di un piano di privatizzazione, prima del Novecento apparteneva alle Generali: «La compagnia ‹afferma Frinzi‹ è in forte crescita, controlliamo circa il 4 per cento del mercato. Certo, è un Paese povero dove l'instabilità politica e economica regna sovrana. C'è confusione sulle agevolazioni finanziarie e fiscali. Ma oggi il clima sta migliorando».

Alla povera fiera dell'Est. A Bucarest siamo alla frontiera estrema del processo di allargamento dell'Unione Europea. Il contrasto fra le antiche «dacie» liberty sede delle ambasciate e i palazzi santuario costruiti da Ceausescu sventrando il centro storico (oggi ospitano ricevimenti e matrimoni) è fortissimo. I lunghi e mastodontici viali, dove si è consumata la fine cruenta del regime comunista, non possono nascondere le zone d'ombra di un Paese convertito all'economia di mercato ma dove il 60 per cento delle case non ha acqua corrente. Secondo un recente rapporto della Bers, la banca per la ricostruzione e lo sviluppo, il rischio Paese è ancora molto alto a causa della corruzione dilagante. La povertà è estrema: domina l'economia delle elemosina. I bambini vendono candele gialle e spugne a ogni angolo di strada. La televisione trasmette corsi di lingua soprattutto in italiano per alimentare i sogni di fuga. Fuori la coltre di ghiaccio sulle strade costringe la gente a muoversi al rallentatore.

La corsa al mercato. Le privatizzazioni vanno avanti troppo lentamente. Nella prima missione di un rappresentante del governo italiano a Bucarest e Timisoara, il viceministro Adolfo Urso, ha chiesto di accelerare la corsa al mercato, risolvere i numerosi contenziosi legali che ancora coinvolgono le imprese italiane, sbloccare gli sgravi fiscali per le zone franche. La presenza ancora ossessiva dello Stato, la mancanza di trasparenza nella concessione di visti e permessi, l'inflazione ufficiale al 30 per cento: lo scenario è quello di un Paese che cerca di entrare in Europa, ma lotta ancora per sopravvivere, e chiede il sostegno delle grandi istituzioni finanziarie internazionali, per ottenere gli aiuti comunitari assicurati da programmi come il Phare per le grandi infrastrutture.

L'atollo Europa. Un euro oggi vale «circa» 28.587 lei, la divisa rumena. Il forte deprezzamento della moneta rumena ha fatto schizzare le esportazioni di un Paese che cerca di entrare nell'orbita di Maastricht. Un'Europa allargata fino ai confini occidentali della Russia? Il governo ha ribadito che «l'Italia sosterrà la Romania per un rapido ingresso nell'Ue e nell'Alleanza Atlantica». Il primo ministro rumeno, Adrian Nastase, vuole farcela per il 2006 (la Romania, con la Bulgaria, resta fuori dalla lista dei 10 Paesi candidati all'Ue entro il 2004) e stringe i tempi per attuare le riforme imposte dal Fondo Monetario. «La circolazione dell'euro nei Paesi dell'Est ‹afferma Fabrizio Costa, dirigente del Tesoro per le relazioni finanziarie internazionali‹ produrrà una maggiore stabilità nell'area, neutralizzando i rischi di cambio.

Paesi come la Slovenia, in pole position per entrare in Europa, hanno già perso nei fatti la sovranità monetaria scegliendo di ancorarsi al tasso di cambio dell'euro, che ha preso il posto di quelle regioni dominate dall'influenza del marco tedesco. Questo processo si estenderà rapidamente a tutto l'Est, dove la moneta europea sta rapidamente guadagnando posizioni».

Banche: task force «made in Trieste». Da qualche anno il sistema creditizio sta seguendo le imprese del made in Italy nella conquista di quote di mercato anche in Romania. Qui è presente una filiale della Banca di Roma e del gruppo Veneto Banca. Roberto Nicastro è il capo delle operazioni all'estero di Unicredit. Il gigante bancario guidato da Alessandro Profumo, in prima linea nell'Est Europa, sta definendo in Romania il contratto d'acquisto di una dozzina di sportelli dalla turca Demirelbank ceduti dal nuovo socio di controllo, Hsbc. Nascerà così Unicredito Romania: «A fine marzo, una volte ottenute le autorizzazioni, pensiamo di poter cominciare a operare». Nicastro conferma che la CrTrieste, controllata da Unicredit, non perderà il suo ruolo verso Est: «Le competenze molto attente verso l'Est Europa dell'istituto triestino saranno un asset importante per la nostra crescita. Il direttore generale della CrT, Ravidà, oggi è presente nel cda della croata Splistka Banca. Penso poi al direttore generale della CrT Zagabria, Adriano Carisi. Trieste sarà punto di riferimento per tutta la nostra task force nell'Est». Il gruppo Cardine, intanto, ha acquistato la West Bank e coordina le operazioni a Est dal quartier generale di Padova.

Un oleodotto da Costanza a Trieste. I grandi gruppi italiani ricominciano a monitorare l'Europa centro orientale, come era già avvenuto negli anni Ottanta. Si sta consolidando la presenza di società come Ansaldo, Agip Petroli, Parmalat, Benetton, Generali, Iveco. A Timisoara, nel dossier discusso fra il viceministro italiano alle attività produttive, Adolfo Urso, e il suo omologo rumeno Cristian Colteanu, ci sono progetti che riguardano in particolare i settori delle infrastrutture e dell'energia. L'Ansaldo e i danesi della Aechl sono impegnati nel raddoppio della centrale nuclelare di Cernavada: un investimento da 280 milioni di dollari. La fine del conflitto nel Kosovo ha riaperto molti progetti nei Balcani.

Accanto ai grandi corridoi dei trasporti, alle opere infrastrutturali, come l'autostrada Timisoara-Belgrado, Bucarest preme per realizzare il progetto di un oleodotto che da Costanza, sul Mar Nero, arriva attraversando l'Adriatico fino al terminale di Omisalij, sull'isola di Veglia, e Trieste: «Esiste già uno studio di fattibilità fra Romania, Croazia e Jugoslavia. Vogliamo alleggerire i trasporti via mare» -conferma il viceministro Colteanu. Un progetto sul quale potrebbe tornare l'interesse dell'Eni. In gioco ci sono gli investimenti dell'industria petrolifera e lo sfruttamento del gas naturale. Piani che contano sui fondi strutturali rimessi in moto dal Patto di Stabilità per i Balcani. Costanza, porto che rappresenta una frontiera naturale dell'Unione Europea, e Trieste, cerniera fra i Balcani e Eurolandia. Forse il futuro dell'Est riparte da qui.

Piercarlo Fiumanò