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Il Gazzettino 05-01-2002

La controversia per accertare la proprietà di una strada, iniziata nel 1983, conclusa con una transazione nel 1998

Quindici anni per una causa, risarcite

Strasburgo ha accolto l'istanza di due sorelle di Pagnacco contro la lentezza della Giustizia

Quindici anni e dieci mesi per ottenere giustizia. Anzi per essere costretti a risolvere la controversia in forma stragiudiziale, soluzione formalizzata in un verbale di conciliazione delle parti sottoscritto il 12 novembre del 1998 davanti al giudice della sezione stralcio. Troppi, anche per la cronica lentezza della Giustizia italiana. Chi ne è responsabile? Il Ministero di Giustizia. Una pronuncia di condanna è stata adottata su ricorso di una delle parti dalla Corte europea per i diritti dell'Uomo di Strasburgo che ha riconosciuto un risarcimento per violazione della articolo della Convenzione europea relativa al «Diritto a un processo equo». Un cittadino di Pagnacco aveva chiesto giustizia al Tribunale di Udine. Lui è morto nelle more processuali; le sue due figlie hanno ereditato la controversia. A loro spetterà il risarcimento fissato dalla Corte Europea di Strasburgo in 24mila euro ciascuna per il danno morale (47milioni 470mila lire) e mille euro (quasi 2 milioni di lire) per le spese legali. Ad assisterle nella istanza alla Corte l'avvocato udinese Angela De Monte Nussi.

E pensare che non si trattava di una causa di valenza statosferica che ponesse in ballo interessi miliardari. No. Un semplice accertamento sulla proprietà di una strada di Pagnacco adibita a pubblico transito da tempo immemorabile ma che era rivendicata da un privato, vicino di casa dell'attore, che sosteneva di aver acquistato quel tratto di strada dal Comune. Chi aveva ragione? Le parti si sono ritrovate in occasione della prima udienza ancora nel lontano febbraio 1983. La seconda udienza si è tenuta il 2 aprile del 1994 dopo che un'udienza intermedia è stata rinviata senza motivo. Nel maggio del 1987 è giunta la richiesta di consulenza tecnica. Ci sono voluti sei mesi per decidere se serve il perito. E altri cinque mesi e mezzo per arrivare all'udienza in cui il perito ha consegnato il proprio elaborato. Siamo nel maggio del 1988. L'udienza successiva è fissata al 2 dicembre del 1990. A quel punto cambia giudice istruttore perché trasferito ad altro incarico. Il 4 novembre del 1991 il processo si interrompe per la morte dell'attore. La causa slitta al 14 aprile del 1992 quando le due figlie procedono alla riassunzione del giudizio. Ci vogliono sei mesi perchè il nuovo giudice fissi l'udienza. È l'ottobre del 1992. La dirittura d'arrivo è ancora lontana perchè il nuovo giudice entra in maternità e la causa inizialmente fissata al 24 gennaio del 1994, scivola di un anno e 10 mesi, fino al 24 gennaio del 1994. La storia infinita riserva un ultimo colpo di scena: il giudice atteso per un anno e 10 mesi per la nascita del suo bambino e lo svezzamento, dopo un'unica udienza, il 27 novembre del 1995, è trasferito ad altra sede. Il suo sostituto fissa la causa al 13 ottobre del 1997, un anno e 11 mesi dopo.

L'avvocato Angela De Monte Nussi ha calcolato in sette anni i tempi morti del processo, 84 mesi non imputabili alla parte privata. Poiché le eredi dovevano definire la questione del transito stradale che aveva indotto il loro genitore a rivolgersi alla giustizia, per avviare i lavori di ristrutturazione della loro abitazione, sono state costrette a trovare una soluzione stragiudiziale con definizione finale il 12 novembre del 1998. Nel suo ricorso l'avvocato Angela De Monte Nussi dopo aver ricordato che un'attesa di 15 anni senza arrivare neppure a una sentenza di primo grado, non può essere considerata ragionevole in base all'articolo della Convenzione che stabilisce il diritto dei cittadini a un processo equo, ha esaminato il perché dell'abnorme ritardo. Li ha individuati nei rinvii inutili e immotivati, nel giudice che, «probabilmente a causa di un eccessivo carico di lavoro», ha fissato le udienze a distanza di numerosi mesi, mentre la legge italiana prevede che il rinvio non possa essere superiore ai 15 giorni, salvo motivazioni particolari che devono essere riportate nel provvedimento. Per il legale il codice di procedura italiano se correttamente applicato è strumento adeguato a garantire il diritto alla speditezza del processo. E il giudice ha i mezzi necessari per impedire lungaggini e contenere in tempi ragionevoli la durata del processo.

Se non l'ha fatto e perché, secondo il legale, sui giudici italiani grava un'enorme mole di lavoro, a causa delle carenze dell'organizzazione e del funzionamento degli uffici giudiziari italiani. E il solo responsabile è, per il legale, il Ministero di Giustizia. A dimostrazione che rapidità e giustizia si possono coniugare, la Corte Europea di Strasburgo dopo aver registrato il 6 ottobre 1999 l'istanza e averla ritenuta ricevibile il 13 febbraio 2001, ha deciso in meno di un anno sull'istanza di risarcimento: l'11 dicembre.

M.F.