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Il Piccolo 18-12-2001

Continua a tenere banco la questione della sede direzionale da realizzare in Porto Vecchio. Il gruppo taiwanese pone il limite del 18 gennaio 2002

Ultimatum di Evergreen: «Andremo a Civitavecchia»

Allarme dei sindacati: potrebbero sparire centinaia di posti di lavoro e venir dimezzati i traffici al Molo VII

Evergreen pronto a lasciare Trieste. Il 18 gennaio, tra un mese esatto, il colosso di Taiwan che controlla il Lloyd triestino, deciderà se trasferire o meno la sede della società di navigazione in qualche altra località italiana. Fra i siti più probabili si parla di Civitavecchia, sul litorale laziale. E' la funesta ipotesi, comunicata nei giorni scorsi alle organizzazioni sindacali, che si profila se entro il 15 gennaio prossimo non verrà sbloccato il progetto per realizzare quanto previsto in Porto vecchio, e cioè la nuova sede del Lloyd triestino e la foresteria, un investimento da 200 miliardi di lire. E' una questione che si trascina ormai da un paio d' anni e per la quale Greensisam, la società controllata da Evergreen, ha già ottenuto la concessione.

Un'eventualità, quella dell'abbandono di Trieste (che per contratto non può comunque avvenire prima dell'ottobre 2003), che i sindacati giudicano «molto pericolosa» per la città, a partire dagli aspetti occupazionali, in quanto si andrebbero a perdere oltre duecento posti di lavoro di alto profilo, più alcune centinaia di posti nell'indotto. Senza contare le ripercussioni sul numero dei container movimentati al Molo VII che inevitabilmente verrebbero ridimensionati, portando alla perdita del principale cliente che da solo crea il 65 per cento dei traffici.

E proprio ieri sera, alla presentazione del concerto di Elisa, testimonial del porto, il presidente dell'Authority Maurizio Maresca ha rivelato un altro elemento preoccupante: l'11 settembre sta già determinando una flessione dei traffici. «Una linea che avrebbe dovuto essere già instaurata, sulla quale contavamo molto - spiega Maresca - non è ancora partita perchè i taiwanesi stanno valutando e calcolando gli effetti negativi dell'11 settembre». Ma il problema è riecheggiato già ieri mattina nel corso di un incontro pubblico al quale erano invitati i rappresentanti degli enti locali e dei vari soggetti interessati. Fra questi, grandi assenti, come sottolineato da Angelo D'Adamo (Filt-Cgil), Rosario Gallitelli (Filt-Cisl) e Gianpiero Fanigliuolo (Uilt-Uil), il Comune e la Regione, mentre sono intervenuti rappresentanti della Provincia, dell'autorità portuale, nonché i consiglieri dell'opposizione Decarli e Kakovic.

Il nodo cruciale è dunque quello della sede direzionale in Porto vecchio per la quale, nell'ultima versione, si ipotizzava di assegnare a Evergreen il magazzino 2, definito dai sindacati «un rudere che andrebbe demolito». Altrettanto chiede la società, che considera più oneroso restaurarlo piuttosto che raderlo al suolo e ricostruirlo da zero.

Non la pensa così, come noto, il sottosegretario ai Beni culturali Vittorio Sgarbi, che nei mesi scorsi ha posto i vincoli su una ventina di edifici storici del Porto vecchio. Sgarbi non ha però escluso deroghe in presenza di progetti di elevatissima qualità archiettonica. Si è così creata una situazione di stallo che potrebbe tuttavia trovare uno sbocco dopo l'accordo istituzionale siglato sabato scorso, giunto dopo che Pierluigi Maneschi, numero uno in Italia di Evergreen e leader del Lloyd triestino, aveva comunicato ai sindacati «l'ultimatum» del 15 gennaio. Nell'accordo sottoscritto da Regione, Comune, Provincia e Ap si conferma l'importanza della presenza di Evergreen, e si individua nei pressi del Molo Terzo l'area dove collocare il centro direzionale, con l'impegno di dare in tempi rapidi risposte certe al gruppo di Taiwan.

E' quanto spera Gianfranco Gambassini, presidente della Lista per Trieste, che intervenendo all'incontro di ieri ha sostenuto fra l'altro che «Evergreen ha ben diritto a una contropartita. Finora infatti ha dato molto a Trieste e al porto senza ricevere mai nulla in cambio». Moderatamente ottimista si dice invece Antonella Caroli. Il segretario generale dell' authority evidenzia «imprecisioni e approssimazione con cui si fanno le cose in Italia», ricordando che non «si può ignorare la parte amministrativa». «Mi sembra comunque - aggiunge - che siamo in dirittura di arrivo». Del tutto pessimista invece il giudizio di Vittorio Piccoli, ex dirigente del Lloyd, secondo cui «il porto è in mano a giuristi e architetti, e non a esperti marittimi», mentre la sua gestione avviene all'insegna del «disordine non essendo ancora stato approvato il piano regolatore portuale».

Alessio Radossi