Il Piccolo 19-01-2002
Nessuna idea concreta, soltanto qualche ipotesi come il mantenimento di un solo altoforno o il passaggio all'Acegas della centrale elettrica
Dipiazza: «Non è strategica». La Lucchini replica: «Lo è per noi. Vogliamo chiarezza»
Un impianto siderurgico incompatibile con Trieste che dev'essere chiuso e riconvertito perchè la città vuole voltare pagina: il destino della ferriera di Servola, secondo il Comune, è segnato. Sono mesi che il sindaco Roberto Dipiazza lo va ripetendo, non sono dichiarazioni estemporanee. Poco tempo fa ha accennato a un progetto di riconversione da studiare assieme al Governo. Nessuna favola. Il progetto ora prende corpo, ufficialmente. Il 25 gennaio arriverà in città, accompagnato da Roberto Antonione (fu proprio lui il primo, un anno fa, a ipotizzare la chiusura della Ferriera) il collega Mario Valducci, sottosegretario alle attività produttive. E ci sarà un vertice con tutte le istituzioni per mettere a punto un percorso. La tappa finale è già decisa: dismissione e riconversione produttiva. «E' il frutto di un lavoro che sto portando avanti da tempo a Roma - spiega lo stesso Dipiazza - ora questo progetto deve essere verificato. E immediatamente inizierà un confronto con gli industriali e la Lucchini».
Fermo come non mai, Dipiazza: «C'è un punto fondamentale - aggiunge - e cioè che la Ferriera di Servola non è considerata strategica per il Paese. All'Italia servono 10 milioni di tonnellate di ghisa l'anno, Taranto con Riva ne fa 6,5, altre 3,5 le fa la Lucchini con Piombino. Trieste dunque deve chiudere come Cornigliano a Genova. Ben diversa la situazione della Sertubi, che produce usando la ghisa della Ferriera. Quello è uno stabilimento strategico e potrà produrre con un solo altoforno aperto».
E al posto della Ferriera? Il sindaco non si sbottona più di tanto, ma lascia intravvedere qualche idea. «Potremmo pensare a un molo Ottavo - annuncia con cautela - e magari chiedere alla Lucchini di entrare nell'affare. Si potrebbe vendere la centrale di cogenerazione all'Acegas. Non dico altro. Prima definiamo il progetto, poi ci confronteremo con gli industriali e i sindacati». Anche perchè bisognerà spiegare come si potranno ricollocare oltre 1500 persone tra operai della Ferriera e indotto. «A Muggia ho dimostrato cosa sono stato capace di fare - conclude Dipiazza - ho riempito le Noghere di fabbriche. Ora in sei mesi e mezzo ho trovato la strada per risolvere un problema che sembrava impossibile. C'è tanta attenzione ora da parte del governo per Trieste. Tra Expo e Corridoio 5 riusciremo a portare a casa tante cose. Penso ad aziende pulite ad alto valore aggiunto».
Glaciale la Lucchini. «Sin dall'inizio, saputo dell'esistenza del progetto, che comunque non conosciamo - dice Francesco Semino, responsabile delle relazioni esterne - avevamo chiesto a chi governa il territorio di fare chiarezza. Bene, se c'è questa strada alternativa ce la spieghi». La Ferriera era uno stabilimento fallito, sotto la tutela della legge Prodi. E con le stesse spinte e le pressioni del governo nazionale, ma anche della città che voleva risollevare un'economia in caduta libera e che ha manifestato per salvare Servola, la Lucchini è stata invogliata e sollecitata ad acquisire lo stabilimento. Ci sono stati investimenti e un rilancio con varie diversificazioni. Ora il governo dice che non è più strategica. Un cambio che ha spiazzato lo stesso imprenditore Lucchini.
«Forse non è più strategica per il governo - conclude Semino - ma io riconfermo che lo è per noi e per tutto il gruppo che ha stabilimenti in Italia e varie parti d'Europa. Opinioni e obiettivi diversi sono legittimi, ora però è tempo di fare chiarezza, una volta per tutte. Verificheremo il progetto».
Giulio Garau