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Il Piccolo 18-01-2002

La signora Vucic, 75 anni, ex ministro e ex presidente della «Beogradska Banka» ha movimentato, via Cipro, enormi quantità di denaro

Borka, la nonnina che smistava i capitali di Milosevic

«Abbiamo sempre agito nella legalità. Ho fatto operazioni anche con la Kreditna a Trieste»

BELGRADO - La chiamano la «cassaforte del regime», ma quando si suona al campanello della sua villa di Dedinje, la collina con le fastose residenze degli oligarchi dell'ex Jugoslavia, viene sollecitamente ad aprire la porta di persona. Per lei è stata coniata anche un'altra definizione, «mamma adottiva di Slobodan Milosevic». E' forse l'unica trave portante del vecchio regime che continua a vivere tranquillamente a Belgrado.

Borka Vucic, 75 anni, è accusata di aver smistato i capitali dell'impero di «Slobo» tra Cina, Svizzera, Libano, Austria, Sudafrica, Russia operando soprattutto dalla filiale cipriota della Beogradska Banka. Nel salone immenso, seduta sulla poltrona sorseggiando il thè, a tutte le accuse risponde così: «Può una signora di più di 70 anni fare qualcosa di illegale? Tutte le operazioni che facemmo erano perfettamente regolari.» Ma poi aggiunge una frase: «Subivamo una marea di controlli, ma noi riuscivamo sempre a trovare una maniera legale per andare oltre.»

Il processo a Milosevic comincia tra poche settimane, il 12 febbraio, all' Aja, e la causa tratterà anche del tesoro del dittatore. «Siamo stati assieme una quindicina di giorni prima della sua cattura - racconta Borka Vucic che dopo essere stata la presidente della Beogradska subentrando in questo ruolo proprio a «Slobo», è stata anche ministro federale per i contatti con la finanza internazionale - Mi sembrò preoccupato e calmo al tempo stesso. Di certo non sospettava minimamente che da lì a qualche giorno lo avrebbero arrestato. Io penso che Milosevic non abbia portato una lira fuori del Paese. Lo ha detto lo stesso attuale governatore della Banca di Jugoslavia: non è stato trovato nemmeno un conto sospetto».

«Io, Slobodan - continua - l'ho conosciuto bene come bancario e mi è dispiaciuto quand'è entrato in politica. Parla molte lingue e con le donne, che sono l'80 per cento delle dipendenti della Beogradska Banka, era molto galante. Quando lui era il presidente, la banca aveva sette filiali in alcune fra le più importanti città del mondo e io per nove anni sono stata la direttrice a Cipro.»

A Nicosìa, Carla Del Ponte, pubblico accusatore del Tribunale penale internazionale, è sbarcata poco più di un anno fa. Qualche mese prima, il 23 maggio 2000, Cipro, in corsa per l'ingresso nell'Ue, aveva ceduto alle pressioni occidentali e aveva fatto chiudere la filiale della Beogradska Banka. Carla Del Ponte nel suo blitz ha consegnato alle autorità cipriote una lista di dieci uomini di affari serbi molto vicini al regime e le banche commerciali hanno accettato di congelare i loro conti. E anche dopo la chiusura della Beogradska, Borka Vucic sarebbe rimasta a Cipro per continuare l'opera di vestale del tesoro di Slobo.

Ma secondo gli osservatori internazionali i milioni congelati sulle banche di Cipro sarebbero stati spiccioli rispetto ai dodici miliardi di dollari che negli ultimi anni sarebbero comunque usciti dalle casse jugoslave. Un segreto custodito benissimo di cui sarebbero al corrente tre sole persone: Milosevic, la moglie Mira e naturalmente Borka Vucic. «Ci hanno accusati di aver tirato fuori 12 miliardi di dollari, quando le riserve finanziarie complessive erano di 11 miliardi di dollari. E' semplicemente ridicolo», ribatte.

L'anziana signora è finita comunque sulla lista dei 300 serbi indesiderati nei paesi dell'Unione europea. «Ma lo stesso sono venuta in Italia tante volte - svela Borka Vucic - all'aeroporto di Fiumicino i poliziotti mi conoscevano. Mi dicevano: il passaporto non ci interessa, passi pure. In passato poi venivo spesso a Trieste, facevamo molte operazioni con la Kreditna Banka, sono stata molto spesso in via Filzi, anche se in assoluto il giro di affari più ampio era con la Cina.» Non è escluso dunque, che magari in modo regolare, soldi di Slobodan Milosevic siano transitati attraverso Trieste. Del resto anche Radovan Karadzic, il leader dei serbi di Bosnia, avrebbe usato Trieste in una triangolazione per esportare capitali prima della sua caduta. In particolare 17 milioni di marchi sarebbe passati per la Nuova Kreditna e altri 3 milioni per la Banca commerciale.

Sugli episodi oltre alla magistratura di Banja Luka, ha aperto un'inchiesta anche la Procura di Trieste che però starebbe per chiedere l'archiviazione non avendo rilevato elementi di illegalità. Il ruolo finanziario di Trieste dopo la dissoluzione dei regimi dell'Est non è mai stato chiarito. In città, per fare solo un esempio, è venuta più volte anche la figlia di Eltsin, Tatjana.

E intanto proprio ieri si sono diffuse voci, poi smentite, dell'avvenuto arresto di Karadzic e del generale Ratko Mladic più volte visto nella capitale serba. Solo poche settimane fa Carla Del Ponte era tornata ad accusare Belgrado di proteggere Mladic, che sarebbe stato addirittura «sotto la protezione ufficiale dell'esercito jugoslavo». Su alcune bancarelle nella zona pedonale di Belgrado sono in vendita le foto dei due con la scritta: «Non si toccano».

A Borka Vucic vengono contestati anche dei fatti specifici: cinquanta miliardi concessi alla moglie del dittatore per approfondire i suoi studi sociologici, sostanziosi finanziamenti alla radio di Marija Milosevic, un fido di oltre cento milioni all'allora diciottenne Marko che bruciò tutti i soldi in uno dei suoi primi viaggi all'estero. E ancora, mutui per l' acquisto di case concessi a tutti gli amici.

Tutte circostanze che la donna nega, tranne un blitz notturno che aveva clamorosamente compiuto alla sede della banca. «E' vero - conferma la signora - mi precipitai una notte perchè avevo saputo che trenta uomini con i kalashnikov volevano fare un'irruzione. Riuscii a mandarli via e me ne tornai a casa. Avevo solo la mia borsetta, se anche avessi voluto, non sarei riuscita a portare via nulla.» Borka Vucic ci tiene anche a sottolineare che l'Italia ha fatto un vero affare con l'acquisto delle quote di Telekom Serbia (su questo caso si sta per insediare a Roma una commissione parlamentare) e si dice fiera di quello che ha fatto per il proprio Paese. Ricorda che fino al '91 la Beogradska Banka era una delle prime cento banche del mondo e lei era l'unica donna tra tutti i presidenti di queste banche. Racconta di come una bomba della Nato abbia centrato un ponte di Belgrado mentre passava un autobus ed abbia causato 16 morti. Tra questi, una studentessa di Economia, Sanja Marinkovic.

Ora, intestata al suo nome, è stata creata una fondazione che concede borse di studio agli studenti meritevoli. «Negli ultimi due anni, senza Milosevic, le condizioni economiche in Jugoslavia sono peggiorate - commenta ancora la donna - l'import-export non decolla e il Paese stenta ad ottenere crediti. Sono stati nominati dei ministri molto giovani nei dicasteri economici che non hanno alcuna esperienza internazionale. Ci serviranno anni per rialzarci, ma sono ottimista, alcune porte si stanno aprendo, soprattutto con Londra e con Parigi. Quando la situazione si sarà stabilizzata, si potranno continuare le privatizzazioni. E la Jugoslavia si risolleverà.»

Silvio Maranzana

Riccardo Coretti

(traduzione di Sladjana Damnjanovic)