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Il Piccolo 18-04-2002

Anche Pittini liquida Nesis: «E' senza futuro»

Bocciata la superlobby interregionale targata Forza Italia: «A Miramare ci sono andato solo per la cena»

Dall'inviato

RIVOLI DI OSOPPO L'odore dell'aria non sa proprio di violette, complice magari l'umidità. Incuranti, i locali abbeliscono le loro ville, mantenendo la privacy con robusti cancelli e alberi di ciliegi ampiamente in fiore. Nessuno, comunque, si sogna né si sognerebbe mai di chiedere la chiusura di quel chilometro di ferro-cemento-laminati-tondini che sta a due passi dai loro comignoli. Benvenuti alle Ferriere Nord, casa madre del cavalier Andrea Pittini, il presidente degli industriali del Friuli Venezia Giulia, e valvola di sfogo per l'occupazione a due passi dalla disastrata, economicamente parlando, montagna carnica.

È qui, in questa posizione un po' decentrata, che Pittini ha il suo osservatorio privilegiato del comparto industriale regionale, stretto tra le querelle politiche a livello nazionale (articolo 18 e dintorni), le rivalità straprovinciali e una voglia di fare lobby che sta già dividendo gli imprenditori. Ma se la Grande Polemica viene liquidata con un'occhiata di sbieco e un'alzata di spalle («Articolo 18? Cambierebbe qualcosa solo al Sud e nelle imprese piccole, che proprio per la non licenziabilità non vanno oltre i 15 dipendenti, a costo di perdere lavoro»), sul resto c'è voglia e disponibilità a entrare nel merito. A partire dalle ripercussioni su imprese della dimensione della sua del clima di conflittualità attuale. «Guardi che non dico niente di nuovo affermando che per noi le modifiche di cui si parla non hanno alcun impatto. Sono anni che le grandi imprese stanno eliminando gradualmente personale, decentrando e facendo ricorso all'outsorcing... Il problema semmai è altrove...»

A cosa si riferisce?

Della modifica dell'articolo 18 si è fatta una querelle politico-sindacale di cui l'Italia francamente non aveva bisogno. Una bega che non porta utili ai lavoratori attualmente impiegati, che non perderebbero alcun diritto, e sull'altro fronte impedisce la regolarizzazione di chi lavora ai margini, soprattutto nel Meridione.

Come finirà, a suo avviso?

Difficile a dirsi. È diventato uno scontro sui princìpi, dove né il governo né Cofferati possono perdere la faccia.

Intanto cresce la tentazione, tra gli imprenditori, di fare lobbysmo. Nesis, se non andiamo errati, è nata con questo spirito, e si è già guadagnata una tiratina d'orecchi dal vicepresidente di Confindustria, Tognana, che l'ha definita una costola di Forza Italia...

Ma guardi, ho avuto un invito a partecipare a una cena e ci sono andato... Ho saputo dalla stampa di questo Nesis, di questa ipotetica lobby, della quale in quella sede non si era parlato. Non credo tra l'altro che sia una cosa che vada avanti...

Per quale motivo?

È chiaro che non è costume di nessun imprenditore interessarsi di politica. Io personalmente mi dichiaro astemio, e mi confronto sempre con chiunque, imprenditore o politico, rappresenti o un collega o il potere temporaneo... Come presidente della Federazione regionale degli industriali ho avuto sempre un dialogo aperto, sia quando presidente era Travanut, della sinistra, che quando c'era Antonione della destra, o ultimamente Tondo, pure della destra anche se arriva dai socialisti, ma insomma... È il mio compito e rimarrà tale, anche se al potere in Regione dovessero andarci Bertinotti o il Fascio littorio...

Ha telefonato alla signora Illy, presidente degli industriali triestini, dopo la famosa cena delle beffe a Miramare che non la vedeva invitata?

Mi aveva telefonato la stessa Illy il giorno prima, con lei ho un contatto continuo... Le avevo detto di non sapere di cosa si trattasse, non so se avevo ricevuto l'invito da Antonione o dalla sua segretaria...

Che comunque non avevano specificato i termini della serata...

Assolutamente no. Le cose io le ho apprese dai giornali, nessuno mi ha detto facciamo la società del potere o la setta nera o la mano lunga... Il suo collega veneto Rossi Luciani, che lei conosce bene, ha parlato di tentativo tutto locale di organizzare una lobby per gestire le grandi opere. Mah, le grandi opere interessano solo un settore e lì, in quella cena, c'erano un po' tutti, non era quella la sede. Certamente...

Certamente?

La nostra intenzione è quella di spingere le strutture, i servizi di cui questa regione è carente, e il Veneto ancora di più. Di qui la necessità di una certa unione di forze, che non vuol dire di potere, tra le due regioni confinanti, che hanno problemi simili, parlando proprio di servizi: portuali, ferroviari, logistici, legati alla viabilità. Di sicuro non era quello il momento in cui discutere di appalti.

Facciamo un salto in avanti, fino alla Ferriera di Trieste, lei c'è passato...

Sì, e mi costa ancora...

Comunque sia, che senso ha parlare adesso di dismissione?

Diciamo pure che la città da tanto tempo non la vuole, o perlomeno non la ama. È un tipico particolare tutto triestino, perché quello stabilimento copre oltre 1500 posti di lavoro tra impiego fisso e indotto. Oltre a tutto esistono i mezzi per renderla ecocompatibile, però...

Però?

Mi dica chi possa sentirsela di spendere vari miliardi di fronte a una reazione di chiusura così netta... Me lo ricordo ancora: la città mi ha fatto morire, attorno a quello stabilimento. Non i sindacati o gli operai, si badi bene, ma la città, o almeno certi suoi ambienti.

Qualcuno ha proposto di trasferirla.

Un nonsenso. Non si sposta una struttura posizionata su 75 ettari di terreno, con officine, cokerie, acciaierie, altoforni. Si dovesse traslocarla, nulla sarebbe riutilizzabile.

Intanto lei, per disporre di tondini, si è comprato una fabbrica a Potenza, dai Lucchini...

Lasciamo stare, polemizzare non è costruttivo.

Comunque sia, come vede l'impatto del caso Ferriera sul futuro industriale di Trieste?

Futuro? Con quali industrie e quali industriali? Trieste potrà magari cacciare la Ferriera, ma come sostituirà una tra le poche realtà rimaste? In una città, oltretutto, più orientata verso un post-industriale (che stenta a trovare) che alla stessa realtà del comparto? Il grave è che è tardi anche per trovare nuove vie di sviluppo, per non parlare del porto...

No, no, ne parli pure...

Sono cinquant'anni che ci si arrabatta per portare quella che va considerata una delle più grandi ricchezze cittadine all'efficienza. E poi cosa succede? Una persona brava e capace come il passato presidente Lacalamita viene cacciata su due piedi, il suo successore, conoscitore del ramo e con strategie ben chiare, trova il suo maggior impegno nell'avere un rapporto con la città...

Si consoli: in regione va un po' meglio...

Reggiamo bene, soprattutto nel cuore produttivo dell'Udinese e del Pordenonese, anche se risentiamo della situazione generale, e segnatamente di quella tedesca, come tutti. Di sicuro non ci sono timori, né si può parlare di stasi o, peggio, di recessione.

E parlando della Regione con la «r» maiuscola, l'ente amministrativo, c'è qualcosa di cui avverte la mancanza?

Di un maggior governo dell'economia. C'è un obiettivo eccesso di enti e servizi pubblici. Centralizzare tutto porta a disporre di servizi limitati a costi considerevoli. Personalmente vorrei una Regione che «terziarizzi» tutto e che si limiti a gestire le gare d'appalto. Ne trarrebbe una migliore efficienza e costi più bassi.

Una Regione con un presidente «indicato» o eletto direttamente?

No, mi creda, ne so poco e l'argomento non mi appassiona, anche perché ho cambiato idea e partito troppe volte...

Furio Baldassi