Il Messaggero Veneto 14-01-2002
Oggi la maggioranza definisce il suo progetto e apre il confronto con l'opposizione
L'accordo Polo-Ln è più vicino, ma Illy minaccia il referendum popolare
TRIESTE - La bozza della riforma elettorale prende forma. Tra testo ufficiale e foglietti di appunti di questo e quel partito del centrodestra, sembra comunque più vicina ad un accordo di maggioranza. Con Polo delle libertà e Lega Nord che, in vista del vertice di oggi e della commissione di domani, parlano sempre più la stessa lingua. La preferenza unica, dice il capogruppo del Carroccio, Beppino Zoppolato, comincia ad andar bene alla Lega Nord. Si scioglie così il veto di An che «di doppia preferenza - dice l'assessore Paolo Ciani - non vuole nemmeno sentir parlare».
Bolla leghista anche sull'expedit di Zoppolato per il "listino", seppur con prove tecniche di "dimensione": si tratterà di una lista con il nome del presidente designato assieme a quello di altri candidati, che verranno eletti in una specie di quota maggioritaria. Un nodo in meno da sbrogliare a centrodestra, anche se quanti saranno "i maggioritari" in lista col presidente in pectore non è ancora dato sapere. E, per il momento, si ipotizza di chiudere la partita su tre nomi al massimo, dato per assodato che saranno comunque pochi. L'azzurro Roberto Asquini parla addirittura di micro-listino e conferma che «meno sono meglio è». Così come, per il premio di maggioranza che dovrebbe, secondo l'ultima bozza, garantire 36 seggi a chi totalizzerà il 40 per cento di voti, «la vera questione è la garanzia di governabilità e stabilità della Regione - aggiunge Asquini - e su questa linea c'è accordo e siamo pronti a ragionare».
Eppure, se si prova a buttarla lì e a dire che la legge è bella e fatta, il più cauto di tutti è proprio il portavoce del presidente della giunta regionale: «Ne parliamo domani - dice Alessandro Colautti - ci sono ancora alcuni aspetti pratici da definire, anche se lo spirito della legga trova l'accordo di tutti. E c'è la volontà di ampliare il confronto all'opposizione». Ed eccolo il vero rovescio della medaglia: il timore celato tra i banchi alleati che l'accordo finale in aula sia viziato da veti incrociati, non tanto sullo spirito di una riforma che ormai sembra comune, quanto sui cavilli che la contornano: numero di seggi del premio di maggioranza, numero di candidati nel listino del "presidente in pectore", quota dello sbarramento proporzionale e compatibilità tra il ruolo di consigliere regionale e altri incarichi, sindaci in primis, che sembrano star molto a cuore alla Lega.
A questa matassa di esigenze diverse, si aggiunge un'incognita esterna al consiglio regionale. Incognita che potrebbe pesare molto sull'atteggiamento del centrosinistra in Regione e sulla disponibilità al dialogo costruttivo tanto agognato dal Polo. Quella cioè di un Riccardo Illy che, «da cittadino e da imprenditore» va giù durissimo sulla proposta di riforma redatta dal centrodestra e già esaminata da un comitato ristretto. Un Riccardo Illy che, senza mezzi termini, auspica un gesto d'orgoglio da parte dei cittadini del Friuli-Venezia Giulia che porti a un referendum popolare e permetta l'adozione del sistema elettorale delle regioni a statuto ordinario. E, nel frattempo, denuncia le intenzioni dell'attuale governo Polo-Lega di «avere come unico obiettivo quello di garantire - attacca l'ex-sindaco di Trieste, oggi parlamentare - le poltrone a chi è già in consiglio e perpetrare il presente e il passato contro la volontà popolare di eleggere direttamente il presidente proprio nel momento in cui il ruolo della Regione cresce e i poteri aumentano».
Ma l'imprenditore triestino non si ferma qui: «Chi oggi governa - rincara Illy - lo fa, tra l'altro, con tutti i dilettantismi di una proposta autoreferenziale che, alla prima stesura, avrebbe fatto ridere uno studente del primo anno di giurisprudenza e che, anche adesso, contiene molti problemi giuridici». Uno su tutti, secondo Illy, il tentativo in discussione in queste ore di trovare un sistema di ripescaggio anche per il candidato presidente dell'opposizione, sebbene non eletto dal popolo. Un contentino per far dialogare «più volentieri» il leader dell'opposizione? Non è dato sapere, visto che sul tema c'è imbarazzo anche tra i banchi del Polo e nessuno sembra parlarne con serenità. Resta il dato che, se Illy si dice «molto preoccupato», il capogruppo del Democratici di Sinistra, Alessandro Tesini, conscio della responsabilità del suo ruolo istituzionale, è piú cauto: «Solo i paracarri non cambiano mai idea - dice -. Noi ci siederemo al tavolo comunque, per discutere».
Quel che Tesini contesta, invece, al centrodestra, «alla ricerca di consensi "ampi" in minoranza, una volta siglato l'accordo in casa propria», è di «tentare scorciatoie e predisporre una legge pasticciata - dice - con soluzioni come il premio di maggioranza e il listino tipiche del maggioritario con elezione diretta, senza però scegliere la via coerente dell'elezione diretta vera e propria». Disponibile Tesini, dunque, a dialogare, «ma non ad abbandonare una proposta coerente per una incoerente, che regala seggi alla maggioranza senza che il presidente sia eletto dal popolo».
Tommaso Cerno