la Repubblica 03-09-2001
PAOLO POSSAMAI
Di questi tempi muove i primi passi in azienda Ernesto Illy. Ha 18 anni, è nato in Svizzera. Porta il nome del nonno. Appunto suo nonno guida il comitato di famiglia che valuta i meriti e le qualità degli eredi interessati a operare alla Illycaffè. Le capacità dell’aspirante vanno poi incrociate con un altro criterio, sancito in un patto di famiglia che non lascia scampo a interpretazioni: ha diritto di accesso ai ranghi imprenditoriali interni solo un esponente di ciascun ramo.
I rampolli della quarta generazione Illy sono sette, per ora solo Ernesto junior ha iniziato il training, anche perché chi lo precede non ha nemmeno 40 anni. Andrea Illy, amministratore delegato, è nato a Trieste nel ’64. Riccardo Illy, che è nato nel ’55 e ha preceduto il fratello Andrea nel ’92 alla guida dell’azienda, ha di fatto lasciato l’anno appresso la vita aziendale (rimane vicepresidente). Nel ’93 ha iniziato il primo mandato da sindaco, cui ne è succeduto un secondo e poi, dal maggio scorso, l’elezione a deputato.
Francesco e Anna, gli altri due rappresentanti della terza generazione, fanno vita più appartata. Il primo, detto Buck, padre di Ernesto junior, ha dato nome e vita alla linea di stoviglie "Francis & Francis" e, poiché abita a Montalcino, non poteva esimersi dal business del vino. Andrea e Riccardo, Francesco e Anna detengono il 33% del capitale di illycaffè, il resto è nelle mani dei genitori Ernesto senior e Anna, che hanno lasciato il timone nelle mani dei figli ma sono tutt’altro che assenti. Ernesto è presidente del gruppo e "missionario del caffè" in tutto il mondo, Anna è stata da poco eletta presidente dell’Associazione industriali di Trieste. Andrea dei genitori dice che sono stati "intelligenti moderatori e artefici di un passaggio generazionale soft".
Timone è metafora appropriata a casa Illy. La finanziaria attraverso la quale i quattro fratelli partecipano al capitale di Illy spa si chiama "Buriana", come la storica barca a vela di famiglia, da un paio d’anni sostituita da un 14 metri battezzato "Xpresso". Sono tutti velisti, non solo perché per un triestino la bora fa parte della vita. Andrea ha il piglio dello skipper, chi gli sta attorno partecipa a un team, i genitori sono gli armatori. A loro volta Ernesto senior e Anna hanno la forma mentis del velistaimprenditore, anche loro hanno ricevuto una barca in eredità dal fondatore Francesco senior. L’inizio di tutto, la radice di una dinastia imprenditoriale universalmente nota consiste appunto in Francesco senior. Ungherese di origini, stava a Trieste per il servizio militare, ma non se n’ è più andato perché qui ha incontrato i due amori della sua vita: moglie e caffè.
Risale a Francesco, fin dall’avvio dell’attività nel 1933, la definizione dei tre pilastri su cui ancor oggi poggia Illycaffè. Un grande visionario che ha precorso i decenni. Ha indicato quale target fondamentale la qualità totale, sia rispetto al prodotto, che al marketing e al design. Ha pensato già allora ai mercati lontani, non solo al bar sotto casa. Ha valorizzato il caffè alla luce di autentiche invenzioni ad alto contenuto tecnologico: è stato l’inventore della macchina espresso "Illetta" e della nuova formula del caffè espresso. Francesco Illy ha iniziato a preparare l’espresso sostituendo al vapore l’aria compressa, con pressione a 9 atmosfere e acqua a 90°, non bollente a 100° come con la tradizionale moka. Consapevole che il caffè deperisce, pensando al commercio nei paesi lontani, il fondatore ha inventato il sistema di conservazione a pressurizzazione, sostituendo cioè nei barattoli aria con gas inerte (in modo da favorire la fissazione degli aromi negli olii del caffè).
A suo padre ha poi guardato Ernesto, ampliando l’area dei paesi serviti e facendo della qualità totale un dogma assoluto. Da una decina d’anni a questa parte non corre più regate, gira il mondo a fare il "missionario del caffè", reggendo una quantità di cariche di organismi scientifici e di categoria internazionali.
Sta ad Andrea regatare, e lo fa con successo. Lo dicono i numeri. Nel ’95 le vendite assommavano a 193 miliardi, i ricavi lo scorso anno sono saliti a quota 340 miliardi (con un utile netto di 20). Ma non è che una boa raggiunta all’interno di un percorso. Se l’ambizione è stimolo al successo e al progresso, Andrea Illy sostiene che "la quota di export oggi pari al 39% entro il 2004 dovrà essere fiftyfifty, tendente a passare al 6070% in seguito se vogliamo davvero perseguire il target di essere un’impresa globale. Il tutto in un processo di crescita che stimiamo nell’ordine del 1215% medio ogni anno".
Un passo di corsa, ma senza balzi. Una politica di acquisizioni è quanto di più alieno dal business concept di Illy. "Non troveremmo marchi, né standard di qualità che facciano al caso nostro" afferma senza alterigia Andrea Illy. Allo stabilimento di Trieste arrivano solo i chicchi selezionati alla fonte, nelle piantagioni brasiliane monitorate e testate costantemente. E a Trieste ogni singolo chicco viene vagliato da una macchina a infrarossi che scarta il frutto troppo maturo o verde. Lo scarto viene venduto ad aziende concorrenti e meno esigenti.
Illy tiene i fari puntati sul caffè a partire dai semi e dalle tecniche agronomiche, fino al trattamento in fabbrica, alla conservazione. Illy produce un’unica miscela al 100% Arabica, in luogo delle 3040 miscele che ordinariamente compongono il campionario di una torrefazione. Illy è anche una fabbrica metalmeccanica, nel senso che ha al proprio interno una divisione esclusivamente dedicata alla progettazione e alla materiale produzione dei barattoli pressurizzati e brevettati, cui viene poi apposto il marchio rosso disegnato da James Rosenquist. Tutti aspetti che Andrea Illy rimarca come a segnare una linea di confine fra sé e il resto del mondo.
E pensare, come ha raccontato lui stesso al "New York Times", che da ragazzo non pensava affatto di diventare "il dottore del caffè", titolo conseguente alla sua laurea in chimica. Sognava di affermarsi come pilota automobilistico o come neurochirurgo.