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Il Piccolo 15-02-2002

Prosegue in Consiglio il voto dei singoli articoli della legge elettorale

Seggio garantito agli sloveni: la Cdl ribadisce un secco «no»

Respinto l'emendamento della Margherita. Ammorbidita la norma antiribaltone: per la sfiducia serviranno 31 firme. Si ritorna in aula il 26 febbraio

TRIESTE - Cacciata dalla porta sotto forma di ordine del giorno, è ricomparsa ieri dalla finestra, in veste di emendamento, la questione del seggio regionale da garantire a una rappresentanza della minoranza slovena. Ed è stata di nuovo cassata. Ma non finisce qui: ulteriori emendamenti attendono di essere trattati nelle prossime sedute, a partire dal 26 febbraio.

Era stato il Cpr, alleato di Forza Italia, a proporre il giorno prima, con un ordine del giorno, che la questione del seggio sloveno fosse stralciato dalla legge elettorale ora in discussione per essere affrontata, piuttosto, in sede parlamentare. An aveva dissentito anche su questo punto, ma la proposta era passata coi voti di Forza Italia e Lega. Ed ecco ieri sono stati i popolari della Margherita a proporre un emendamento - che in Commissione la maggioranza si era impegnata a sostenere in aula - per risolvere la questione così: apparentamento di una lista di candidati sloveni con altro partito e attribuzione alla prima dell'ultimo seggio ottenuto dal secondo.

Ma i «no» sono stati 27 (da parte di tutta la maggioranza a eccezione del Cpr) e i «sì» 16 (da parte di tutte le opposizioni, cui si sono aggiunti appunto il Cpr nonché l'Unione Friuli). E i voti dei soli proponenti ha ottenuto l'emendamento - di dubbia legittimità costituzionale - con cui Rifondazione chiedeva venisse comunque garantito un seggio alla minoranza. Erano già pronti i Ds e il Pdci a presentare a loro volta i propri emendamenti (per l'istituzione di una circoscrizione «slovena» a cavallo delle province di Trieste e Gorizia e, rispettivamente, per adottare anche per gli sloveni il «sistema ladino» in atto nel Trentino-Alto Adige), ma la seduta è stata sospesa. I lavori sono stati aggiornati, come detto, alla fine del mese. In precedenza l'aula aveva varato uno dei punti qualificanti della riforma, quale lo strumento della cosiddetta sfiducia costruttiva, la cui gestazione - da parte della stessa maggioranza - è stata alquanto laboriosa. Dapprima Polo e Lega avevano convenuto che per revocare un presidente, o un assessore, la relativa mozione dovesse recare non solo 31 firme su 60, ma che, di esse, almeno un terzo dovesse appartenere alla coalizione di maggioranza; e così era stato votato in Commissione. Poi la stessa maggioranza ha rincarato la dose, proponendo in aula che gli «sfiduciati» debbano includere addirittura la metà dei componenti della coalizione maggioritaria.

«Ma questo è incostituzionale!», hanno protestato compatte le opposizioni. «È come stabilire per legge che solo la maggioranza - hanno contestato i Ds e la Margherita - possa sfiduciare... se stessa». Ha dato loro ragione, quale relatore di maggioranza, il rappresentante del Cpr, ed è infine passata la norma secondo la quale, per sfiduciare il presidente, occorrono semplicemente la metà più uno dei voti consiliari. Anche sul fatto che un presidente, in quanto «indicato» anziché eletto direttamente dai cittadini, possa essere «sfiduciato» senza che il Consiglio debba automaticamente sciogliersi, vi sono state vivaci, ma inutili, contestazioni. «Così - hanno commentato i Ds - avremo un presidente menomato, a sovranità limitata».

Giorgio Pison