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Il Messaggero Veneto 04-01-2002

«Tagliamento a rischio d'estinzione»

Un'indagine del Wwf segnala le conseguenze dell'utilizzo delle casse di espansione

UDINE - Il Tagliamento, l'ultimo fiume selvaggio delle Alpi, corre un concreto rischio di estinzione. A lanciare l'allarme è il Wwf, la benemerita associazione impegnata da anni sul fronte ambientalista. Cosa sta accadendo al "nostro" fiume, lungo appena 178 chilometri, con un bacino imbrifero di 2.871 Km quadrati (un'inezia se paragonati agli oltre 70.000 del Po), studiato in molte tra le principali università europee (Vienna, Innsbruck, Marburg, Birmingham, Zurigo). Il motivo? È l'ultimo fiume alpino superstite a seguito degli interventi di regimazione realizzati sui principali corsi d'acqua europei. Solo il Tagliamento si presta allo studio delle dinamiche di evoluzione naturale delle golene, per capire come intervenire su altri corsi d'acqua pesantemente compromessi dalle opere idrauliche che l'uomo ha realizzato nel corso del 19° secolo.

Si studia infatti il Tagliamento come ecosistema di riferimento per mettere a punto modelli di rinaturalizzazione e di gestione che trovano applicazione su alcuni grandi fiumi, tra cui il Danubio, il Rodano ma anche il Missouri. La Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra) aveva evidenziato nel 1992 che solo circa il 10% della lunghezza dei fiumi alpini - pari ad uno sviluppo lineare inferiore a 900 chilometri in tutto l'arco alpino - non era stata irrimediabilmente degradata causa interventi antropici di varia natura. A questa piccola percentuale concorre ancora il fiume Tagliamento per un tratto del suo corso: quello medio, essendo il tratto a monte sottoposto a numerose captazioni per la produzione di energia elettrica che limitano il flusso minimo vitale, mentre quello a valle - da Latisana sino al mare - è ridotto ormai ad un canale. Nel tratto medio il fiume infatti possiede gran parte dello spazio di cui disponevano le sue acque nei secoli scorsi e, data la particolare posizione geografica di raccordo tra l'ambiente mediterraneo e quello alpino e la persistenza di dinamiche golenali naturali, una varietà di microambienti che stanno all'origine della ricchezza di specie ed habitat.

Ciò ha motivato il riconoscimento di tale area come "sito d'importanza comunitaria" (Sic ItT3310007). Tuttavia il Tagliamento è stato fonte anche di lutti, angosce e ingenti danni, come nelle alluvioni del 1965 e 1966 quando il fiume ruppe gli argini artificiali ed inondò Latisana e le campagne circostanti. Da allora prese avvio un infuocato dibattito che, giungendo sino ai giorni nostri, vede nella realizzazione di tre casse di espansione, localizzate a monte e, precisamente, all'interno del Sic, la soluzione idraulica ideale per l'abbattimento del colmo di piena a 4.000 mc/sec. Alle vasche, del volume di circa 30 milioni di mc, si aggiungono anche opere da realizzare in alveo, quali soglie per stabilizzare la quota del fondo, protezioni spondali, una traversa per il carico delle vasche stesse ed opere di ricalibratura nel tratto terminale, canalizzato, del fiume. Il tutto sancito il 28 agosto 2000 da un Dpcm con relativo stanziamento finanziario.

Nel tratto dove il Friuli Venezia Giulia vuole realizzare le vasche di contenimento, l'alveo del fiume si trova tra due ripide scarpate di altezza compresa tra i 60 e i 70 m , distanti tra loro mediamente 3 Km., e si caratterizza per il variegato mosaico di forme e strutture in continua evoluzione. Qui l'equilibrio naturale è, infatti, tutt'altro che statico; e ciò fa sì che l'area sia anche una zona di grande attrazione turistica. Perché dunque si vogliono costruire casse di espansione in golena, ove il fiume naturalmente dovrebbe già possedere ampio spazio per straripare, poiché l'alveo attivo mediamente occupa solo un terzo dello spazio disponibile? Per consentire - si legge sul piano stralcio dell'Autorità di Bacino dell'Alto Adriatico - la laminazione a 4000 mc/sec dell'onda di piena che si ritiene essere caratterizzata da un valore al colmo, nella zona a monte interessata dal manufatto, di 4600 mc/sec, unitamente ad altre opere idrauliche nel basso corso che sono state previste per smaltire appunto 4000 mc d'acqua al secondo. Ma i calcoli delle portate non solo sono discordanti e frutto di approssimazioni; trovano anche giustificazione nel fatto che si rileva un andamento tendenziale crescente dei valori di massima altezza idrometrica a causa dell'impermeabilizzazione dovuta all'inurbamento. Ci si chiede tuttavia se in un punto ove il fiume, con un andamento a rami intrecciati, può spaziare per anche 3 km in larghezza, si debba escludere la capacità di laminazione naturale per 600 mc/sec, al punto da giustificare la realizzazione di una tale opera idraulica che entrerebbe in funzione poche volte nell'arco di un tempo di ritorno di cento anni. Ci si chiede come sia possibile non contemplare altre soluzioni che favoriscano processi di laminazione naturale del Tagliamento, evitando una forma di canalizzazione che, oltre ad aumentare i fenomeni erosivi sulla sponda opposta e a trattenere i sedimenti, potrebbe comportare l'abbassamento del livello della falda freatica, l'approfondimento del suo alveo, il possibile prosciugamento delle aree limitrofe e probabilmente potrebbe generare anche altri problemi di tipo idraulico.

Proprio il piano stralcio dell'Autorità di Bacino ci ricorda che, limitatamente alle falde freatiche, i rapporti non sono ben definiti con gli altri corsi d'acqua, causa la grande permeabilità dei terreni costituiti da depositi alluvionali del quaternario che, in un certo grado non ben determinabile, influiscono sul regime del fiume. E sempre il piano stralcio ci ricorda che il Piano urbanistico regionale del 1978 - ora abrogato - riconosceva per la zona del Tagliamento il parco fluviale ed alcuni ambiti di tutela da attuare con pianificazione particolareggiata, mentre la legge regionale 42/96 ha istituito una riserva, aree di reperimento e aree di rilevante interesse ambientale lungo il medio e alto corso del fiume.

Ci si chiede dunque se sia ancora possibile che, dopo la promulgazione della legge 183/99, della più recente legge per una nuova tutela delle acque (Dlgs 152/99), l'unico approccio per la messa in sicurezza dei fiumi debba essere ancora e soltanto quello idraulico. Sembra che sia necessario distruggere completamente un ecosistema, com'è avvenuto sul Po, per rendersi conto che era meglio tutelare le caratteristiche naturali e la funzionalità ecologica, piuttosto che buttare miliardi in interventi idraulici. In tanti, da tutta Europa ­ conclude Nicoletta Toniutti, del WWf regionale ­ ci stanno ammonendo sui pericoli che un tale intervento idraulico può comportare, al punto che vengono sul Tagliamento per capire come riportare i loro fiumi in condizioni di naturalità tali da non nuocere alle comunità.