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Il Gazzettino 23-11-2001

L'IMPRESA FRIULANA SUONA IL "DE PROFUNDIS" DELLA VECCHIA AUTONOMIA

di MARCO PACINI

Impennate di orgoglio, amicizie compromesse per una telefonata mancata, risentimenti, cene dei grandi esclusi, l'istinto primitivo di marcare il territorio: la prima lettura, e in fondo la più intrigante, della strana guerra che ha scosso per alcuni giorni i vertici della Regione, è stata quella psicologica. Un passaggio moltopittoresco della vita politica regionale, a ricordarci (ma ce n'era bisogno?) che dietro le scelte politiche, i disegni strategici o presunti tali, ci sono anche i "caratteri".

Ma a pace fatta, se pace sarà, quel che resta della settimana di fuoco che va dallo scontro Tondo-Antonione sulla nomina del presidente di Autovie Venete al decollo del superclub degli imprenditori del Nordest, è ben altro. E siccome alla storia, anche a quella minore, piacciono le date, le svolte, i passaggi simbolici, scrivendo quella del Friuli-Venezia Giulia un giorno a qualcuno potrebbe venire in mente che la vecchia e stanca autonomia regionale, in mancanza di un Rubicone è più mestamente spirata tra una portata e l'altra di una cena a Buttrio, il 20 novembre del 2001.

Per troppo tempo la specialità regionale è stata quasi solo un rubinetto per le imprese, e dunque non poteva che spettare agli imprenditori, una volta che quel rubinetto si è chiuso, il compito di stilare il referto dell'avvenuto decesso. Lo hanno fatto in modo inequivocabile, assegnando alla Regione un ruolo del tutto marginale, se non inesistente, nell'iniziativa che ha l'ambizione di disegnare le loro strategie future di carattere "politico". Perché è di politica che si parla (soprattutto) quando sullo sfondo ci sono la realizzazione di grandi infrastrutture per migliaia di miliardi (passante di Mestre), le alleanze strategiche per porti e aeroporti, le privatizzazioni (Autovie Venete). Cambia solo l'interlocutore, che non è più il generoso e "autonomo" Friuli Venezia Giulia, ma sono il potente e "ordinario" Veneto e soprattutto Forza Italia, il partito che si è assunto il compito di far da commissario liquidatore della specialità così come la conoscevamo.

Tutto annunciato, beninteso: gli industriali vanno ripetendo da tempo che in Regione c'è un vuoto di potere, e i big friulani di Forza Italia già alla fine dell'estate avevano teorizzato la necessità di un patto strategico con il Veneto che mandasse in soffitta la retorica autonomista e l'autarchiapolitico-imprenditoriale.

Sono in pochi a dubitare del fatto che una comune strategia tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto a livello di grandi imprese rappresenti la ricetta giusta per affrontare le sfide dell'economia globale. Con la decisione di farsi promotore della nuova alleanza, dandole anche la veste formale di una Fondazione, il mondo economico friulano la sua scelta l'ha resa esplicita. Alla politica non resta che la presa d'atto che quell'autonomia, fondata prevalentemente sull'intreccio con l'economia, è morta. E magari interrogarsi sulle occasioni perse per arricchirla anche con contenuti diversi.

Chiedersi, per esempio, che fine ha fatto la politica estera regionale, ridotta ormai a qualche stand carinziano a Friuli Doc o alle foto ricordo con Haider. È solo grazie a Roma (che ci autorizza a gestire progetti di cooperazione nell'ex Jugoslavia) o a Bruxelles (che ci garantisce risorse per programmi di cooperazione transfrontaliera) che la Regione svolge ancora un ruolo internazionale. Ma le iniziative politiche autoctone, quelle della vecchia Alpe Adria, o del Mittelfest in ambito culturale, sono quasi del tutto assenti. Anche Autovie Venete poteva essere uno strumento concreto di politica estera, ma quasi tutti i protocolli di intesa internazionali sono rimasti lettera morta. E non basterà il certo tentativo di riciclare l'idea "Senza confini" nel settore turistico a cambiare le cose.

Non c'è stato bisogno di aspettare che ladevolutioncompleti il suo corso per svuotare gran parte della specialità regionale,fasin di bessoi.