Il Messaggero Veneto 16-11-2001
Il professor Mezzetti: la specialità è in fase regressiva
UDINE - «Siamo su un terreno molto confuso; ho, inequivocabile, l' impressione che si sia tuttora in alto mare». In alto mare con la riforma elettorale, in alto mare perfino con l'attuazione della legge 15, approvata quest'anno, che a sette anni di distanza ha tradotto in norme applicative i principi sanciti dalla costituzionale 2 del '93.
È scettico il professor Luca Mezzetti, direttore del Dipartimento di studi giuridici e ordinario di Diritto costituzionale comparato all'Università di Udine; scettico sulla prontezza del Friuli Venezia Giulia ad adattare il suo assetto istituzionale e normativo all'architettura federale disegnata dalla riforma Amato, "ratificata" dal referendum del 7 ottobre; e ancora, è scettico sulla stessa approvazione della legge elettorale in tempo utile per la chiamata alle urne del 2003.
«Ho la netta impressione - afferma lo studioso, che è anche docente di Diritto regionale e amministrativo, autore di numerose pubblicazioni - che si andrà a votare con la "clausola transitoria"; vale a dire, con la legge in uso nelle Regioni a statuto ordinario. Il docente motiva questa diffidenza con le «tendenze anomale» del Consiglio regionale a delegare all'esterno (il riferimento è alla bozza Marpillero) l' approntamento di soluzioni preconcordate in sede politica, manifestazione - sostiene - di «quasi pigrizia» dell'assemblea del Friuli Venezia Giulia, di una riluttanza - insomma - a partorire proposte proprie. Fortunatamente (si fa per dire) «non siamo soli; altre regioni sono ancora lontane dal raggiungimento dell'obiettivo finale, anche se quelle a statuto ordinario sono un passo avanti in questo percorso».
Mezzetti cita a riprova il caso della Lombardia, che ha attuato i principi del decentramento (112 del '98) con un "corpus" ponderoso e meticoloso sul trasferimento, materia per materia, di competenze e funzioni a Province e a Comuni. Vero è che la nostra Regione si trova ancora in mezzo al guado, in un momento assai delicato della sua esistenza; con una specialità che Mezzetti dà per «perduta»; con le regioni ordinarie più agili e pronte nel cogliere le opportunità della Bassanini («sono queste le nuove speciali»). C'è, quindi, «un lavoro immenso» da fare.
Mezzetti elenca tre punti. «Bisogna rivedere lo statuto almeno adeguandolo ai margini di autonomia riconosciuti alle Regioni ordinarie, sia per la forma di governo, sia per le competenze, che non a caso sono oggi più rilevanti che nelle speciali. È quindi necessario mettere mano a un'opera di revisione e di adeguamento della legislazione, e dello statuto, oltre che ai nuovi assetti relativi al trasferimento di competenze così come previsto dalla legge di "recepimento" dei risultati del referendum (la 3/2001). È necessario proseguire, inoltre, con l'attuazione della legge quadro 15 di quest'anno, tenendo conto dei contenuti normativi che caratterizzano la legislazione nazionale, in particolare la 112 del '98 sul trasferimento di funzioni all'interno delle regioni ordinarie».
L'allarme che serpeggiava da tempo è dunque confermato. La specialità che ieri si diceva essere a rischio, oggi sembra sul punto di svaporare, sia per le vischiosità e le incertezze della Regione nel cogliere il significato e le grandi opportunità della legge costituzionale 2 del '93 - fatta a misura delle nostre esigenze, ma dalla Regione lasciata nel cassetto -; sia per il forte impulso dato dalla legislazione nazionale ai poteri e alle competenze delle regioni ordinarie. È significativo che la loro "riscossa" sia cominciata con la legge elettorale - maggioritaria - che ha delineato una forma di governo "presidenziale". Un precedente che richiama al docente udinese, in riferimento ai nostri propositi di riforma, la necessità di un rapporto coerente tra il sistema di voto e la "forma" di governo.
Se il primo è proporzionale - spiega - è bene che il secondo sia "parlamentare"; eventuali discrasie produrrebbero inceppamenti nella "produzione" legislativa (che dovrebbe essere imponente se si vogliono adeguare i nostri standard istituzionali almeno a quelli delle Regioni ordinarie) o nell' azione dell'esecutivo. Alla corrispondenza tra questi due livelli - osserva il docente - il Consiglio regionale deve dedicare «una forte attenzione». Magari sacrificando qualcosa di quella "concertazione" orientata ad esperire, a tutti i costi,, alchimie di compromesso che lasciano spesso inalterati i problemi di fondo.