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Il Piccolo 29-12-2001

Parla Federico Pacorini, candidato del Centrosinistra alle ultime elezioni

«In sei mesi Trieste è cambiata: non è più la città che voleva Illy»

«Il Comune opera contro l'industria? Negare l'esistenza di questo settore mi sembra un segno di stupidità autolesionistica»

E' stato l'avversario del sindaco Roberto Dipiazza alle ultime elezioni amministrative. Poi, dopo la sconfitta, è sparito dalla circolazione. E' Federico Pacorini, noto imprenditore, ex presidente degli industriali. Siamo andanti a stanarlo, interrogandolo sui primi sei mesi della giunta di Centrodestra, e sulla situazione economica cittadina.

Pacorini, lei è scomparso dalla scena politica. Come mai?

Lo avevo preannunciato in campagna elettorale, quando mi ero preso l'impegno di continuare la linea portata avanti dal sindaco Riccardo Illy. Nel momento in cui la città ha scelto in maniera diversa, sono tornato a fare, dopo due decenni, una vita normale.

Le sembra giusto nei confronti dei 50 mila cittadini che avevano votato per lei?

Sì, mi sembra giusto e rispettoso perché chi mi ha votato lo ha fatto per un amministratore e un sindaco, con lo scopo di portare avanti la città. Non so fare il mestiere del rappresentante politico.

Come vede Trieste sei mesi dopo le elezioni comunali?

Sicuramente sono la persona meno indicata per dare una risposta del genere, in quanto sono colui che ha perso contro Dipiazza. Quelli che, dopo sei mesi, possono dare una risposta, sono i cittadini che lo hanno votato. La mia impressione è che la differenza tra le due Trieste, quella di Illy e quella di Dipiazza, sia molto evidente.

Il primo semestre della giunta di Centrodestra è stato caratterizzato da vivaci polemiche: dal buco di bilancio alla polemica sui «nettacessi» del Burlo. Lei che ha da dire in proposito?

Si tratta di casi specifici che hanno avuto una risonanza forse eccessiva, come la presidenza di Menia alla Risiera, piuttosto che il quadro di Pagnini.

E la «mazza di Omero», l'ormai famosa battuta di Dipiazza?

Beh, quella è una questione di stile. Certe cose non si possono comprare al negozio. Il problema è un altro: Trieste è notevolmente cambiata. Saranno poi gli elettori a giudicare se in modo positivo o negativo. Certo che io propendo più a pensare all'Area di ricerca che non alle bancarelle.

E' contento di come ha operato finora la coalizione Lista Illy-Ulivo che l'aveva sostenuta in campagna elettorale?

Così come è accaduto a livello nazionale, credo che anche a Trieste l'opposizione debba organizzarsi. Di fronte a questo decisionismo della maggioranza e a questi primi passi ruvidi, l'opposizione è apparsa ancora sguarnita. Manca una personalità che raccolga tutte le forze politiche.

Lei ha guidato gli industriali triestini fino alla primavera di quest'anno. Da allora sono cambiate le prospettive di sviluppo per la città?

Direi di no, direi che il comparto ha retto molto bene rispetto alle situazioni che si sono create. E soprattutto ritengo che il settore abbia ancora molte cose da esprimere. Quello che preoccupa è che a livello di istituzioni, e soprattutto a livello di Comune, ormai si faccia con sfrontatezza un'azione contro l'apparato industriale di Trieste. Il voler continuare a negare che esista un comparto industriale, come ha fatto il sindaco nel saluto di fine anno, più che un segno di ignoranza è un segno di stupidità autolesionistica.

Resta insoluto il nodo della Ferriera che il Centrodestra, pur in tempi non brevissimi, vorrebbe far chiudere. Si dice però che Lucchini sia molto amico del premier Berlusconi, e che quindi sia inverosimile che il governo chieda ai bresciani di rinunciare all'impianto triestino...

Ciò dipende dalla volontà della Lucchini di restare a Trieste. Non dimentichiamo che il gruppo, proprio per le sue dimensioni, può operare in varie parti d'Italia. Se si dovesse trovare a operare in un ambiente troppo ostile, è difficile che combatta fino in fondo. Ma il problema è un altro: il governo sta facendo delle cose inconsuete. Per esempio, la sdemanializzazione di Cornigliano in Liguria è una cosa che nessuno avrebbe mai ipotizzato fino a pochi mesi fa. In sostanza, quelle aree si potrebbero alienare con destinazioni d'uso diverse.

Potrebbe accadere anche per Trieste?

Non lo so, anche se quello che una volta era impensabile, ora non lo è più. Attenzione però: nessuno mette in dubbio che le situazioni ambientali vadano sanate, a prescindere da chi si sia insediato prima, la Ferriera o le case. Ma da qui a dire che lo stabilimento andrebbe chiuso...

Perché stenta a decollare il recupero di Porto Vecchio?

Lo stallo comincia dalla stessa società creata come antitesi burocratica a Trieste Futura (Pacorini è stato uno dei promotori, ndr) che era nata dalla gente ed ebbe un successo a 360 gradi. Per fermare questo disegno, che qualche padrone del vapore riteneva fosse troppo trasparente, è stata fatta una società fantasma, la Porto Vecchio srl, che se non vado errato da due anni viaggia con un capitale da 50 milioni. Nel frattempo, i semestri passano e la confusione aumenta, mettendo a rischio quello che è un progetto molto importante.

Intende quello della sede del Lloyd triestino?

Certamente. E spero che non lasci la città. Ma se Trieste riuscisse a fare nei confronti di Evergreen quello che è riuscita a fare nei confronti delle Generali - e mi riferisco al mancato progetto Polis e al conseguente trasferimento del centro direzionale a Mogliano Veneto - allora Trieste sarebbe una piena e consapevole artefice delle sue disgrazie.

E la nuova querelle Authority-Luka Koper, sulla gestione del Molo VII?

Credo che una delle disgrazie di questa città sia stata quella di affidarsi a delle persone alquanto strane. Se noi andiamo a vedere la gestione del porto in quest'ultimi due anni, scopriamo che sono stati lanciati progetti in tutte le direzioni con una certa arroganza. Iniziative che hanno finito per intralciarsi l'una con l'altra. Dapprima è stato cacciato il più grande terminalista europeo (Ect, ndr), poi ci siamo ritrovati un nuovo terminalista, Luka Koper, il cui principale fautore è stato proprio Maresca. Ora lo stesso presidente del porto sostiene che quel terminalista non va bene, e che anzi va analizzato (per non dire indagato), magari per poi dire che è il caso di revocargli la concessione. In un clima di questo genere la prima cosa che si perde è la credibilità. La seconda, se ne vanno i traffici.

Il porto rischia il commissariamento?

Se ne parla. Io ritengo che l'attuale gestione non possa continuare in questi termini.

Alessio Radossi