Il Messaggero Veneto 30-03-2002
L'esponente del Carroccio friulano si schiera a favore dell'indicazione del presidente
Il primo cittadino di Udine contesta le critiche dell'Ulivo alla legge elettorale
di TOMMASO CERNO
UDINE - Non è l'elezione diretta del governatore a garantire la stabilità delle regioni. Al contrario, spesso peggiora le cose e congela i problemi come sta accadendo in Sicilia. Il sindaco di Udine, Sergio Cecotti, leghista che governa senza bisogno del Polo, difende la legge elettorale con indicazione del presidente appena varata in Friuli-Venezia Giulia. E lo fa proprio il giorno dopo la costituzione del comitato per il referendum, guidato idealmente dal candidato in pectore del centro-sinistra Riccardo Illy, che si mobilita per abrogare la riforma. Cecotti smonta le argomentazioni dell'Ulivo e le ragioni della raccolta di 36 mila 405 firme necessarie alla consultazione popolare.
Sindaco Cecotti, la Lega Nord e gli autonomisti difendono la riforma elettorale. Secondo lei, la legge appena varata è migliore o peggiore del tatarellum?
Parlare di tatarellum, come si fa in questi giorni, è esporre un concetto ambiguo. Esistono due tatarellum diversi, quello che rimase in vigore dal 1995 al 2000 e quello attuale.
La differenza è appunto l'elezione diretta. O no?
Il primo tatarellum indicava il presidente, che veniva poi nominato dal consiglio regionale. L'attuale invece prevede l'elezione diretta da parte dei cittadini. In sostanza si tratta della stessa differenza che esiste tra la nuova legge elettorale della nostra regione e la norma transitoria.
Parliamo del tatarellum attuale, quello con l'elezione diretta del governatore. E' un sistema di voto che lei preferisce all'indicazione del presidente?
La risposta deriva dall'analisi delle due esperienze. Se paragoniamo cioè il periodo in cui sono stati in vigore i due sistemi di voto, deduciamo senza dubbio che la formula con l'indicazione è andata meglio di quella con elezione diretta.
Quindi la soluzione della Casa delle libertà è un passo avanti e non indietro?
Con la riserva di approfondire nel dettaglio la questione, direi comunque di si.
Per quali ragioni, sindaco, lei difende questa legge elettorale?
Ci sono quattro riserve che hanno spinto alla formazione del comitato per il referendum, che intende abrogare il provvedimento varato dalla Regione: la partecipazione delle donne, il seggio agli sloveni, il premio di maggioranza a loro dire troppo sbilanciato e l'indicazione del presidente, appunto, anziché l'elezione diretta. Tutte quattro le questioni, se analizzate, portano a dire che è meglio conservare l'attuale riforma.
Andiamo con ordine, signor sindaco. Da dove partiamo?
Innanzi tutto la partecipazione femminile: se la legge approvata dal consiglio regionale fa poco e la soluzione trovata è debole, cosa su cui posso essere d'accordo, è altrettanto certo che il tatarellum non fa proprio nulla in questa direzione.
Stessa cosa vale per il seggio agli sloveni?
Direi che se non è peggio, almeno è uguale. Immaginarsi che la norma in vigore nelle regioni ordinarie parli del seggio garantito alla minoranza slovena è quanto meno fantasioso. Anche se Brussa, da quel che dice, crede invece che se ne parli. Resta il cuore della polemica mossa dal comitato referendario. Cioè il premio di maggioranza alto senza l'elezione del governatore. Intanto il premio di maggioranza: sarà alto quello votato in Regione, ma certamente quello garantito dal tatarellum è più alto ancora.
Perché allora molti governatori italiani si sono scagliati contro la nostra legge elettorale?
Per valutare i benefici e i danni dell'elezione diretta serve fare un passo indietro. Serve cioè confrontare, nei fatti, i due tatarellum di cui parlavamo prima. Galan e Formigoni sono stati eletti due volte, la prima con l'indicazione del presidente e la seconda con l'elezione diretta. Nessuno ha notato differenze politiche tra Galan uno e Galan due. Idem vale per la Lombardia.
Messa così, sindaco Cecotti, sembra che le due le due formule si equivalgano?
No, l'indicazione è migliore dell'elezione diretta.
Perché?
Per un semplice motivo. Se non ci sono differenze politiche, serve guardare l'aspetto giuridico della questione. L'unica differenza da analizzare, che ci viene dall'esperienza diretta vissuta in Italia, riguarda il caso di Bersani.
Si riferisce all'ex ministro dell'Ulivo Pierluigi Bersani?
Esattamente a lui. Quando l'Ulivo vinse le elezioni politiche, Bersani era il presidente della regione Emilia Romagna ed era stato eletto con il tatarellum uno, cioè con l'indicazione del presidente. In virtù di questo, Prodi ha potuto chiedere a Bersani di fare il ministro e, a mio parere, il paese ci ha anche guadagnato.
Ma ci ha perso l'Emilia Romagna?
No, l'Emilia Romagna scelse un altro presidente dal consiglio regionale, guadagnando così anche un ministro importante per il proprio territorio. Il punto è che, se Bersani fosse stato eletto con il tatarellum due, nessuno avrebbe potuto sceglierlo al governo del Paese, perché nessuno manda a votare una regione con tutto quello che significa. Questo potrebbe valere anche per un buon presidente del Friuli Venezia Giulia.
Se l'indicazione consente di entrare nel governo, però, a centro-sinistra si tira in ballo la governabilità. Questo non ha valore?
La crisi non è sempre un male per la politica. Anzi, spesso è meglio della governabilità fittizia. Alla fine degli anni '90 uno studio americano, sulle condizioni di funzionamento di una democrazia, prese ad esempio la nostra regione, che aveva avuto solo tre presidenti. La comparò con la Sicilia che ne aveva cambiato uno all'anno, sebbene con le stesse regole di voto. Questo dimostra, intanto, che la stabilità politica dipende dagli uomini e non dalla legge elettorale. Adesso però i sistemi di voto sono diversi. La Sicilia ha un presidente eletto dal popolo, Cuffaro. Noi invece ne abbiamo avuto più di uno in questa legislatura. Si, ma la Sicilia non ha risolto l'instabilità cronica. Adesso non può fare la crisi, però non ha votato il bilancio, ha i conti bloccati, non può effettuare pagamenti e sprofonda, senza poter cambiare le cose. Direi che è peggiorata: prima aveva una crisi all'anno, adesso ne ha una per tutto l'anno.
Quindi Illy sbaglia a sostenere l'elezione diretta e dovrebbe schierarsi per l'indicazione come fa lei?
Illy può pensare e fare quello che crede. Non so perché abbia scelto di sostenere il referendum, nel senso che io non sono Illy. So, però, che i cittadini di questa regione sono meno ingenui di quanto si pensi.