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Il Piccolo 13-12-2001

Parla l'amministratore delegato del gruppo cantieristico triestino in via di privatizzazione, Pierfrancesco Guarguaglini

«Un socio forte per Fincantieri»

«Sul piano industriale vedo bene una completa integrazione con Finmeccanica»

Il governo vuole completare la privatizzazione del gruppo, un'azienda con oltre 9 mila dipendenti, entro il 2002. Come giudica questa operazione?

Dopo il via libera alla Finanziaria il governo aprirà anche il capitolo Fincantieri. Il risanamento attuato può accelerare questo processo. Il piano di privatizzazione si è reso necessario due anni fa dopo i richiami di Bruxelles. Un passaggio cruciale per consentire all'Iri di intervenire con un aumento di capitale e avviare il risanamento. Oggi il 17 per cento del gruppo è in mano a nove soci bancari, entrati due anni fa nel capitale della società. Il consulente scelto, Lehman Brothers, sta compiendo un sondaggio fra potenziali acquirenti. Noi siamo pronti e attendiamo il via libera dell' azionista e del governo. Nel complesso penso però che non sarà una operazione facile: il rallentamento della crescita economica mondiale si sta riflettendo anche sui mercati azionari. Penso che la Fincantieri oggi ha bisogno di un partner finanziariamente forte. Anche se un azionariato diffuso garantirebbe al management una maggiore autonomia.

Può tracciarne il possibile identikit di questo socio forte?

Dal punto di vista industriale avrebbe senso un'integrazione fra tutta la Fincantieri e Finmeccanica. Fincantieri, leader mondiale nella costruzione delle grandi navi passeggeri, con una quota del 35,2 per cento del mercato, salirebbe al primo posto in Europa anche nel settore militare. Si potrebbe creare una realtà in grado di fornire piattaforme equipaggiate per la difesa navale senza pari. Non avrebbe senso invece l'assorbimento da parte di Finmeccanica della sola divisione militare.

Il 50 per cento del fatturato del gruppo proviene dalle grandi navi passeggeri. La crisi del settore crociere avrà ripercussioni sull'attività del gruppo dopo i tragici fatti dell'11 settembre?

Nel settore delle grandi navi da crociera abbiamo lavoro assicurato fino al 2004 e fino al 2005 per Marghera. Se non ci sarà un aggravamento della crisi internazionale già in primavera la situazione potrà migliorare rapidamente. I nostri contatti con i grandi armatori americani, come la Carnival, non si sono mai interrotti: i programmi già impostati vanno avanti. E non vedo segnali di grave crisi finanziaria. È una fase turbolenta ma siamo tranquilli. Se i grandi armatori si rivolgono a noi, piuttosto che puntare su Giappone e Corea, significa che siamo in grado di garantire un prodotto all'altezza.

Ci sono trattative in corso per una nuova grande nave da crociera?

Stiamo trattando con un armatore americano. Siamo fiduciosi di riuscire a conquistare presto un nuovo ordine nonostante il rallentamento del mercato. Le grandi «navi bianche» resteranno il "core business" del gruppo? Certo, anche se stiamo avviando una produzione diversificata nella costruzione dei traghetti e delle navi militari: oggi rappresentano circa il 40 per cento del nostro portafoglio ordini. Basti ricordare la costruzione appena iniziata della nuova portaerei Andrea Doria, un ordine da circa 1750 miliardi, e due fregate della classe Horizon. Nei cantieri militari di Riva Trigoso e Muggiano-La Spezia il lavoro è programmato fino al 2007. Speriamo di poterci consolidare soprattutto all'estero. Intanto parteciperemo alla gara che il governo greco fra breve bandirà per la costruzione di quattro pattugliatori del tipo Saettìa (già commissionati in cinque unità dalla guardia costiera italiana) che dovranno sorvegliare le coste del Paese durante le Olimpiadi di Atene del 2004.

Come vede la sfida europea con i vostri grandi concorrenti nelle crociere, dai finlandesi di Kvarner Masa ai francesi di Chantiers l'Atlantique? Un mercato nel quale la concorrenza è forte.

L'obiettivo è quello di rafforzare la nostra leadership. Non vedo grandi margini di cooperazione nella cantieristica rispetto ai settori dell' aeronautica e della difesa.

E il Far East?

Nel mercato delle grandi navi soltanto il Giappone ha leggermente intaccato la supremazia europea ottenendo una commessa da P&O: oggi ha una quota di mercato del 12 per cento. Teniamo la guardia alta.

A due anni dall'avvio del piano di risanamento quale impatto ha avuto sulla struttura Fincantieri?

Dopo alcune perplessità iniziali la struttura si è identificata negli obiettivi del progetto. Lo stesso gruppo dirigente è stato capace di integrare l'esperienza con le nuove energie giunte dall'esterno. Oggi si può dire che l'attuale gruppo dirigente si presenta variegato, ma compatto. Squadra che vince non si cambia.

Quali sono stati gli ingredienti del risanamento del gruppo?

Ci siamo concentrati sulle cause del deterioramento finanziario. Abbiamo chiamato il piano «sfida per il successo». Le perdite che il nostro gruppo ha accusato nel 1999 sono state determinate per 150 miliardi dai ritardi nelle consegne. Per questo abbiamo reso più flessibile il lavoro nei cantieri e ci siamo impegnati in un continuo miglioramento gestionale e tecnologico nei settori civile e militare. Abbiamo razionalizzato soprattutto il lavoro dei fornitori, che sono stati organizzati in consorzi, considerato che per le grandi navi da crociera ci affidiamo per circa il 70 per cento al lavoro esterno.

Ci sarà un dividendo?

Si può ipotizzare la distribuzione di un dividendo se l'azionista Iri lo richiederà.

Piercarlo Fiumanò