Il Messaggero Veneto 10-06-2002
di FRANCESCO BUDA
Le decisioni assunte dal consiglio regionale della Lombardia sulla sperimentazione clinica controllata per l'uso terapeutico della cannabis (e suoi derivati naturali e sintetici) e la sentenza del magistrato veneto Barbara Bortot, che ha obbligato l'Asl di San Donà di Piave a somministrare la cannabis sativa a una donna affetta da un tumore al polmone in fase terminale, hanno riacceso un dibattito a tutto campo. Dibattito dove emerge che il nostro paese è fermo rispetto ad altri che l'hanno già affrontato adottando misure legislative conseguenti. Negli Usa l'uso terapeutico dei derivati naturali o sintetici della cannabis è ammesso in 22 stati americani per specifiche e particolari forme di gravi malattie. Analoga posizione è stata ammessa da Canada, Gran Bretagna, Svizzera,Olanda, Israele, Germania mentre in Australia si ammette l'uso compassionevole della cannabis grezza.
E in Italia? Si è indietro rispetto a questi paesi perché l'utilizzo di farmaci a base di cannabis è praticamente inesistente, forse anche per le implicazioni pratiche e legali implicite nella commercializzazione in farmacia di una sostanza il cui uso è, di fatto, proibito dalla legge che considera la cannabis una droga illegale. Ma emerge anche un altro recente aspetto del pensiero degli italiani sull'argomento, del quale, difficilmente, non si potrà tenere conto. Infatti, in tre diversi e autorevoli sondaggi, rispettivamente di Farmacoeconomia, Datamedia e Corriere della Sera, alla domanda: «l'uso terapeutico della cannabis è lecito?», l'11% ha risposto l'illiceità, il 6%, è d'accordo ma con l'accortezza di non confondere farmacopea con legalizzazione; il 22% è d'accordo in ogni caso.
La percentuale di favorevoli aumenta (Datamedia) al 74%, mentre i contrari e coloro che non sanno si attestano rispettivamente al 18,5% e al 7,5% del campione intervistato. La percentuale dei favorevoli, rilevata sul sito del Corriere della Sera, diventa ancor più alta (90%). Cerchiamo di capire dal punto di vista scientifico cos'è la cannabis sativa, varietà indica (che conosciamo con il nome di marijuana e hascisc, ganja, pot, kif, hemp e almeno altri trecento nomi diversi), e quali i suoi reali o potenziali effetti terapeutici sull'uomo, precisando che tutte le "droghe" sono, per definizione, sostanze farmacologicamente attive, e la maggior parte di esse è stata usata, prima di tutto, come farmaci.
La cannabis sativa, comunemente detta canapa indiana è coltivata da secoli anche per produrre tessuti, medicine, carta, combustibile vegetale, alimenti, materiali per l'edilizia, plastica ecologica, cosmetici e altro ancora è, in realtà, una delle più antiche piante psicoattive conosciute dall'umanità, lodata e maledetta dai tempi antichi, come capace di facilitare la meditazione o di spingere all'assassinio, eventi entrambi possibili per le proprietà allucinogene dovute al contenuto in delta-9- tetraidrocannabinolo (delta-9-Thc), il più potente tra gli oltre 60 principi attivi presenti nella cannabis, isolato e sintetizzato, nel 1966, da un gruppo di ricercatori israeliani. Nel 1988 sono stati scoperti recettori specifici per il Thc e nel 1992 un agonista specifico denominato anandamide (che in sanscrito significa felicità, beatitudine) che ha una localizzazione compatibile con le funzioni cognitive, motorie e con la regolazione dell'appetito. I benefici terapeutici osservati della marijuana nella forma naturale e nei derivati chimici, i cannabinoidi, sono svariati: la letteratura scientifica elenca 30 patologie in cui il suo uso è indicato e, recentemente, il suo possibile impiego in medicina è stato al centro di due studi pubblicati sulla rivista scientifica British medical journal. Quali le conclusioni ?
L'efficacia del delta-9-Thc e di un suo derivato sintetico, il nabilone, nei casi di nausea e vomito secondari a chemioterapia antitumorale è stata dimostrata in vari studi clinici controllati in doppio cieco dove i cannabinoidi risultavano più efficaci delle terapie tradizionali. A seguito di tali indiscutibili evidenze il nabilone è stato ufficialmente registrato per tale uso in Gran Bretagna. Uno studio pilota ha inoltre dimostrato che il delta-8-Thc, un cannabinoide non psicotropo, privo cioè di effetti sul sistema nervoso, ha promettenti proprietà antiematiche nei bambini ammalati di leucemia. Per quanto riguarda invece la terapia del dolore tumore-correlato e in quello post-chirurgico, l'efficacia terapeutica dei cannabinoidi sembrerebbe scarsa, per cui si sconsiglia l'uso, mentre nel trattamento del dolore di origine neuropatica e in quello legato a fenomeni di spasticità muscolare (sclerosi multipla, lesioni midollari, etc) le evidenze concordano nel suggerire un possibile ruolo terapeutico di tali sostanze. Altri impieghi terapeutici. Trattamento sintomatico dei disturbi correlati all'Aids. L'efficacia nella stimolazione dell'appetito dimostrato dal dronabinol in questi pazienti in studi clinici controllati in doppio cieco ha convinto la esigente American food and drug administration a registrare il farmaco per questa utilizzazione alla stregua di un farmaco antianoressizzante, atto a combattere la nausea e la perdita di peso non solo nei pazienti affetti da tumore ma anche nei pazienti affetti da Aids in prolungatissima terapia antibiotica.
Glaucoma. Nei malati di glaucoma, malattia caratterizzata da un aumento della pressione intraoculare che può condurre alla cecità, ci sono numerose evidenze che il delta-9-Thc possa ridurre la pressione intraoculare. Grande attenzione viene dedicata negli ultimi tempi anche alle proprietà neuroprotettive dei cannabinoidi che in un recente studio si sono dimostrati in grado di neutralizzare le sostanze ossidanti nocive che si sviluppano, a livello cerebrale, in corso di trauma cranico o ictus. Questi risultati, ottenuti in laboratorio, hanno avuto una prima conferma nell'uomo, in uno studio clinico compiuto in Israele su pazienti con trauma cranico: l'impiego del dexanabinol, un cannabinoide non-psicotropo, ha dato ottimi risultati. Sono in corso studi che riguardano le patologie neurodegenerative , tra cui il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson o la corea di Huntington, per le quali si attendono i risultati delle numerose ricerche in corso.
Un ulteriore potenziale campo di utilizzo potrebbe infine essere quello della terapia dei tumori. Alla recente dimostrazione dell'efficacia dell'anandamide nell'inibire la proliferazione del tumore della mammella, opera di un gruppo di ricercatori italiani dell'Istituto per la chimica di molecole di interesse biologico e dell'Istituto di cibernetica del Cnr, si è aggiunta, qualche mese fa, la segnalazione di alcuni ricercatori spagnoli dell'università di Madrid che hanno evidenziato che il delta-9-Thc è in grado di produrre la morte delle cellule dei gliomi cerebrali, risparmiando le cellule sane che circondano il tumore. In entrambi i casi si tratta di dati ottenuti "in vitro", ma che aprono la strada a interessanti filoni di ricerca per possibili impieghi terapeutici nell'uomo. Se allo stato delle conoscenze scientifiche esistono prove (seppur suscettibili di ulteriori approfondimenti) che i derivati naturali o sintetici della cannabis, in virtù delle loro proprietà farmacologiche, hanno un reale ruolo nel trattamento di alcune gravi forme di malattie, rimane per lo meno poco comprensibile la controversia in atto nel valutare la cannabis come farmaco e non già come sostanza psicoattiva, ossia una droga.
Le conoscenze su queste sostanze naturali e sui loro meccanismi d'azione progrediscono di pari passo con l'individuazione di nuovi potenziali campi di utilizzo terapeutico, facendoci scoprire, probabilmente, che non è solo un demone, un mito, un simbolo trasgressivo ma, forse, un'ulteriore possibilità offerta a malati che soffrono di gravi malattie e che, dal punto di vista etico e della dignità umana, hanno il diritto di curarsi con i farmaci meno tossici e più efficaci disponibili, senza rischiare d'incorrere in procedimenti penali lesivi della propria dignità. D'altra parte, pur riconoscendo che la pretesa, netta disgiunzione fra uso "medico" e "non medico", costituisce un'anomalia evidente e di grave intralcio a qualunque approccio terapeutico, in vari paesi la comunità scientifica ha comunque deciso, data l'urgenza del problema, di procedere per quanto possibile, pur in regime proibizionista, a sperimentazioni cliniche con la cannabis. Potrà anche essere vero che forse non abbiamo prove definitive, ma se questa sostanza non provoca danno e non è pericolosa, perché non approvarne l'uso terapeutico? Ma per far questo non bisognerebbe rivolgersi agli interessi politici del momento, ma alla comunità scientifica, che dovrebbe testarla alla stregua delle altre sostanze euforizzanti e stimolanti (cocaina, morfina, alcol, anfetamine, nicotina, ecc) senza pregiudizi o atteggiamenti libertini.
Francesco Buda