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Il Gazzettino 10-01-2002

LO STORICO

LA TRAGICA RESA DEI CONTI TRA I PARTIGIANI ITALIANI E JUGOSLAVI

di GIANNANTONIO PALADINI

L'area giuliana e friulana tra 1941 e 1945 fu uno dei più aspri teatri della guerra partigiana in Italia che qui ebbe un carattere plurinazionale. Infatti, in una difficile, a tratti impossibile, unità d'azione parteciparono alla resistenza al nazismo e al fascismo (l'invasione della Jugoslavia del 6 aprile 1941 da parte italo-tedesca e il suo smembramento ebbero effetti profondi sulle popolazioni slovene e croate della Venezia Giulia), italiani, sloveni e croati. Se si aggiungono le diversificate articolazioni politiche, ideologiche e militari, si comprende bene come quella realtà abbia prodotto fortissime tensioni tra il movimento italiano e quello slavo, tensioni mediate faticosamente e parzialmente fra il Partito comunista italiano e quello sloveno, fra il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia e il Fronte di liberazione sloveno. Ora, fino all'armistizio dell'8 settembre 1943, le rivendicazioni slovene (alle quali si aggiungevano quelle croate) di annessione alla Jugoslavia della Venezia Giulia e di una parte del Friuli Orientale non comportarono la rottura del composito fronte partigiano.

Diversamente piegarono le cose dopo la costituzione, il 1. ottobre 1943, del Litorale Adriatico. Nelle settimane precedenti, infatti, al dissolto potere del Regno d'Italia era subentrato il contropotere partigiano e sloveno, e i dirigenti del movimento avevano proclamato l'annessione del litorale sloveno (provincia di Gorizia e Trieste) e croato (provincia di Pola e Fiume) alla Slovenia e alla Croazia. Nello stesso periodo - settembre 1943 - in Istria almeno 500 persone in maggioranza italiani ma anche slavi, furono precipitati nelle foibe, una giustizia sommaria nella quale s'intrecciarono motivi diversi, dalle persecuzioni patite sotto il fascismo alle vendette personali, in un clima istituzionale confuso. Nell'ottobre, i tedeschi ripresero nelle loro mani salde il retroterra delle province di Trieste, dell'Istria e di Gorizia. Quanto a quest'ultima, che aveva conosciuto fin dall'estate 1942 una precoce presenza partigiana, vive nel settembre la terribile esperienza della "battaglia di Gorizia" (15 mila tedeschi contro 4-5 mila partigiani). Nell'ottobre i tedeschi sono padroni dell'antico capoluogo della Contea principesca di Gorizia di Gradisca, e si forma il Comitato di liberazione nazionale di Gorizia (comunisti, socialisti, democristiani, azionisti e infine liberali).

Dopo un'intesa sul rinvio a fine guerra delle dispute territoriali, partigiani italiani e sloveni fronteggiarono, con azioni di guerriglia, l'occupante tedesco, con gravissime perdite. Malgrado queste prove di unità, nell'autunno 1944 i rapporti tra la resistenza italiana e jugoslava si deteriorarono non solo a Gorizia ma in tutta la regione. A fine aprile 1945 in un clima di rottura tra partigiani italiani e sloveni le cose vennero al loro punto finale. Il 1. maggio 1945, Gorizia venne occupata dai partigiani sloveni, e sotto amministrazione jugoslava restò fino al 12 di giugno. Anche se gli storici non concordano sui numeri, fu allora che alcune centinaia di persone (probabilmente 5-600) morirono nei campi di deportazione jugoslavi o nelle foibe carsiche.

Fu una tragica resa dei conti. L'unità politica antifascista e antinazista non aveva retto, a Gorizia come in tutta la Venezia Giulia, al più profondo, drammatico contrasto delle nazionalità. Alla fine, nel settembre 1947 con il trattato di pace di Parigi, Gorizia, che era stata tra giugno 1945 e settembre 1947 sotto amministrazione alleata, rientrò nei confini dello Stato italiano, anche se amputata di buona parte del territorio provinciale, riconosciuto alla Repubblica di Jugoslavia.