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Il Messaggero Veneto 15-12-2001

Cosa cambia in Friuli-Venezia Giulia con la riforma Tremonti che ridisegna i compiti degli enti

Le Fondazioni "perdono" 1.000 miliardi

Dovranno rinunciare alle partecipazioni nei rispettivi gruppi (Cardine e Unicredito)

UDINE - Le Fondazioni nelle mani del potere politico locale, con tanti saluti al processo di privatizzazione avviato nei primi anni Novanta e faticosamente proseguito dal 1995 in poi, prima con la direttiva Dini e in seguito con la legge Ciampi. Per quanto concerne il Friuli Venezia Giulia, si tratta di un patrimonio attualmente stimato in circa 1.700 miliardi, così suddiviso: Fondazione Crup 700 miliardi; Fondazione Carigo (Gorizia) 300, Fondazione CR Trieste 700. Questa è la prima grossa novità che l'emendamento Tremonti alla Finanziaria 2002, se approvato, introdurrà nella vita degli organismi che hanno in gestione le partecipazioni nelle banche originarie (o nei gruppi bancari che le hanno incorporate) e la liquidità acquisita con la vendita di quote azionarie (fino a scendere sotto il 50%).

La seconda novità deriva dall'obbligo, per le stesse Fondazioni, di dismettere, entro pochi anni, la parte del patrimonio costituita dalle partecipazioni: la loro entità complessiva, sempre con riferimento all'ambito regionale, supera i mille miliardi: 530 della Fondazione Crup, 160 della Carigo e 330 della CR Trieste. L'istituzione delle Fondazioni quali enti di diritto pubblico si deve alla legge 218/90, più nota come legge Amato, sorta con lo scopo di privatizzare le Casse di risparmio e le altre banche pubbliche. Alle Fondazioni, che inizialmente detenevano la totalità del capitale degli enti creditizi, fu imposto l'obbligo di cedere una prima tranche di azioni, che nel caso della Fondazione Crup fu del 25%, venduta alla consorella di Verona. La direttiva Dini del 20 febbraio 1995 andò oltre e impose alle Fondazioni di portare il limite della partecipazione sotto il 50 per cento.

La terza fase di avvicinamento alla privatizzazione si attuò con la legge Ciampi n.461 del 1998, che ne ridisegnò totalmente la struttura, le finalità e l'organizzazione, facendone delle persone giuridiche di diritto privato senza scopo di lucro e dotandole di piena autonomia, con la prospettiva di porle sotto l'ombrello del codice civile, che nel Libro I disciplina appunto la vita delle Fondazione private. In quel momento le tre Fondazioni regionali detenevano quote di partecipazione nelle banche d'origine inferiori al 50%.

Mentre tale processo di privatizzazione era in itinere, ecco che, come un fulmine a ciel sereno, il 5 dicembre 2001 è spuntato l'emendamento Tremonti, che si propone di rovesciare come un guanto le Fondazioni, spogliandole di una parte rilevante delle loro funzioni. In sintesi le novità che il Ministro intende introdurre sono queste: ampliare i settori d'intervento (attualmente arte e cultura; sanità e assistenza; istruzione e ricerca; sviluppo economico) includendovi la famiglia, la sicurezza pubblica (le ronde?), l'edilizia popolare, la medicina preventiva e numerosi altri ambiti; assicurare negli organi di gestione "la presenza di una prevalente rappresentanza del territorio" (Regione, Province e Comuni), ovvero di esponenti espressi dal potere politico locale, rispetto ai membri della società civile; aumentare e inasprire i casi di incompatibilità; infine (ecco la grande novità) conferire le partecipazioni bancarie in un'inedita Società di gestione del risparmio (SGR), i cui organi dovrebbero essere designati dal Ministero del Tesoro e a cui spetterà (tra l'altro) il potere di nomina degli amministratori delle banche controllate.

Alle Fondazioni permarrebbe la gestione della propria liquidità (700 miliardi nel caso delle tre regionali) e dei dividendi bancari (nella misura stabilita dalle Capogruppo e con i criteri di assegnazioni fissati dalle SGR). A recepimento di tutto ciò, le Fondazioni dovranno approvare, entro 90 giorni, i nuovi statuti, mentre i loro attuali organi verrebbero nel frattempo azzerati. L'emendamento Tremonti comporta diverse implicazioni. Cominciamo dall'estensione dei campi di intervento. Le Fondazioni, di fronte a pressioni provenienti da ogni strato della popolazione, saranno vittime di una proliferazioni di erogazioni a pioggia (volte alla ricerca del consenso diffuso), impedite di fatto a operare una selezione finalizzata allo sviluppo economico, sociale e culturale del territorio.

La voluta prevalenza degli enti locali sulla società civile (rispetto all'attuale situazione di equilibrio tra le due componenti) rischia di mettere in secondo piano l'apporto determinante di università, associazioni culturali e di volontariato, enti scientifici, della stessa Camera di commercio (non compresa tra le rappresentanze del territorio) rispetto ai partiti che controllano la Regione, le Province e i comuni. Quanto alle incompatibilità, l'ipotesi che il membro di una Fondazione non possa far parte di alcun altro intermediario finanziario, anche se privo di legami con le stesse, fa nascere il sospetto che si miri, più che ad un'opera di moralizzazione, al totale ricambio delle posizioni di potere locale, ad un vero e proprio spoil system.

E' bene ricordare che il patrimonio delle Casse di risparmio non appartiene agli enti locali ma (seppure idealmente) a coloro che nel tempo hanno contribuito a costituirlo: gli amministratori, il personale dipendente, i clienti che in esse hanno riposto la loro fiducia. Un composito mondo portatore di una pluralità di interessi, compendiato nell'accezione "società civile", un universo che ora rischia di essere emarginato nel governo delle Fondazioni. Alla faccia delle privatizzazioni e dello sbandierato liberismo.

Abbondio Bevilacqua