Il Piccolo 08-11-2001
Roma accetta, con il documento di cooperazione e amicizia, di incassare l' indennizzo pattuito nell'83 con Belgrado.
Ora i beni degli esuli sono una questione nazionale. La firma a Trieste
ROMA - Beni abbandonati: la questione è chiusa. Per sempre. Adesso il tema diventa esclusivamente una questione nazionale. L'Italia, infatti, nel definire la trattativa con la Croazia sul Trattato bilaterale di cooperazione e amicizia, ha accettato di fornire a Zagabria le coordinate bancarie su cui versare i 35 milioni di dollari che le spettano quale indennizzo per i beni espropriati agli esuli nel dopoguerra. Complessivamente il credito dell'Italia è di 110 milioni di dollari, come pattuito negli Accordi di Roma del 1983 con l'allora Jugoslavia. Gli altri 75 milioni di dollari la Slovenia li ha praticamente già versati su un conto fiduciario presso la filiale lussemburghese della «Dresdner Bank». La Croazia inizierà a pagare il suo debito a partire dal primo gennaio del 2002. E così, 26 anni dopo, si chiude definitivamente la questione di Osimo. Il ministro degli Esteri, Renato Ruggiero è stato di parola. «Pacta sunt servanda» aveva detto agli interlocutori sloveni e croati.
E così è stato. Tutto è stato deciso in un giorno di intensa trattativa alla Farnesina tra il gruppo di lavoro italo-croato. Il sottosegretario agli Esteri, Roberto Antonione da una parte, il vice ministro Josko Paro, con a fianco l' ambasciatore Drago Kraljevic, dall'altra. Sul tavolo un documento che vede la luce dopo nove lunghissimi anni di travaglio. E dopo la parentesi da «guerra fredda» che ha caratterizzato i rapporti tra i due Paesi nelle ultime settimane a seguito della onorificenza conferita dal Quirinale all' ultima amministrazione italiana della città di Zara (1943).
Dunque, l'Italia accetta il pagamento da parte della Croazia (e quindi, indirettamente anche da parte della Slovenia ndr.) dell'indennizzo sancito nel 1983 dagli Accordi di Roma che hanno fatto seguito al Trattato di Osimo del 1975. «D'ora in poi - dichiarano fonti del ministero degli Esteri croato - le rivendicazioni degli optanti (ossia degli esuli ndr.) e i loro beni diventano storia e non sono più materia di discussione nei rapporti tra l'Italia e la Croazia».
L'altro nodo cruciale del trattato era costituito dall'articolo 9 in cui Roma chiedeva a Zagabria di impegnarsi a legiferare secondo modalità non discriminatorie. La «clausola» era riferita al processo di denazionalizzazione che è in gestazione al «Sabor» e che non avrebbe dovuto, nelle intenzioni italiane, escludere eventuali esuli italiani che ne avessero avuto diritto, per il solo fatto della nazionalità, ossia per non essere croati. Su questo punto si era levato forte l'«anatema» di Zagabria. Soprattutto dei «falchi» del governo del premier, Ivica Racan, impersonificati dall'ala dei socialiberali, che da tempo ammiccano alle derive nazionaliste tanto care agli accadizetiani del defunto presidente Tudjman e oggi all'opposizione.
L'Italia, nel corso della trattativa, ha riproposto il concetto nella sua interezza. La controparte però ha ribattuto che si tratta di una clausola oramai superata dai contenuti dell'Accordo di associazione e stabilizzazione all'Ue che la Croazia ha sottoscritto a Lussemburgo lo scorso 29 ottobre. «Accordo - precisano a Zagabria - firmato, oltre che dalla Croazia, anche dall'Italia e dagli altri quattordici partner dell'Unione europea e che regola con chiarezza il mercato immobiliare croato. Entro 4 anni dalla sua entrata in vigore (dopo la sua ratifica da parte del «Sabor», dei singoli parlamenti dei Quindici e dell'Europarlamento ndr.) - spiegano - tutti i cittadini europei avranno gli stessi diritti dei cittadini croati nei confronti dei beni immobili, compreso, dunque, anche il diritto di proprietà».
Ora il testo del trattato dovrà ottenere il palcet dei rispettivi governi per essere defintivamente firmato a Trieste, in occasione del vertice dell' Iniziativa centroeuorpea i prossimi 23 e 24 novembre, dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e dal premier croato, Ivica Racan. Anche per questo la Farnesina ufficialmente tace e non conferma, nè smentisce quanto è fin qui trapelato. È sfumata invece, per motivi tecnici (tempi troppo ristretti), l'opzione della firma al Palazzo di Vetro dell'Onu, a New York, in occasione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite di venerdì prossimo. «Ma anche Trieste - dicono a Zagabria - sarà un luogo altamente simbolico».
Mauro Manzin