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Il Piccolo 30-01-2002

«Cardiochirurgie: ne basterebbe una ogni 4 milioni di abitanti. Polemiche: sufficiente non leggere i giornali»

Santarossa: «La Sanità ai privati? Mai»

«Io voglio il bene della gente, i medici sono portatori di interessi in qualche misura corporativi»

TRIESTE - Ha contro il mondo medico in tutte le sue sfaccettature e colorazioni, ha contro i sindacati, e pure gli Ordini professionali di tutte le province. Nascono comitati per la salvaguardia della Sanità pubblica, volano - da destra a sinistra e ritorno - accuse di svendita del servizio sanitario ai privati, con annessa «americanizzazione» (e quel che di male ne consegue). Eppure l'assessore Valter Santarossa, padre politico delle linee di riordino della Sanità regionale, non prende quasi piega, ed ecco perché.

Assessore, è attaccato da tutti, anche da chi le è vicino politicamente. Ah, no. In Sanità nessuno è vicino a nessuno. La politica non c'entra. Ma allora tanto più: come mai non c'è uno che condivida la vostra azione?

Non lo capisco davvero. Questo varato a dicembre non è un «piano sanitario», sono linee d'azione che sostanzialmente riprendono la legislazione precedente (legge 13, per esempio) e i piani a medio termine. E questi contengono cose che i medici hanno chiesto e condiviso a suo tempo. Oggi affermano che state americanizzando la Sanità, che per il servizio pubblico mettete un tetto alla spesa e per i privati la ampliate. È un'interpretazione tutta loro. I privati, se paragoniamo la spesa a quella complessiva, costano una quota minima. Confermo che non ci passa nemmeno per l'anticamera del cervello di intaccare il servizio pubblico. Mi si dica se potevano essere impiegati più finanziamenti di così. La loro obiezione è che per ridurre le liste d'attesa si possono pagare extraorario, come da contratto, i medici dipendenti, prima di rivolgersi «fuori.» Per le liste d'attesa, che sono davvero un'emergenza per la gente, stiamo facendo più cose. Il ricorso ai privati è solo una. Miglioriamo i Cup, consigliamo maggiore attenzione ai medici di famiglia, potenziamo attrezzature e professionalità.

Perché non avete cercato il consenso della categoria prima di varare questa delibera?

Il documento promette il piano dell'Emergenza, quello Materno-infantile, quello della Riabilitazione. Sulle bozze regionali tutti i medici interessati saranno sentiti, diranno la propria opinione. Solo dopo i piani saranno ufficialmente varati.

Ma il documento di riordino non è stato concordato?

Ho parlato un paio di volte con gli ospedalieri. I medici di medicina generale, in effetti, non li ho convocati ufficialmente. Devo ricordarmi che i rituali sono importanti. Ora però ho già fissato colloqui con ospedalieri e universitari.

Lei non dà molto credito a questa censura corale?

Mi lasci dire. Gli ospedalieri hanno paura di essere fagocitati dagli universitari, gli universitari hanno paura di perdere qualcosa del loro ruolo, i medici di famiglia... non capisco il loro attacco. Avranno un ruolo sempre più fondamentale. Il fatto è che stanno trattando il contratto integrativo.

Così dicendo lei delegittima ogni critica.

No, per carità. Dico che i medici sono portatori di interessi, in qualche misura, corporativi. Si preoccupano anche della genericità con cui viene prospettato lo sviluppo della medicina territoriale, però. Qui un po' di ragione ce l'hanno. Approfondiremo con progetti specifici, stiamo appunto raccogliendo proposte anche da loro, proprio dai medici di famiglia. Che parlano di un progetto di Sanità capace di far collassare il sistema. Lo devono dimostrare. Ho letto che secondo i medici, per esempio, i «doppioni» di reparti non esistono. E io dico che esistono. Se le finanze ce lo permettessero, non solo doppioni farei, ma anche triploni. Ora come ora, bisogna unificare. Per utilizzare meglio attrezzature, personale del comparto, sale operatorie.

Secondo i medici si indebolisce la «rete» di assistenza.

Mi spieghino che cosa cambia se invece di due, faccio per dire, ortopedie, ce n'è una sola. Il problema è che gli universitari, che devono fare soprattutto didattica, temono di perdere posti letto e pazienti, e invece potranno averne il doppio, anche quelli dell'ospedale. E gli ospedalieri temono di venir comandati da un clinico. Secondo me, il capo deve essere il più bravo e basta. Magari si potrebbe pensare a un «turn over» tra le due categorie. Ma non faremo calare dall'alto l'ordine di chiudere questo piuttosto che quello. Noi abbiamo segnalato la lista dei reparti doppi, i medici si siedano a un tavolo. Facciano loro le scelte.

A proposito di doppioni, resta la spina delle Cardiochirurgie.

La letteratura scientifica dice che una basta per un bacino di quattro milioni di abitanti. Qui siamo un milione e 200 mila.

Ma Trieste afferma che pur con 60 ore di straordinario al mese non si riesce a calare la lista d'attesa...

Ah, ma allora questo mi conferma che è meglio farne una sola davvero. Con più medici, e risparmiando sulle attrezzature. Qui in regione, con le fughe di pazienti, le Cardiochirurgie in realtà (come costo) sono tre.

Una frase secca a tutti i medici: quale le viene in mente?

Una che forse non farà piacere a lei: lasciamo stare i giornali. Non enfatizziamo queste proteste. Il comune obiettivo è la salute della gente. Coi medici ci siamo parlati, parleremo ancora. Ma dobbiamo fare i conti coi bilanci, questo sì.

Gabriella Ziani