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Il Piccolo 22-11-2001

Un migliaio di delegati e istituzioni finanziarie al forum  economico che si è aperto ieri: riflettori accesi sui nuovi Paesi emergenti

L'Est Europa «globalizzato» punta sulle privatizzazioni

Quintieri (Ice): «Sfida per la competitività delle nostre imprese». Il nodo dei fondi europei

TRIESTE «Possiamo fornire manodopera qualificata, standard produttivi nella media europea. Risorse naturali come foreste, miniere di ferro e argento, acque termali. Abbiamo circa 180 aziende strategiche in vendita»: Goran Skrbic è il direttore dell'agenzia per le attività bancarie della «Republika Srpska», l'entità istituzionale serba all'interno della Bosnia-Erzegovina. Una micro-realtà territoriale che rappresenta una porzione dell'universo balcanico che cerca di dialogare con l'Europa, dopo la fine della guerra e dei conflitti.

Il forum economico dell'Ince che si è aperto ieri a Trieste, con oltre un migliaio di delegati e di operatori economici, disegna le prospettive di un mercato sterminato ma rappresenta anche le zone d'ombra della globalizzazione. Una finestra aperta sui «nuovi emergenti» dell'Europa centro orientale ma anche su «enclave» territoriali quasi sconosciute e spesso temute dagli investitori per il rischio politico. Un universo parallelo. Tim O'Neil parla con un forte accento americano. È il capo del dipartimento per gli scambi commerciali e l'industria della missione Onu in Kosovo. Cerca partner commerciali e piani di investimento. Descrive un territorio da ricostruire: «Abbiamo fatto molti passi avanti sfruttando le risorse che ci sono: ci sono buone occasioni nel settore delle costruzioni, nell'agricoltura, nel settore manifatturiero». I vantaggi? «Ci sono diverse società in buone condizioni che possono tornare a produrre. Possiamo garantire un basso regime fiscale».

Alla Stazione Marittima, sede del forum, dove si discute animosamente nei vari seminari organizzati sin dal primo mattino, sono presenti i funzionari della Bers, la Banca europea per la ricostruzione e investimenti, il polmone finanziario dell'Europa centro-orientale, in tutto 27 Paesi che stanno affrontando una complessa transizione verso l'economia di mercato. La Bers, che ha cominciato a operare nel 1991, dopo il crollo degli ex regimi comunisti, nel 2000 ha erogato finanziamenti per 1,5 miliardi di euro, soprattutto in Croazia, Polonia, Romania, Russia. Secondo un rapporto del Fraser Institute («Economic freedom of the world») la Romania ha il punteggio più alto per libertà economica, seguita dalla Slovenia, da Bulgaria e Croazia: «Il clima sta migliorando -affermano alla Bers- anche sul fronte delle privatizzazioni, che procedono a pieno ritmo».

Il forum ieri si è concentrato soprattutto sui piani di sviluppo, sulle privatizzazioni, sul sostegno alle piccole e medie imprese. Ieri il viceministro per le attività produttive, Adolfo Urso, ha annunciato che all'inizio del prossimo anno «sarà finalmente operativa la legge sui Balcani, che prevede 320 miliardi di contributi ogni anno, in parte per la cooperazione e lo sviluppo, in parte per investimenti produttivi». L'attenzione del forum si concentra soprattutto sui Paesi candidati all'ingresso nell'Unione Europea. Ma l'economia frena anche a Est. Ieri è stato diffuso un rapporto della Commissione europea secondo cui il 2001 si concluderà con una crescita zero per i tredici Stati che puntano all'adesione, soprattutto a causa delle due crisi economiche in Turchia.

Per Bruxelles la ripresa però è attesa già per il prossimo anno. Secondo il rapporto il Paese con la disoccupazione più elevata è la Polonia (18,8%). La Slovenia, in pole position per entrare nell'Unione Europea con Ungheria, Polonia, Estonia e Repubblica Ceca, registra il tasso di disoccupazione più basso ma anche una tendenza all'aumento dell'inflazione. A sorpresa Lettonia e Lituania, per quanto riguarda il costo della vita, viaggiano al di sotto del 3 per cento. Non avrebbero problemi a centrare uno dei due obiettivi per superare le forche caudine di Mastricht.

Beniamino Quintieri, presidente dell'Istituto per il commercio estero, vede nella «delocalizzazione», cioè nello spostamento delle produzioni a basso costo delle nostre imprese verso l'Est europeo, una chiave di sviluppo anche per le nostre imprese. Un fenomeno già avvenuto, ad esempio, in Romania: «La sfida della competitività ‹afferma Quinteri‹ si misura anche sullo spostamento delle produzioni di minore qualità anche perchè permette di abbattere i costi in alcune fasi del processo produttivo». Ma quanto pesano i venti di recessione che spirano anche sull'Europa sull'interscambio commerciale italiano verso l'Est Europa? Negli ultimi anni c'è stata una frenata consistente a causa dell'instabilità politica e del conflitto nell'ex Jugoslavia: «Non credo ci saranno ripercussioni importanti per le nostre esportazioni in questi Paesi.

Fa eccezione il caso della Russia dove l'export sta crescendo a tassi molto elevati e ci sono grandi potenziali di sviluppo. L'area dei Balcani, negli anni più recenti, è stata invece al centro di una forte delocalizzazione da parte delle nostre imprese». Al forum ci si interroga anche sull'utilizzo dei fondi comunitari. Un ruolo chiave, secondo Cinzia Zincone, del ministero del Lavoro, viene svolto dalle Regioni che possono avviare rapporti di partnership fra pubblico e privato. Tuttavia -sottolinea Roberta Lazzari, responsabile del programma Cadses del Friuli-Venezia Giulia- il dialogo a livello transnazionale «è ancora tutto da costruire».