Il Messaggero Veneto 25-11-2001
Depositata una sentenza che obbligherà il Friuli-Venezia Giulia a rivedere la propria normativa
La Corte costituzionale ha giudicato illegittime due leggi in tema di smaltimento
ROMA - Sulla regolamentazione vigente in Friuli Venezia Giulia in materia di smaltimento dei rifiuti speciali (cioè non urbani) la Corte costituzionale (con sentenza emessa l'8 ottobre scorso e depositata pochi giorni fa) boccia l'operato della Regione e, a cascata, quello della Provincia di Udine la quale, all'epoca dei fatti, fece divieto a due ditte friulane di smaltire nelle proprie discariche rifiuti prodotti al di fuori dell'ambito territoriale regionale. Le disposizioni emanate in materia dal legislatore regionale, con una prima legge del 1998 ed altre successive (interpretative e innovative) nell'arco di un decennio fino al 1998 (cui la Provincia si attenne nella lettera e nello spirito), sono state dichiarate incostituzionali dalla suprema Corte nella parte in cui impongono il divieto di smaltimento nelle discariche regionali dei rifiuti speciali non tossici e non nocivi di provenienza extra regionale. L'interdizione permane invece per i rifiuti urbani.
Si chiude in tal modo, e in forma definitiva, una vicenda giudiziaria iniziatasi cinque anni fa e che, in considerazione dell'interesse diffuso che l'argomento oggetto della controversia riveste, merita di essere illustrata nei suoi aspetti più salienti.
Tutto ha inizio il 15 novembre 1996 quando l'allora assessore provinciale all'ambiente Mauro Zanin emise un decreto con il quale inibì a due aziende del settore lo smaltimento nelle proprie discariche di rifiuti prodotti da altre regioni. L'atto fu adottato in osservanza dell'articolo 16 della legge regionale 65 del 28 novembre 1988 e della legge 22 del 14 giugno 1996 art.29 (che diede l'interpretazione autentica della precedente), entrambe rafforzate nella loro "ratio" dalla terza e definitiva legge regionale in materia, la 13 del 9 novembre 1998, recante una nuova disciplina delle autorizzazioni allo svolgimento dell'attività di smaltimento di rifiuti. Le due imprese vittime dell'inibizione (la Gesteco e la Prefir) non accettarono ovviamente il provvedimento dell'assessore Zanin e promossero immediato ricorso al Tar contro la Provincia (contestando l'efficacia retroattiva del decreto) ma soprattutto contro la Regione, ravvisando l'illegittimità delle norme da essa emanate, ritenute contrastanti con la disciplina nazionale e con alcuni principi costituzionali.
Il tribunale regionale riconobbe la validità delle ragioni addotte dalle ricorrenti e l'otto febbraio 1997 sollevò davanti alla Corte questione di illegittimità costituzionale dell'articolo 16 della legge 65/1988 (e successive modifiche e integrazioni), facendo rilevare in buona sostanza che, qualora una qualsiasi regione italiana produca rifiuti speciali in eccesso rispetto alle sue capacità di smaltimento, deve essere messa in condizione di poterli collocare in altre discariche, ancorché ubicate in altre regioni, pena l'insorgere di situazioni di pericolo sotto il profilo dell'igiene e della sanità pubblica. Per ben due volte la suprema Corte restituì gli atti al Tar, invitandolo a valutare se la disciplina innovativa (regionale e nazionale) nel frattempo sopravvenuta avvalorasse l'operato della Regione; il Tribunale regionale permase di diverso avviso e, con ordinanza del 14 gennaio 2000, ribadì i propri convincimenti. Ora, dopo quasi due anni, si vede dare ragione, anche se non sull'intero fronte. Cosa dice la sentenza della Corte costituzionale? Che la norma base cui fare riferimento è il decreto legislativo 5 febbraio 1997 n.22, che regola la gestione dei rifiuti facendo una chiara distinzione tra due tipologie degli stessi.
"Da un lato si è statuito - recita la sentenza - che il divieto di smaltimento di rifiuti di produzione extraregionale è pienamente applicabile a quelli urbani, in base al principio dell'autosufficienza valido per tutte le regioni; dall'altro che lo stesso principio non può valere per i rifiuti speciali che, pur non tossici né nocivi, hanno ugualmente una loro pericolosità, e pertanto per il loro smaltimento appare prioritaria l'esigenza di impianti dotati di appropriate tecnologie, esigenza che contrasta con una rigida predeterminazione di ambiti territoriali (regionali, ndr)". I rifiuti speciali - spiegano ancora i giudici -costituiscono una variegata tipologia comprendente ben dieci categorie di materiali, tra cui sanitari, veicoli a motore ecc. che esigono per l'appunto impianti specializzati.
Sì dunque al divieto di accogliere rifiuti urbani prodotti da altre regioni; no, se si tratta di rifiuti "speciali", equiparati a quelli pericolosi e quindi soggetti a norme più rigide sotto il profilo dell'igiene e della salute pubblica, e per questo più elastiche sotto quello della limitazione geografica. Ecco, in estrema sintesi, le ragioni per cui le leggi regionali 65/1988 e 22/1996 sono state cassate. Resta da vedere se, e in quale misura, la soluzione dell'annosa controversia possa avere qualche riflesso sulla vicenda giudiziaria che, sempre in materia di rifiuti, vede coinvolti, tra gli altri, un esponente della passata Giunta provinciale e un imprenditore del settore.
Abbondio Bevilacqua